Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7992 del 22/03/2021

Cassazione civile sez. I, 22/03/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 22/03/2021), n.7992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2159/2019 proposto da:

N.C., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Valeria D’Addezio, in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositato il

06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/02/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 14/11/2017 N.C., cittadino della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Potenza – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, ascoltato in due fasi dalla Commissione territoriale, aveva riferito di essere nato in Nigeria, nel Delta State, di aver frequentato la scuola per dodici anni; nella prima audizione aveva detto di voler rimanere in Italia per curare una non meglio precisata malattia della pelle; nella seconda audizione aveva riferito per la prima volta di essere omosessuale; di aver avuto una relazione con un compagno di scuola, tale M.; che nel (OMISSIS) era stato sorpreso da un vicino nel corso di un rapporto sessuale con il fidanzato, in una casa affittata dal compagno; di essere stato costretto a fuggire, sia perchè la famiglia non approvava tale relazione, sia perchè il compagno era stato arrestato e temeva di esserlo lui pure; che sarebbe stato disposto a intrattenere una relazione con una ragazza.

Sentito ulteriormente dal Giudice, il ricorrente aveva dichiarato di essere omosessuale; di aver avuto una relazione dall’età di sedici anni con un compagno di scuola, protratta per tre anni; di essere stato scoperto e denunciato da una vicina in occasione di un rapporto avuto nella casa dei genitori; che il compagno era stato arrestato.

Con decreto del 6/12/2018 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto del 6/12/2018, asseritamente non notificato, ha proposto ricorso N.C. con atto notificato il 2/1/2019, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione allo status di rifugiato e alla valutazione di non credibilità del ricorrente.

1.1. A tal proposito – osserva il ricorrente – il giudice, con motivazione illogica ed apparente, non si era attenuto ai criteri legali fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e aveva valutato negativamente l’attendibilità del racconto, ponendo indebitamente i riflettori su aspetti del tutto marginali della narrativa del richiedente asilo, giudicati contraddittori e invece del tutto spiegabili.

1.2. Il motivo non appare ammissibile.

Certamente, in linea di principio, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Tuttavia l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925).

La valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

I primi due commi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, impongono al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare” la domanda di protezione internazionale. In ordine alla documentazione la norma mitiga l’obbligo di produzione, coerentemente con il più incisivo obbligo dell’autorità decidente di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, indicando i documenti “comunque appena disponibili”.

Nel comma 2 viene specificato, tuttavia, che gli elementi rilevanti che il richiedente è tenuto a fornire devono riferirsi alla sua età, condizione sociale, anche dei congiunti, se rilevante ai fini del riconoscimento, identità, cittadinanza, paesi e luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio, nonchè i motivi della sua domanda di protezione internazionale. Il comma 5 infine stabilisce che anche quando tali circostanze non siano suffragati da prove, la veridicità delle dichiarazioni deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

L’esame delle lettere c) ed e) sopra indicate evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Le dichiarazioni intrinsecamente inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva contenuti nell’art. 3, non richiedono pertanto un approfondimento istruttorio officioso se la mancanza di veridicità non deriva esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori sulla situazione oggettiva dalla quale scaturisce la situazione di rischio descritta.

1.3. Nella specie il Tribunale ha valutato l’attendibilità del racconto del richiedente sulla base di criteri conformi alla procedimentalizzazione legale, ponendo in evidenza con motivazione, ampiamente satisfattiva dello standard del minimo costituzionale, sia la genericità delle dichiarazioni (quanto ai riferimenti al compagno, alle situazioni e ai luoghi), sia le plurime contraddizioni (sesso della persona che li aveva sorpresi, luogo del rapporto sessuale), sia le incongruenze (possibilità dell’accesso senza chiavi dell’estraneo nel luogo del rapporto), sia le incoerenze personali (dichiarazioni di disponibilità eterosessuale) e soprattutto infine la tardività delle dichiarazioni circa l’orientamento sessuale e il motivo dell’espatrio (in un primo tempo giustificato solo con necessità di non meglio precisate terapie).

