Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8001 del 21/04/2020

Cassazione civile sez. I, 21/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 21/04/2020), n.8001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33438/2018 R.G. proposto da:

A.E., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Vittorio Sannoner del Foro di Foggia in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 648/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.E., nato in (OMISSIS) ((OMISSIS)), ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale della stessa città, che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi.

3. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del principio “dell’onere probatorio attenuato”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Sostiene che, applicando i criteri dettati dalla suddetta norma, il suo racconto si sarebbe dovuto ritenere attendibile.

5. Con il secondo motivo il ricorrente, senza formalmente inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., lamenta genericamente la “omessa valorizzazione di prove e di riscontri”. Nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere il diritto alla protezione internazionale, non valorizzando le informazioni tratte dal sito di Amnesty International che denunciava la sistematica violazione dei diritti umani in (OMISSIS).

6. I primi due motivi non sono fondati.

Occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore.

7. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

8. Nel caso, la Corte d’appello ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, relativo alla paura di essere accusato dell’omicidio di un operaio, in realtà effettuato da uomini dello zio con il quale era in atto una contesa per alcuni terreni, privo di fondamento logico e poco credibile, sia in relazione al fatto che il giovane non si era rivolto alla polizia, sia in relazione alla paura di essere accusato quando all’omicidio avevano assistito altre persone. Inoltre, i fatti personali riferiti non avrebbero potuto comunque essere ritenuti evento persecutorio al fine del riconoscimento della protezione.

9. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

10. Nella parte in cui i motivi si sostanziano in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito sulla non credibilità del racconto dello straniero e della situazione sociopolitica della (OMISSIS) e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni e delle risultanze dei siti internazionali essi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico e coerente con le risultanze di causa.

11. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria. Deduce che la Corte d’appello, violando il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e art. 14, lett. c) non ha effettuato una corretto esame della oggettiva situazione di violenza diffusa presente in (OMISSIS).

12. Il motivo è inammissibile.

Occorre in primo luogo inoltre ribadire che la Corte territoriale si è attenuta al principio secondo il quale ai fini della valutazione della situazione oggettiva indicata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) deve farsi riferimento, soprattutto in un paese molto vasto e differenziato, come la (OMISSIS), alla regione di provenienza del richiedente, dovendo escludersi la sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria qualora nella suddetta regione non sussista una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato (Cass. 28433/2018).

13. Per quanto concerne la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 28/06/2018, n. 17075; Cass. 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312). Tali accertamenti, una volta effettuati, danno luogo ad un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., 12/12/2018, n. 32064).

14. Nel caso concreto, la Corte territoriale ha fatto riferimento a fonti internazionali aggiornate al momento della decisione (2018), indicate nella sentenza, ed il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto in tal modo compiuto, che risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

15. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6, e censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria, cui avrebbe diritto in relazione alla situazione del Paese di provenienza.

16. Il motivo non è fondato.

17. Occorre in primo luogo ribadire che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza e l’attendibilità di quanto narrato dall’istante sono state, peraltro, escluse, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

18. Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

19. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

20. Nel caso, la Corte di merito ha argomentato che non erano state dedotte specifiche condizioni di vulnerabilità, ulteriori rispetto al racconto sulle ragioni dell’abbandono del paese di origine. A fronte quindi della situazione riferita al paese di origine, già ritenuta inidonea a configurare una compressione dei diritti umani, neppure risultavano allegate le circostanze fattuali per compiere il dovuto giudizio di comparazione in ordine alla situazione di integrazione del richiedente nel nostro paese, che neppure vengono prospettate in questa sede.

21. Segue coerente il rigetto del ricorso.

22. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto il Ministero attività difensiva.

23. Stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, dell’art. 13, comma 1- bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

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