Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7996 del 07/04/2011

Cassazione civile sez. I, 07/04/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 07/04/2011), n.7996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18592-2009 proposto da:

R.A. ((OMISSIS)) elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA BARBERINI 86, presso lo studio dell’avvocato ILARIA

SCATENA, rappresentata e difesa dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO,

giusta procura in cale al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)) in persona del Ministro Pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 607/08 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di TORINO

del 10/12/08, depositato il 22/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che R.A., con ricorso del 3 0 luglio 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico articolato motivo di censura, illustrato con memoria -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Torino depositato in data 22 dicembre 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della R. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la somma di Euro 7.500,00 a titolo di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 28.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso dell’8 giugno 2004, era fondata sui seguenti fatti: a) la R. era stata convenuta, con citazione del 12 giugno 1989, dinanzi al Tribunale ordinario di La Spezia, in un giudizio avente ad oggetto scioglimento di comunione ereditaria, rendiconto del possesso di beni comuni ed usucapione, ivi costituendosi in data il 11 ottobre 1989; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 3 agosto 2000; c) la Corte d’Appello di Genova aveva deciso il gravame con sentenza del 10 dicembre 2003; d) con decreto del 20 luglio 2004, la Corte d’Appello di Torino aveva respinto la domanda di equa riparazione; d) tale decreto era stato annullato con rinvio dalla Corte di cassazione con sentenza del 22 novembre 2007;

che la Corte d’Appello di Torino, con il suddetto decreto impugnato – detratti sette anni di ragionevole durata del processo presupposto, di cui cinque per il processo di primo grado e due per il processo d’appello – ha determinato in sette anni e sei mesi il periodo di irragionevole durata ed liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 7.500,00, sulla base di Euro 1.000,00 annui.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il motivo di censura – il quale può essere esaminato per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) la considerazione del solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto, anzichè l’intera durata dello stesso; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che il ricorso non merita accoglimento;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente infondata, perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioè il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio d’appello, come nella specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009);

che anche la censura sub b) è manifestamente infondata;

che il processo presupposto ha pacificamente avuto, per la ricorrente, la durata complessiva di quattordici anni e sei mesi circa (11 ottobre 1989-10 dicembre 2003), sicchè -detratti cinque anni di ragionevole durata, secondo il consolidato orientamento di questa Corte – sarebbero residuati nove anni e due mesi di irragionevole durata dello stesso processo presupposto;

che, tuttavia, i Giudici a quibus hanno ritenuto di aumentare a cinque anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto di primo grado – avente ad oggetto scioglimento di comunione ereditaria, rendiconto del possesso di beni comuni ed usucapione – “in ragione della oggettiva complessità della lite, viepiù attestata dalla molteplicità delle domande e delle parti, nonchè dalla necessità di vari incombenti istruttori, anche peritali” (pag.

6 del decreto impugnato);

che tale statuizione della Corte torinese non è stata specificamente censurata dalla ricorrente, sicchè deve ritenersi definitivamente stabilito che il processo presupposto de quo ha avuto una durata irragionevole pari a sette anni e sei mesi;

che, ciò posto, i Giudici a quibus non si sono discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio di appello, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, orientamento che, nella specie, avrebbe condotto ad una liquidazione inferiore dell’indennizzo, pari ad Euro 6.750,00;

che, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, il difensore della ricorrente si limita a ribadire quanto dedotto e chiesto con il ricorso, senza contestare specificamente le considerazioni che precedono;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 800,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2011

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