1.4. Con la seconda parte del primo motivo di ricorso, proposta ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento al mancato esame del principio del non refoulement di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra e ai rischi per l’integrità fisica e personale del richiedente asilo.

1.5. Il motivo è inammissibile perchè il ricorrente deduce il vizio motivazionale, nei limiti attualmente consentiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già a un fatto storico, come sarebbe stato necessario, ma a principi e norme giuridici.

In ogni caso, non viene in diretto rilievo l’art. 33 della Convenzione di Ginevra che impegna Stati contraenti a non espellere e respingere, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

La legislazione Europea – e da ultimo la direttiva UE 13/12/2011 n. 95 – 2011/95/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonchè sul contenuto della protezione riconosciuta- codifica un regime Europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28/7/1951, integrata dal protocollo di New York del 31/1/1967 e di garantire in tal modo che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione, in ottemperanza al principio di “non respingimento” (divieto di rimpatrio a rischio di persecuzione).

La Convenzione di Ginevra e il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati (3 e 4 considerando della Direttiva95/2011).

La legislazione italiana si ispira e recepisce pienamente la disciplina armonizzata Europea in tema di protezione internazionale.

L’invocazione diretta, peraltro non motivata e non spiegata, della Convenzione di Ginevra e del divieto di respingimento non può recare alcun pratico giovamento al richiedente poichè la disciplina Europea e italiana in tema di protezione internazionale ad essa si ispirano e la attuano in pratica: il divieto di respingimento assume rilievo solo in sede di espulsione e non già quando il richiedente abbia richiesto per le stesse ragioni la protezione internazionale.

Il tutto non senza ricordare che il giudizio, non validamente censurato, circa l’inattualità di qualsiasi pericolo per il richiedente asilo, priva ulteriormente di utilità l’argomentazione.

2. Con il primo profilo del secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla mancata valutazione della fattispecie prevista del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

2.1. In tal modo il ricorrente sembra lamentare più che altro una omissione di pronuncia o una omissione di motivazione: l’una e l’altra insussistenti perchè (a pagina 4, secondo capoverso, primo periodo) il Tribunale ha rifiutato il riconoscimento della protezione sussidiaria, nelle forme “individualizzate” di cui alle lettere a) e b) dell’art. 14, in ragione della scarsa credibilità, contraddittorietà e diversa versione del racconto personale.

2.2. Con la seconda parte del secondo motivo, proposta ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla sussistenza di una situazione di conflitto armato interno in Nigeria.

2.3. Tale situazione, secondo il ricorrente, era stata esclusa con motivazione apparente e in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 15, lettera c), della Direttiva 2004/83/CE, mentre anche la zona dell’Edo State era interessata da una situazione di violenza diffusa acclarata da fonti internazionali

2.4. I riferimenti del ricorrente all’Edo State sono incongrui perchè, secondo quanto emerge dal provvedimento impugnato e dallo stesso ricorso, il richiedente asilo proviene dal Delta State.

2.5. Il motivo è comunque inammissibile perchè, sotto lo schermo di una dedotta violazione di legge, si limita a contestare nel merito la valutazione espressa dal Tribunale, basata sulla preventiva consultazione di fonti informative accreditate,debitamente riassunte e citate (pag. 4, terzo capoverso)

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in tema di protezione umanitaria nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo il Tribunale mancato di considerare la situazione di vulnerabilità derivante dalla precarietà delle condizioni di vita in Nigeria.

3.2. Il motivo è del tutto generico e comunque invoca una situazione di vulnerabilità del tutto svincolata dalla condizione personale e individuale del ricorrente e scaturente dalle condizioni di vita nel Paese di provenienza, senza introdurre alcun riferimento a un livello di integrazione sociale e lavorativa sul territorio italiano meritevole di valutazione nell’ambito del giudizio comparativo (Sez.Unite 13/11/2019 n. 29459)

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2021

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