Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7994 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 21/03/2019), n.7994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19963/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Lifting Ropes & Shiprepairs srl in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dalle avv. Sara

Armella e Marina Milli, con domicilio eletto presso quest’ultima in

Roma, via Marianna Dionigi n. 29;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 49/3/15, del 17 dicembre 2014, depositata il 13 gennaio

2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio

2019 dal Consigliere Dott. Manzon Enrico.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 49/3/15, del 17 dicembre 2014, depositata il 13 gennaio 2015, la Commissione tributaria regionale della Liguria respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, avverso la sentenza n. 126/1/12 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia che aveva accolto il ricorso di Lifting Ropes & Shiprepairs srl contro gli atti di irrogazione delle sanzioni ex art. 303 TULD, derivanti dai prodromici avvisi di rettifica per dazi doganali 2006.

La CTR rilevava in premessa di motivazione che con sentenza in pari data aveva respinto l’appello dell’ufficio locale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli relativo al presupposto atto impositivo e pertanto richiamava integralmente la motivazione, che trascriveva, di tale pronuncia, affermandone la pregiudiziale preclusività, ancorchè non fosse ancora passata in giudicato, e ciò in virtù della pregiudizialità sostanziale tra la ripresa fiscale daziaria e le relative sanzioni.

Quindi in particolare il giudice tributario di appello:

– ritenuta la fondatezza dei primo motivo del gravame agenziale, rilevava che nel caso di specie non era stato violato da parte dell’agenzia fiscale il principio, anche derivante dal diritto Euro unitario, del contraddittorio endoprocedirnentale, essendo la materia doganale specificamente regolata sotto tale profilo dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, e non essendo quindi applicabile la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7;

– ritenuta la fondatezza del secondo motivo del gravame agenziale, rilevava altresì che l’ufficio doganale nemmeno aveva violato la specifica previsione di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, essendo le informative dell’OLAF basanti le riprese fiscali ampiamente riportate per estratto nel PVC prodromico agli atti impositivi impugnati;

– ritenuta l’infondatezza del terzo motivo di appello, affermava di contro che, secondo doglianza della società contribuente, non poteva considerarsi assolto l’onere probatorio gravante sull’Agenzia delle dogane mediante le risultanze di dette informative dell’OLAF, non essendo le medesime sufficienti a ritenere provata l’origine cinese delle merci importate (cavi di acciaio), invece che coreana, come dichiarato in dogana, avendo di ciò comunque dato prova adeguata la contribuente medesima, in particolare asseverando, mediante dichiarazione scritta di un funzionario del Registro navale italiano (RINA), il certificato ISO e le fotografie dello stabilimento della società coreana esportatrice (Ys Wire Rope), che questa è effettiva produttrice di cavi di acciaio;

– ritenuta l’infondatezza del quarto motivo di appello, affermava altresì la fondatezza dell’ulteriore eccezione di Lifting Ropes & Shiprepairs di applicabilità degli artt. 220, 239 CDC, sussistendo la buona fede della contribuente, posto che essa era stata affidata dalle certificazioni di origine delle Autorità doganali coreane.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente che, a sua volta, propone ricorso incidentale sorretto da due motivi, cui resiste con controricorso l’agenzia fiscale ricorrente.

La controricorrente successivamente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia; a violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 9, Reg. CE 1073/1999, poichè la Commissione tributaria regionale – con richiamo espresso alle motivazioni della pronuncia di rigetto del suo appello relativo all’avviso di rettifica prodromico all’atto di contestazione di sanzioni oggetto di questo processo – valutando non correttamente l’efficacia probatoria attribuita ai rapporti OLAF, in contrasto con la disposizione comunitaria evocata, le avrebbe ascritto un onere probatorio sulla provenienza delle merci de quibus che invece, in virtù della medesima disposizione, era a carico dell’importatrice, così violando anche i principi generali di cui alla contestualmente evocata disposizione codicistica civile.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

E’ necessaria una premessa ricostruttiva del quadro normativo riferibile agli effetti probatori degli atti ispettivi dell’OLAF nonchè dei relativi orientamenti giurisprudenziali.

L’art. 9, Reg. CE 1073/1999, nelle parti che più direttamente rilevano nel giudizio, dispone che:

“1. Al termine di un’indagine, l’Ufficio redige sotto l’autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l’eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell’indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell’Ufficio sui provvedimenti da prendere.

2. Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nei quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali, Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse”.

L’art. 11, Reg. CE 883/2013 (che successivamente ha abrogato e sostituito il Reg. CE 1073/1999), sempre nelle parti di interesse per questa causa, contiene previsioni sostanzialmente identiche.

Risulta chiaro quindi nella normativa unionale che le relazioni finali delle indagini OLAF:

– devono essere redatte secondo le previsioni procedurali poste in ciascun Stato membro interessato;

– qualora rispettino tali previsioni, possono essere utilizzate come “elementi di prova” nei procedimenti amministrativi e giudiziari secondo le medesime regole valevoli per gli analoghi atti amministrativi interni, dei quali hanno la medesima efficacia probatoria ai fini della correlativa valutazione giudiziale, che pure deve essere condotta secondo le disposizioni interne.

