Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7993 del 22/03/2021

Cassazione civile sez. I, 22/03/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 22/03/2021), n.7993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13936/2019 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato in Roma Via Emilio Faà Di

Bruno n. 15, presso lo studio dell’Avvocato Marta Di Tullio, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso

introduttivo;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Caltanissetta Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, n. 578/2019

depositato il 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/02/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.K., cittadino del (OMISSIS), ricorre con quattro motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Caltanissetta, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ha rigettato l’opposizione dal primo proposta avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che ne aveva disatteso la domanda di protezione internazionale e quella di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso deducendo l’inammissibilità dell’avverso mezzo perchè i motivi rubricati come di violazione di legge prospettano una diversa ricostruzione dei fatti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norma di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando l’impugnato decreto nella parte in cui il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale senza informazioni precise ed aggiornate sulla situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente.

Il motivo è inammissibile perchè generico. Il ricorrente denuncia violazione di legge senza alcun richiamo a precise disposizioni ed alla motivazione resa nell’impugnato decreto e nella, stesura del motivo riporta, piuttosto, lo stralcio di una motivazione di questa Corte di Cassazione rispetto al cui decisum nessuna precisazione è condotta in ricorso per ritenerne l’applicazione nel caso di specie.

In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. n. 23745 del 28/10/2020).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente fa valere la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in tal modo censurando il provvedimento impugnato nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto la non credibilità del racconto svolto dal richiedente nella mancata osservanza dei parametri previsti dalla norma.

In materia di protezione internazionale, il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento delle condizioni che consentono al richiedente di godere di tale protezione acquisendo, anche d’ufficio, le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese d’origine. Il Tribunale aveva svolto un’analisi superficiale sulla condizione socio-politica del Pakistan. Il ricorrente aveva dichiarato di essere stato minacciato di morte per avere denunciato gli autori dell’uccisione di due dei suoi cugini avvenuta durante una lite.

Il motivo è inammissibile per genericità.

La censura proposta richiama principi affermati da questa Corte sul giudizio di credibilità e sui poteri ufficiosi di accertamento propri del giudice del merito senza poi coniugare i primi con la dedotta e specifica situazione del richiedente, in difetto dell’onere di specificità sopra richiamato.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, così censurando il decreto impugnato là dove il tribunale, all’esito dell’omessa e/o insufficiente scrutinio dei fatti e dei documenti allegati dal richiedente, aveva rigettato la domanda di protezione sussidiaria proposta nei termini di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c), per l’ipotesi di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona in situazione di conflitto armato interno ed internazionale.

Il Tribunale non aveva considerato che nella fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), non si vuole che il richiedente fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, dell’indicata minaccia poichè l’esistenza di questa può ritenersi là dove il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso raggiunga un livello così elevato da far ritenere per fondati i motivi che un civile rientrato nel Paese o nella regione di provenienza correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subire la predetta minaccia.

Il tribunale aveva omesso di indagare “adeguatamente” sulle condizioni effettive del Paese e di considerare le circostanze dedotte dal richiedente negando, all’esito, il rischio che lo stesso avrebbe corso in caso di rimpatrio, in violazione del D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c). Il “Report 2018” dava atto della diffusione in tutte le zone del Punjab di gruppi estremisti militanti e della incapacità delle Autorità di farvi fronte.

Il motivo è inammissibile perchè, ancora una volta, generico, manca di confrontarsi con la motivazione impugnata segnalando di questa i passaggi e le omissioni integrative del violazione denunciata richiamando in modo non decisivo il carattere non “adeguato” dell’accertamento che, meglio e piuttosto, sembra potersi condurre al vizio di motivazione ante riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per L. n. 134 del 2012.

Il tribunale ha, invece, con conseguente ed ulteriore manifesta infondatezza della censura, vagliato fonti aggiornate (Rapporto EASO dell’ottobre 2018) per poi escludere i presupposti della violenza indiscriminata.

Nè il ricorrente ha indicato fonti più recenti e di segno opposto per inficiare gli esiti delle informazioni cui ha fatto riferimento il tribunale.

Come questa Corte ha in più occasioni affermato (vedi, tra le altre: n. 13449 del 2019, n. 13450 del 2019, n. 13451 del 2019 e n. 13452 del 2019), il giudice di merito, nel fare riferimento alle cdd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione.

Fermo l’indicato principio, la decisione impugnata soddisfa gli indicati requisiti avendo segnalato la fonte in concreto utilizzata ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da detta fonte ed il ricorrente ha mancato al dovere di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, richiamando differenti fonti di prova rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito così da consentire a questa Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. n. 26728 del 2019).

4. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in cui era incorso il giudice del merito nella parte in cui aveva omesso di esaminare la domanda di protezione umanitaria proposta dal richiedente non avendo ravvisato la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle misure maggiori.

Il tribunale avrebbe dovuto verificare l’esistenza dei presupposti della domanda di protezione umanitaria considerando anche il collegamento tra la situazione soggettiva del richiedente e la condizione generale del Paese così da integrare la situazione di vulnerabilità idonea al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Il motivo è inammissibile perchè genericamente esso denuncia l’accertamento compiuto dal tribunale senza dedurre, a fronte del giudizio formulato dal primo giudice di insussistenza in capo all’opponente di situazioni di vulnerabilità legittimanti il riconoscimento della misura, vicende proprie del richiedente e come tali individualizzanti a tal fine, piuttosto, richiamando “la situazione soggettiva” del primo e “la condizione generale del paese in rapporto alla denuncia ricevuta”.

Come da questa Corte affermato, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di “seri motivi” che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, ma è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (tra le altre: Cass. n. 13573 del 02/07/2020), evidenza che deve guidare la condotta in sede di merito ed orientare i contenuti del ricorso per cassazione. Tanto è stato correttamente rilevato dai giudici di merito nella premessa inattendibilità del racconto reso dal richiedente.

5. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile ed il ricorrente va condannato a rifondere al Ministero dell’interno le spese di lite che liquida secondo soccombenza come in dispositivo indicato. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell’interno le spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2021

 

 

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