Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7991 del 01/04/2010

Cassazione civile sez. III, 01/04/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 01/04/2010), n.7991

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Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LUIGI LILIO 65, presso lo studio dell’avvocato MOZZI VINCENZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato TEDESCO ANTONIO giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso lo studio dell’avvocato

MALARA ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta delega in calce

al controricorso;

– controricorrente –

e contro

O.A., FALLIMENTO V.A.;

– intimati –

e contro

FALLIMENTO ZETAFLOR DI BENITO MICHELOTTI & C. S.N.C. (OMISSIS)

non in proprio ma quale Curatore del FALLIMENTO ZETAFLOR,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 211, presso lo

studio dell’avvocato ANDRIANI RICCARDO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PETROCCHI GIUSEPPE giusta procura speciale

del Dott. Notaio GIULIO CESARE CAPPELLINI in PISTOIA 24/2/2005, rep.

n. 81343, resistente con procura;

– resistente –

avverso la sentenza n. 41/2004 del TRIBUNALE di NUORO, emessa il

26/1/2004, depositata il 29/01/2004, R.G.N. 106/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/02/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato GIORGIO TEDESCO per delega dell’Avvocato ANTONIO

TEDESCO;

udito l’Avvocato ANTONIO MALARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO, che ha concluso per l’accoglimento dell’ultimo

motivo, rigetto dei primi motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter processuale viene così ricostruito nella sentenza impugnata.

O.M. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Nuoro V.A., creditore procedente nella procedura esecutiva n. 12 del 1985, gli altri creditori intervenuti in quella sede, nonchè l’aggiudicataria dell’immobile D.D..

Esponeva che il V. aveva agito in executivis contro sua padre, O.A., sottoponendo a pignoramento, per la quota di un mezzo, un immobile di proprietà dello stesso sito in Comune di San Teodoro.

Autonomo procedimento esecutivo era poi stato introdotto nei suoi confronti da Banca di Roma s.p.a., che aveva pignorato la residua metà del cespite.

Le due procedure erano state riunite. Peraltro, in quella che lo riguardava, l’Istituto, unico creditore munito di titolo contro di lui, aveva successivamente rinunciato agli atti del giudizio, di talchè il procedimento avrebbe dovuto essere dichiarato estinto.

Sosteneva quindi l’attore che l’espropriazione introdotta dal V., in quanto relativa a una quota ideale del bene, avrebbe dovuto essere disciplinata dagli artt. 599 e segg. cod. proc. civ., laddove nessun avviso degli atti esecutivi aveva egli mai ricevuto.

Chiedeva quindi la declaratoria della nullità del procedimento, e, in particolare, del decreto di trasferimento del bene; in subordine, la rinnovazione degli atti nulli e, in via ulteriormente gradata, la declaratoria di nullità del trasferimento per la quota di un mezzo, con condanna dei creditori al risarcimento del danni.

Resistevano i convenuti, in vario modo contestando le avverse pretese.

A seguito del fallimento di V.A. il giudizio veniva dichiarato interrotto.

Nella causa riassunta rimaneva contumace la curatela.

Con sentenza depositata il 29 gennaio 2004 il Tribunale rigettava sia l’opposizione agli atti esecutati che l’opposizione di terzo, così qualificati i mezzi di impugnazione proposti.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per Cassazione O.M., affidando le sue doglianze a otto motivi.

Resiste D.D. con controricorso, illustrato anche da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Va preliminarmente esaminata l’eccezione di litispendenza proposta da D.D. per essere stata la sentenza oggetto del presente ricorso già impugnata a mezzo di appello, con procedimento iscritto in data 16 luglio 2004.

L’eccezione è infondata per le ragioni che seguono.