Tale normativa unionale è stata reiteratamente interpretata nella giurisprudenza di questa Corte, dalla quale rinvengono i consolidati principi di diritto che:

– “In tema di tributi doganali, gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 1073 del 1999 hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria” (Cass. n. 10118 dei 21/04/2017);

– “Gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi della Commissione per la lotta antifrode (OLAF), ai sensi del Regolamento Consiglio CEE 23 maggio 1999, n. 1073, per la loro formazione ed H valore di atti pubblici ad essi attribuibile, ben possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi doganali sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti H fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo (negato nella specie per falsità dei certificati di origine AGRIM della merce importata); tenuto conto del disposto degli artt. 9, primo, secondo e comma 3, e 10, comma 1, del predetto Regolamento, sono inoltre utilizzabili quali fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF anche i documenti acquisiti e la comunicazione di qualsiasi informazione ottenuta nel corso delle indagini espletate, compresi i verbali delle operazioni di missione” (Sez. 5, Sentenza n. 5892 dei 08/03/2013, Rv. 625397 – 01).

Tali arresti giurisprudenziali, in considerazione del rinvio, operato in modo espresso ed inequivoco, dalla normativa Euro unitaria alla normativa interna circa le regole di valutazione degli atti ispettivi dell’OLAF e la loro efficacia probatoria, devono peraltro essere coordinati con l’elaborazione giurisprudenziale di legittimità che appunto concerne gli analoghi atti dell’istruttoria tributaria regolata dal diritto nazionale.

Senza dubbio l’atto che – per la sua tipologia, quale caratterizzata dalle forme procedimentali – più si avvicina ai rapporti dell’OLAF è il processo verbale di constatazione ed è quindi necessario rammentare e ribadire che questa Corte ha sancito che “In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale corre da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti ne: giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore” (da ultimo, tra le altre, Cass. n. 28060 del 24/11/2017).

Poste tali premesse in diritto, la censura in esame difetta del requisito di specificità – richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 – poichè non consente alla Corte di stabilire, sulla base del contenuto degli atti ispettivi OLAF utilizzati negli atti impositivi impugnati e versati in causa, a quale “tipo” di fonte probatoria individuata dal principio di diritto da ultimo citato gli stessi possano essere associati.

Il ricorso, cui gli atti ispettivi in questione non sono allegati, non contiene infatti alcuna descrizione al riguardo e quindi non consente di verificare, in particolare, se gli stessi riferiscano di accertamenti direttamente espletati dall’OLAF oppure di informazioni che la commissione ha ricevuto da terzi; va peraltro rilevato, con notazione che risulta ancor più dirimente, che la ricorrente non ha chiarito se tali accertamenti/informazioni siano direttamente riferibili alle merci de quibus (circostanza puntualmente e fermamente contestata dalla società contribuente) ovvero soltanto alle attività in generale della società coreana esportatrice delle merci stesse.

Ne deriva l’impossibilità di verificare: se nei caso di specie si tratti di accertamenti diretti “fidefacenti” oppure di accertamenti indiretti liberamente valutabili; se, in conseguenza, il giudice tributario di appello abbia violato sia la normativa unicnale richiamata dalla ricorrente sia, soprattutto, quella interna in tema di efficacia probatoria degli atti pubblici e delle correlative regole di giudizio.

Va soggiunto che, secondo l’accertamento dei giudice del merito, non oggetto di specifica censura, le informative OLAF dedotte in giudizio, lungi gai derivare da “accertamenti diretti”, si limitavano, in via generale, ad adombrare la possibilità che la fornitrice coreana dei cavi di acciaio in realtà non li producesse, e che gli stessi fossero di origine cinese (da cui la pretesa daziaria antidumping), senza alcun preciso riferimento alle merci oggetto delle riprese fiscali.

Ne deriva un ulteriore profilo di inammissibilità (ma anche di infondatezza) della censura, posto che, in assenza di un vincolo di prova legale, trattandosi di “accertamenti indiretti” che rientrano nelle ipotesi b) e c) della citata massima giurisprudenziale, il giudice tributario di appello liberamente valutando la prova rappresentata dalle informative OLAF e ritenendo prevalente la controprova costituita dai documenti prodotti da Lifting Ropes & Shiprepairs srl, ha correttamente applicato i richiamati principi di diritto in tema di valutazione delle prime e di inversione dell’onere probatorio a fronte di esse, con un giudizio di merito che non è, in ogni caso, ulteriormente sindacabile in questa sede (in questo senso, tra le molte, v. Cass. n. 9097 del 07/04/2017).

La rilevata inammissibilità del primo motivo ha effetto assorbente del secondo motivo, che censura la seconda delle rationes decidendi su cui Si fonda la sentenza impugnata, ed altresì dei motivi di ricorso incidentale, per carenza di interesse (cfr. Cass. n. 1690 del 26/01/2006).

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Rilevato peraltro che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass., n. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ai pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000 oltre 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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