Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7996 del 01/04/2010

Cassazione civile sez. III, 01/04/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 01/04/2010), n.7996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. CHIARINI M. Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27886-2005 proposto da:

A.A. (OMISSIS), P.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LIMA 15,

presso lo Studio dell’avvocato VERINO MARIO ETTORE, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ZANFAGNINI PIERO,

ZANFAGNINI LUCA giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MASSANO MARIO,

che la rappresenta e difende giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.E. (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 553/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, 1^

SEZIONE CIVILE, emessa il 2/12/2004, depositata il 01/04/2005, R.G.N.

1544/2002 udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 04/02/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato MARIO ETTORE VERINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter processuale può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 18 novembre 1988 S.I. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia A.A. e P.L. nonchè E., detto E., e C. G. esponendo che il proprio defunto marito con preliminare del 24 febbraio 1987 si era obbligato ad acquistare, per sè o per persona da nominare, dai predetti C., un fondo rustico sito in (OMISSIS); che con atto del (OMISSIS) successivo P. L. e A.A., nella dichiarata qualità di proprietari confinanti, avevano esercitato il diritto di prelazione agraria, “sia congiuntamente che disgiuntamente”; che inutilmente ella, nel frattempo nominata persona acquirente, aveva chiesto che venissero fornite le prove in ordine all’effettivo esercizio del diritto di prelazione.

Sulla base di tali premesse chiese l’attrice che, accertata l’insussistenza dei requisiti della prelazione, e comunque verificato il suo mancato esercizio, fosse dichiarato valido il preliminare di vendita a suo tempo concluso con i proprietari.

Costituitisi in giudizio, A.A. e P.L. contestarono l’avversa pretesa, chiedendone il rigetto.

Con sentenza del 27 settembre 1996 il Tribunale di Venezia accolse la domanda.

Affermò il decidente che mancava uno dei requisiti perchè potesse ritenersi che P.L. e A.A. avevano validamente esercitati) la prelazione agraria, non essendo l’acquisto, da parte degli stessi, dei fondi confinanti antecedente all’esercizio del diritto.

Proposto gravame, la Corte territoriale, con sentenza del 31 maggio 1999 lo respinse. Secondo il giudice d’appello non risultavano provati altri due requisiti fissati dalla L. n. 990 del 1965, art. 8 richiamato dalla L. n. 817 del 1971, art. 7 e cioè che i prelazionanti, nel biennio antecedente, non avessero venduto terreni di loro proprietà e che inoltre ciascuno di essi avesse capacità lavorativa di coltivare anche il terreno in contestazione.

Avverso tale pronuncia i soccombenti proposero ricorso per cassazione.

Nelle more della celebrazione del giudizio di legittimità, con atto del (OMISSIS), i C., in esecuzione del preliminare, trasferirono alla S. la proprietà del terreno.

Con sentenza del 6 novembre 1001 n. 13683 la Corte, ritenuta fondata la censura di nullità del giudizio di gravame, per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei promittenti venditori, cassò con rinvio la decisione impugnata.

La Curia territoriale, innanzi alla quale la causa è stata riassunta dalla S., in data 1 aprile 2005, ha nuovamente respinto l’appello.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione A. A. e P.L., affidando le doglianze a cinque motivi e notificando l’atto a S.I., C.E., detto E. e C.G.. Solo la prima ha notificato controricorso, mentre gli altri due intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva.

I ricorrenti hanno altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazione degli artt. 394 e 159 cod. proc. civ., in relazione all’art. 345 cod. proc. civ., nonchè nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Deducono che il rinvio disposto dalla Corte Regolatrice, in quanto originato da un error in procedendo attinente alla regolare costituzione del contraddittorio tra tutte le parti necessarie del processo, aveva carattere restitutorio e comportava pertanto la rinnovazione integrale del giudizio di appello, ancorchè entro i limiti segnati dai motivi di gravame. Rilevato quindi che, ratione temporis, il procedimento di appello doveva ritenersi soggetto, quanto al regime del ius novorum, alla disciplina anteriore alla L. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 30 aprile 1995, sostengono che i nuovi mezzi di prova versati nel giudizio di rinvio erano tutti pienamente ammissibili, essendo nuovi, rispetto al giudizio di primo grado, e non già nuovi, rispetto al primo giudizio di appello, che, in quanto radicalmente viziato, era tamquam non esset.