Questa Corte ha già avuto modo di escludere che si versi in ipotesi di litispendenza nel caso in cui la medesima decisione di secondo grado venga impugnata sia con appello, sia con ricorso per cassazione, giacchè l’istituto della litispendenza tende a impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di più giudici che abbiano competenza a decidere, per evitare la possibilità di giudicati contrastanti, laddove un tale problema non si pone nel caso in cui siano stati proposti avverso lo stesso provvedimento due diversi mezzi di impugnazione, dei quali uno solo previsto dalla legge: e invero, in siffatta ipotesi, è il giudice dinanzi al quale è stato proposto il gravame ammissibile a dover decidere sulla impugnazione, mentre l’altro dovrà dichiarare inammissibile il mezzo del quale è stato investito (confr. Cass. civ., 3, 6 dicembre 2007, n. 25452). 2.1 Tanto premesso, e passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo l’impugnante lamenta violazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43, per non avere il decidente accolto l’eccezione di improseguibilità dell’azione esecutiva, a seguito del fallimento del creditore procedente.

2.2 La censura è infondata.

Il giudice di merito ha ritenuto priva di pregio l’eccezione di improseguibilità del processo esecutivo, a seguito del fallimento del creditore procedente, pacifico essendo che la carenza di legittimazione attiva del fallito sancita dal R.D. n. 267 del 1942, art. 43, può essere eccepita solo dal curatore. Ha aggiunto che assolutamente inconferente era il richiamo all’art. 51 della medesima fonte, in quanto norma volta a sancire il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive singolari sui beni ricompresi nel fallimento.

Così argomentando, il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio per cui l’improseguibilità del processo esecutivo consegue alla dichiarazione di fallimento del debitore fallito, non già del creditore istante. Quanto poi alla sorte dei processi di opposizione, nessuna norma ne sancisce l’improseguibilità, la quale sarebbe del resto rimedio assolutamente distonico rispetto al sistema: in caso di perdita della capacità di stare in giudizio della parte, questo prevede infatti solo l’interruzione del processo, con conseguente necessità di operarne la riassunzione, nella specie puntualmente intervenuta.

3.1 Si prestano a essere esaminate congiuntamente, per le ragioni che di qui a poco si andranno ad esporre, le doglianze che seguono.

Col secondo motivo l’impugnante denuncia falsa applicazione degli artt. 617 e 619 cod. proc. civ., per avere il giudice di merito qualificato il mezzo proposto opposizione di terzo, ex art. 619 cod. proc. civ., laddove la tutela processuale attivata, in quanto basata sulla mera allegazione della mancanza di titoli che giustificassero l’azione esecutiva in danno dell’opponente, doveva essere qualificata opposizione all’esecuzione.

3.2 Col terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 474 cod. proc. civ., per non avere il giudice di merito dichiarato estinto il processo esecutivo proposto nei suoi confronti, riunito a quello promosso da V.A. nei confronti di O.A., benchè la Banca di Roma, unico suo creditore istante, avesse rinunciato all’esecuzione.

3.3 Col settimo motivo denuncia violazione dell’art. 2920 cod. civ., con riferimento alla mancata condanna del creditore procedente al risarcimento dei danni a lui derivati dalla perdita della disponibilità del bene staggito.

3.4 Con l’ottavo mezzo lamenta violazione delle regole in materia di onere della prova, per avere il tribunale ritenuto non sufficientemente provato che egli era comproprietario in ragione di un mezzo del cespite sottoposto ad esecuzione, benchè il pignoramento immobiliare fosse stato eseguito e trascritto contro O.M. su quota pari ala metà dell’immobile.

4.1 Tutte le esposte censure sono inammissibili.

Nella sentenza impugnata il giudice di merito ha esplicitato che con l’unico atto introduttivo erano state proposte due distinte domande, una, qualificabile come opposizione di terzo all’esecuzione, ex art. 619 cod. proc. civ., l’altra come opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ.. In particolare, secondo il decidente, le doglianze relative alla asserita titolarità di diritti reali sui beni staggiti, ovvero alla comproprietà del cespite, implicando l’accertamento della illegittimità della esecuzione intrapresa in punto di appartenenza del bene sottoposto ad espropriazione, avevano introdotto una opposizione di terzo tardiva, ex art. 620 cod. proc. civ..

