Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8002 del 21/04/2020

Cassazione civile sez. I, 21/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 21/04/2020), n.8002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33463/2018 R.G. proposto da:

I.L.E., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Paolo Alessandrini del Foro di Ascoli Piceno in virtù di

procura speciale apposta in calce al controricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale di Ancona, Ministero dell’Interno in persona del

Ministro pro tempore;

– intimati –

avverso il decreto n. 11310 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il

15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.L.E., nato in (OMISSIS) nel villaggio di (OMISSIS), nell'(OMISSIS), ha proposto ricorso per la cassazione del decreto del Tribunale di Ancona con cui è stato respinto il ricorso volto ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2.11 ricorso per cassazione si fonda su due motivi.

3.11 Ministero dell’interno e la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, intimati, non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè dell’art. 10 della Direttiva 2013/82/UE, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27. Le censure investono l’asserita errata applicazione, da parte del giudice di merito, della speciale disciplina dell’onere probatorio nella materia della protezione internazionale e il prospettato mancato impiego dei poteri officiosi di indagine che gli competono al fine di accertare la veridicità del racconto del richiedente in merito alle condizioni personali che lo avrebbero indotto a lasciare il Paese di origine.

5. Come secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 4 della Direttiva 2011/95/UE, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè dell’art. 10 della Direttiva 2013/32/UE, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 2 Cost.. L’istante si duole del fatto che il Tribunale di Ancona, nell’assumere la decisione relativa alla protezione umanitaria, abbia trascurato di procedere a una valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunta dal richiedente nel nostro paese e la situazione in cui lo stesso si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

6. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

7. Nel caso, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente (relativo all’affiliazione al gruppo indipendentista (OMISSIS)) operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo di dettagli con riferimento ai nomi, ai tempi e al luogo di quanto esposto; ha altresì affermato che le dichiarazioni erano affette da incoerenza interna e contraddizioni su elementi essenziali della vicenda, quali lo stesso nome del gruppo, indicato erroneamente come (OMISSIS), la riferita cattura nella foresta e le modalità della stessa; nè rilevava il possesso di una tessera di adesione al movimento, non essendo documentata l’attendibilità dell’ente che l’aveva rilasciata.

8. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

9. Nella parte in cui il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni essi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

10. La valutazione della situazione del Paese di origine ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) è stata basata sull’analisi delle Coi recenti e accreditate, nè tale valutazione è stata specificamente censurata.

11. Neppure il secondo motivo è fondato.

L’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza e l’attendibilità di quanto narrato dall’istante sono state, peraltro, escluse, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

12. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al percorso di integrazione in Italia, in difetto di elementi di comparazione di segno negativo, che evidenzino una compromissione dei diritti umani che attenderebbe l’immigrato in caso di ritorno in patria. Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13 novembre 2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

13. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

14. Nel caso, il Tribunale, con valutazione di merito che non viene qui puntualmente confutata nei limiti oggi consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha escluso la sussistenza di una situazione di elevata vulnerabilità, sia con riferimento a quanto rappresentato che alla situazione del paese di provenienza, ed inoltre ha escluso che il ricorrente abbia compiuto effettivi sforzi di integrazione in Italia, non essendo sufficiente la partecipazione a corsi di formazione, di apprendimento della lingua o lo svolgimento di attività di volontariato.

15. Segue coerente il rigetto del ricorso.

16. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto gli intimati attività difensiva.

17. Stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

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