Evidenziano quindi che i documenti espunti erano rilevanti ai fini della dimostrazione della sussistenza e del requisito della mancata alienazione di fondi rustici nel biennio antecedente all’esercizio del diritto di prelazione, e di quello del mancato superamento, in relazione al fondo per il quale era esercitata la prelazione, del triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della famiglia di A.A. e di P.L., anche singolarmente considerate.

1.2 Col secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento alle deduzioni innanzi svolte, idonee a integrare anche un error in iudicando, sub specie di malgoverno delle regole in materia di onere della prova. Rilevano inoltre che la sentenza della Corte d’appello, poi cassata dal Supremo Collegio, aveva acclarato il difetto di prova del requisito della parte del giudice di rinvio, costituiva violazione della proprietà di fondi confinanti, in capo all’ A. e al P., esclusivamente con riguardo agli acquisti con patto di riservato dominio, non già con riguardo al mappale (OMISSIS), di proprietà piena e definitiva del P., sicuramente confinante con alcuni del mappali prelazionati. L’erroneo rilievo, in parte qua, di un difetto di prova, da norma sulla idoneità dei mezzi istruttori offerti, costituiti e costituendi a dimostrare la sussistenza dei requisiti di legge in capo ai ricorrenti.

1.3 Col terzo motivo deducono gli impugnanti violazione degli artt. 100 cod. proc. civ. e L. 26 maggio 1975, n. 590, art. 8, comma 5, richiamato dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7,in relazione all’art. 360, c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere la Corte territoriale dichiarato cessata la materia del contendere, in ragione dell’intervenuto trasferimento definitivo, nelle more del giudizio di cassazione, del fondo in contestazione all’attrice. Il giudice di merito avrebbe così disatteso il principio che postula la permanenza dell’interesse ad agire per tutta la durata della causa, incorrendo sia in un error in procedendo che in un error in indicando. Posto invero che la stipula del contratto definitivo aveva radicalmente mutato il quadro dei rapporti tra le parti, la Corte d’appello avrebbe dovuto scrutinare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per il vittorioso esperimento dell’azione di riscatto agrario con riferimento al momento della sottoscrizione del rogito, e cioè al (OMISSIS).

1.4 Col quarto mezzo i ricorrenti censurano la decisione impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, per non avere il giudice di merito esaminato gli effetti giuridici sostanziali scaturiti inter partes, e cioè nei rapporti tra la S. e i prelazionanti, dalla stipula del contratto definitivo.

1.5 Con l’ultimo motivo infine gli impugnanti, per la sola ipotesi che venga escluso il requisito della “proprietà del fondo confinante” in capo a uno o a entrambi i prelazionanti, sollevano questione di legittimità costituzionale della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, n. 2, nella parte in cui, prevedendo che il diritto di prelazione agraria spetta al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con quello offerto in vendita, esclude che lo stesso possa competere anche al coltivatore diretto acquirente con patto di riservato dominio a favore della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, di fondo rustico confinante, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1.

2.1 Si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, il primo e il secondo motivo di ricorso.

Le censure con essi proposte sono prive di ogni fondamento.

Merita evidenziare che la Corte territoriale, nel motivare il suo convincimento, ha rilevato che la consulenza tecnica d’ufficio – che sarebbe stato necessario disporre al fine di appurare la situazione di confinanza dell’unico fondo di proprietà del P. per il quale la proprietà risultava acquistata in data antecedente all’esercizio della prelazione – appariva tuttavia superflua, non avendo i convenuti provato che il predio per il quale la prelazione era stata esercitata, in aggiunta agli altri posseduti, non superava il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa delle loro rispettive famiglie nonchè l’assenza di alienazioni di terreni nel biennio precedente l’esercizio della prelazione.

In proposito il giudice d’appello ha ritenuto tardiva la documentazione prodotta dai convenuti per la prima volta nel giudizio di rinvio. Ha argomentato al riguardo che, in ragione del carattere chiuso di questo, la controversia va riproposta nello stato nel quale era stata pronunciata la sentenza cassata, con divieto di svolgere attività assertive e probatorie ormai precluse, ivi compresa la produzione di documenti, a meno che fatti sopravvenuti, ovvero la stessa sentenza di cassazione, non rendano necessaria tale ulteriore attività. Considerate quindi le ragioni per le quali la sentenza d’appello era stata cassata, si sarebbe dovuto consentire ai coniugi C., pretermessi nel precedente giudizio, di proporre nuovi documenti e nuovi mezzi di prova, mentre ciò non valeva per l’ A. e il P., che avevano potuto svolgere ogni attività difensiva.