In tale prospettiva il Tribunale ha anche rigettato la domanda volta a ottenere la metà della somma ricavata dagli incanti. Ha in particolare ritenuto che l’opponente non avesse dato una compiuta prova nè della piena proprietà, sia pure pro quota, del cespite, nè dell’esatta quantificazione della quota stessa, reputando insufficiente la prova della intervenuta rinuncia alla eredità di Anna Nanni, originaria intestataria della metà del bene, da parte del marito e dell’altra figlia, in mancanza di rituale certificazione anagrafica (o, quanto meno, di dichiarazione sostitutiva) idonea a dimostrare l’inesistenza di altri successibili.

4.2 A fronte di tale apparato motivazionale, osserva il collegio che, fermo il principio per cui la scelta del mezzo di impugnazione deve farsi esclusivamente sulla base della qualificazione giuridica adottata dal giudice a quo, la decisione sull’opposizione di terzo (come del resto quella sull’opposizione all’esecuzione), e le connesse statuizioni sulla pertinenza della somma ricavata dalla vendita e sulla eventuale responsabilità del creditore procedente di mala fede, andavano impugnate col mezzo dell’appello.

Si ricorda in proposito che, quando le contestazioni della parte si configurino, nello stesso procedimento, come opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi, si deve ritenere che la sentenza, formalmente unica, contenga due decisioni distinte, soggette rispettivamente ad appello e a ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. civ., 3, 13 giugno 2006, n. 13655).

Ne deriva che le critiche svolte nei motivi di ricorso in esame, in quanto incentrate sull’insussistenza del diritto del creditore istante a espropriare la quota del bene staggito di pertinenza dell’opponente, andavano prospettate in sede di gravame.

4.3 Non è superfluo aggiungere, con specifico riguardo alle censure formulate nel terzo motivo, che questa Corte, nel delimitare l’arca di operatività dell’art. 2929 cod. civ., precisato che la regula iuris in esso racchiusa non trova applicazione quando la nullità riguardi proprio la vendita o l’assegnazione, oppure quando i vizi denunziati si configurino come motivi di opposizione all’esecuzione, ha segnatamente evidenziato che l’eventuale estinzione del procedimento esecutivo, per effetto della rinunzia del creditore procedente, e la perdita di efficacia del pignoramento possono essere opposte anche all’aggiudicatario, attenendo esse all’an della procedura e non al quomodo (confr. Cass. civ. 3, 11 novembre 2004, n. 21439), così confermando l’estraneità di tali questioni all’area della opposizione agli atti esecutivi.

Del resto le doglianze relative al rigetto della domanda volta a ottenere la metà della somma ricavata dagli incanti, non avendo l’opponente dato una compiuta prova nè della piena proprietà, sia pure pro quota, del cespite, nè dell’esatta quantificazione della quota stessa, prospettano, malgrado la surrettizia evocazione della violazione delle regole in materia di onere della prova, vizi motivazionali. Il ricorrente censura invero la valutazione del giudice di merito in ordine alla ritenuta insufficienza della prova offerta, in parte qua, dall’opponente, prospetta cioè critiche il cui scrutinio sarebbe in ogni caso in questa sede precluso perchè la sentenza che decide sulla opposizione agli atti esecutivi, ove di questa si trattasse, può essere impugnata con ricorso straordinario per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., unicamente per violazione di legge, per mancanza assoluta di motivazione, ovvero mera apparenza o radicale contraddittorietà della stessa, in ragione del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse o obiettivamente incomprensibili (confr. Cass. civ. 3 novembre 2008, n. 26426).