In tale contesto le predette circostanze restavano indimostrate laddove, per giurisprudenza costante di legittimità, è onere del prelazionante darne la relativa prova.

2.2 A fronte di tale apparato motivazionale ritiene il collegio che non colgano nel segno le critiche relative alla mancata ammissione di nuovi documenti nel giudizio di rinvio.

Non par dubbio infatti che il carattere restitutorio che questo assume in caso di cassazione per mancata integrazione del contraddittorio comporta facoltà di allegazione e di prova – nei limiti consentiti dalla fase processuale in cui l’integrazione di volta in volta avviene – per i chiamati in causa pretermessi, mentre, quanto alle parti già presenti in giudizio, la possibilità di integrare le deduzioni difensive e istruttorie può essere riconosciuta solo nella misura in cui essa serva a contrastare la linea difensiva dei chiamati, a replicare cioè alle loro deduzioni (Cass. civ., 1, 8 febbraio 2001, n. 2016).

In tale prospettiva non troppo senso ha il richiamo al regime applicabile, ratione temporis, alla proposizione di nuovi mezzi di prova in appello, nei giudizi iniziati in epoca anteriore al 30 aprile 1995, perchè la preclusione maturata al momento della precisazione delle conclusioni e della rimessione della causa al collegio (confr. Cass. civ., 1, 11 settembre 2008, n. 23389; Cass. civ., 3, 20 aprile 2007, n. 9491), continua a operare, salvo le aperture, testè evidenziate, necessarie alla compiuta attuazione del principio del contraddittorio.

Ma, se così è, tutte le deduzioni in ordine alla sussistenza del requisito della proprietà, in capo ai prelazionanti di fondi confinanti con quello offerto in vendita, restano assorbite dalla conclamata assenza di una valida e tempestiva prova degli altri due presupposti necessari al vittorioso esperimento della prelazione: la mancata alienazione di fondi rustici nel biennio precedente l’esercizio del diritto, e il mancato superamento del triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa di ciascuno dei retrattanti.

2.3 La correttezza della soluzione giuridica adottata dal giudice a quo in punto di rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di rinvio impone altresì di ritenere superfluo l’esame della non manifestata infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale prospettato nel quinto motivo di ricorso che, per ragioni di ordine logico, conviene qui esaminare.

E invero, la possibilità di ravvisare il requisito della proprietà di fondi rustici confinanti con quello posto in vendita, malgrado la perdurante operatività del patto di riservato dominio in favore della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, derivante dall’accoglimento, in tesi, della prospettata questione da parte del Giudice delle leggi, non priverebbe di fondamento la domanda attrice nè, specularmente, consentirebbe ai convenuti l’esercizio, con successo, del diritto di riscatto, mancando, come si è visto, altre condizioni necessarie alla sussistenza dello stesso. Ne deriva che il dubbio di costituzionalità è, in ogni caso, manifestamente privo di rilevanza.

3.1 Anche il terzo e il quarto motivo di ricorso si prestano a essere esaminati insieme. Le critiche con essi proposte non hanno pregio per le ragioni che seguono.

La Corte territoriale ha escluso che l’intervenuta stipula del definitivo tra la S. e i C. avesse comportato la cessazione della materia del contendere evidenziando che perdurava l’interesse di parte attrice alla decisione delle domande volte ad accertare l’invalidità e comunque l’intervenuta risoluzione dell’accordo concluso tra i proprietari e i prelazionanti A. e P. nonchè la insussistenza dei requisiti per il valido esercizio della prelazione da parte di questi ultimi.

A fronte di tali deduzioni, i ricorrenti si limitano a ribadire la sopravvenuta carenza di interesse ad agire della S., senza censurare, in sostanza, il nucleo argomentativo della decisione impugnata. A ciò aggiungasi che essi prospettano la necessità di verificare la sussistenza dei requisiti per il positivo esercizio del retratto con riferimento all’epoca di conclusione del definitivo, lamentando l’omissione di ogni accertamento al riguardo sia in chiave di violazione di legge che di vizio motivazionale. E tuttavia, trattandosi di profilo della controversia non trattato affatto nella sentenza della Corte territoriale, e quindi sostanzialmente nuovo, i ricorrenti avevano l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avevano fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

Nell’assenza di qualsivoglia deduzione al riguardo, i motivi devono ritenersi inammissibili.

In tale contesto il ricorso deve essere rigettato.

La complessità della fattispecie consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2010

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