5.1 Attengono a vizi propri del procedimento il quarto e il quinto motivo di ricorso che si passa ora ad esaminare.

Con essi il ricorrente lamenta violazione degli artt. 599, 600 e 601 cod. proc. civ., per avere il giudice di merito erroneamente affermato che, essendo l’esecuzione condotta nei confronti di entrambi i proprietari (dopo la riunione del procedimento esecutivo promosso contro O.A., con quello promosso contro di lui), non andava applicata la disciplina relativa alla espropriazione di beni indivisi, laddove, almeno prima dell’ordinanza di riunione, proprio questa doveva essere osservata.

5.2 Col quinto motivo deduce il malgoverno dell’art. 2929 cod. civ., per non avere il decidente considerato che, avvalendosi della ordinaria diligenza, l’acquirente avrebbe potuto accorgersi e della intervenuta rinuncia alla esecuzione della Banca di Roma e della inesistenza di altri creditori muniti di titolo esecutivo.

5.3 Le critiche non hanno fondamento.

Il Tribunale, nel decidere sui rilievi formulati col mezzo dell’opposizione agli atti esecutivi, ha considerato non pertinente il richiamo all’art. 599 cod. proc. civ., perchè, dopo la riunione delle due procedure, l’espropriazione era stata comunque portata avanti nei confronti di entrambi i proprietari, e per l’intero cespite, conclusivamente rilevando che ogni possibilità di rimettere in discussione l’avvenuto trasferimento del bene era preclusa da ragioni impedienti di carattere processuale nonchè dall’operatività del disposto dell’art. 2929 cod. civ..

Ritiene il collegio che, così argomentando, il decidente abbia fatto corretta applicazione del principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui va dichiarata inammissibile, senza necessità di un esame sul merito, l’opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore denunzi un vizio formale verificatosi prima della vendita, qualora essa sia proposta dopo che la vendita è già stata compiuta, atteso che la disposizione di cui all’art. 2929 cod. civ., dispone che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto il trasferimento non ha effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di loro collusione con il creditore procedente (Cass. civ., 3, 30 maggio 2007, n. 12732).

A ciò aggiungasi che le critiche del ricorrente mirano a contestare la sussistenza dei presupposti per l’operatività della norma codicistica innanzi richiamata in chiave di difetto di diligenza del terzo acquirente, senza considerare che la disposizione da rilievo soltanto alla collusione, che presuppone una dolosa preordinazione della condotta dell’acquirente in danno dell’esecutato.

6.1 Col sesto mezzo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 139, 143 e 149 cod. proc. civ., per non avere egli avuto alcuna conoscenza degli atti della procedura, in ragione della inesistenza delle relative notificazioni, effettuate in luogo con il quale il destinatario non aveva relazione alcuna: segnatamente queste erano state eseguite presso la Casa comunale di Bologna, ex art. 143 cod. proc. civ., laddove al 4 agosto 1998, data della notifica del pignoramento della Banca di Roma, egli risiedeva alla (OMISSIS) della predetta città, ed era quindi assolutamente reperibile.

Nè erano state rispettate le formalità previste dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, a seguito dell’intervento del Giudice delle leggi.

6.2 Il motivo è inammissibile. Esso, prospettando una questione non trattata nella sentenza impugnata, doveva essere accompagnato dalla allegazione della sua avvenuta deduzione davanti al giudice di merito e dalla indicazione dell’atto del giudizio precedente in cui ciò era avvenuto, nell’osservanza di principi che, enunciati con riferimento ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze di appello e sintetizzati nella massima per cui i motivi devono investire, a pena di inammissibilità, problematiche già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di gravame, salvo che con essi vengano prospettate questioni rilevabili d’ufficio (confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, n. 6989), sono stati condivisilmente ritenuti applicabili anche al ricorso proposto, ex art. 111 Cost., avverso sentenza di primo (e unico) grado, come quella resa in sede di opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. sez. lav.

28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440;

Cass. civ., 3, 4 febbraio 2005, n. 2275).

Il ricorso deve in definitiva essere rigettato.

La peculiarità della fattispecie consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2010

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