Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 799 del 13/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 13/01/2017, (ud. 26/10/2016, dep.13/01/2017),  n. 799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9024-2014 proposto da:

FONDAZIONE TEATRO OPERA ROMA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

D.E.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DARDANELLI 13 presso lo STUDIO AVV.TI LIVI E GREGORACI,

rappresentato e difeso dagli Avvocati MARIA SERENA LIVI, GREGORACI

EDUARDO, EMANUELA FERRELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e sul ricorso 15415-2014 proposto da:

FONDAZIONE TEATRO OPERA ROMA;

– ricorrente –

contro

D.E.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DARDANELLI 13 presso lo STUDIO AVV.TI LIVI E GREGORACI,

rappresentato e difeso dagli Avvocati MARIA SERENA LIVI, GREGORACI

EDUARDO, EMANUELA FERRELLI, giusta delega in atti (controricorso

iscritto con certificato negativo);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 558/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/02/2014 R.G.N. 299/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato BRUNI ALESSANDRA;

udito l’Avvocato LIVI ELISABETTA per delega Avvocato FERRELLI

EMANUELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pubblicata il 7.2.14 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di rigetto emessa in prime cure dal Tribunale della stessa sede, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 13.4.11 per superamento del periodo di comporto ad D.E.M. dalla Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, che condannava a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro con le ulteriori statuizioni di tipo economico di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Per la cassazione della sentenza ricorre la Fondazione Teatro dell’Opera di Roma affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

D.E.M. resiste con controricorso.

Ex art. 335 c.p.c. la Corte ha disposto la riunione al presente giudizio di quello recante il n. 15415/14 R.G. avente ad oggetto l’impugnazione, sempre da parte della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, della medesima sentenza (sebbene i suoi estremi siano stati erroneamente indicati).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 CCNL Fondazioni Liriche e Sinfoniche, per avere la sentenza impugnata considerato come termine esterno del calcolo del periodo massimo di comporto quello di 10 mesi anzichè di 12 mesi lavorativi, come invece previsto dalla citata clausola contrattuale, da intendersi al netto dei periodi di ferie e di aspettativa goduti dall’intimato e che sospendono il termine esterno entro cui calcolare il periodo di comporto: diversamente – si obietta in ricorso – il periodo di comporto potrebbe non esaurirsi mai, conseguenza inaccettabile alla luce della comune intenzione dei contraenti.

Censura in sostanza analoga viene fatta valere con il secondo e il terzo motivo, sotto forma di violazione e/o falsa applicazione, sempre in relazione all’art. 21 cit. CCNL, rispettivamente dell’art. 12 preleggi, comma 1 e dell’art. 97 Cost., comma 1 e art. 117 Cost., comma 1.

Il quarto motivo deduce nullità della sentenza ex art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè inidonea al raggiungimento dello scopo, nella parte in cui la Corte territoriale ha asserito che la Fondazione ricorrente non avrebbe, all’atto del licenziamento, specificato in modo sufficientemente chiaro le modalità di calcolo che a suo avviso dovevano essere seguite: obietta a riguardo la ricorrente che se il lavoratore – come avvenuto nel caso di specie – non ha chiesto al datore di lavoro di specificare i fatti che abbiano determinato il superamento del periodo di comporto, questi possono essere precisati dal datore di lavoro nel corso del giudizio.

Analoga, sostanzialmente, è anche la doglianza mossa con il quinto motivo, sotto forma di omesso esame d’un fatto decisivo e oggetto di discussione fra le parti.

2- Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente perchè la Fondazione Teatro dell’Opera di Roma gli aveva notificato il 3.4.14 un precedente ricorso per cassazione contro una sentenza i cui estremi erano diversi da quelli della pronuncia effettivamente emessa tra le parti (sul cui contenuto e sulla cui esatta individuazione non v’è dubbio alcuno).

Invero, per costante giurisprudenza di questa S.C. consolidatasi sin da Cass. S.U. n. 9409/94, è possibile proporre un nuovo ricorso (ove non siano decorsi i termini di impugnazione) in sostituzione – non ad integrazione o a correzione di uno precedente non ancora dichiarato inammissibile o improcedibile (diversamente, scatterebbe la preclusione di cui all’art. 387 c.p.c.).

E’ quanto avvenuto nel caso di specie: il primo ricorso per cassazione è stato notificato il 3.4.14, ma non è stato depositato nei termini. Prima che sia stato dichiarato improcedibile ex art. 369 c.p.c. (cosa che avviene solo con la presente sentenza) e prima che sia scaduto il termine di cui all’art. 325 cpv. c.p.c., è stato notificato, il 14.4.14, un secondo ricorso per cassazione, sempre da parte della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, ritualmente depositato nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1.

Pertanto, mentre si dichiara improcedibile il ricorso recante il n. 15415/14 R.G., deve darsi atto dell’ammissibilità di quello recante il n. 9024/14 R.G.

Va, poi, disattesa l’eccezione di nullità di tale ricorso perchè privo delle conclusioni e per ciò solo inidoneo – a dire del controricorrente – al raggiungimento dello scopo suo proprio.

A parte il rilievo che il ricorso contiene conclusioni in cui se ne chiede l’accoglimento, basti notare che l’art. 366 c.p.c. non prevede, nè a pena di nullità nè sotto comminatoria di inammissibilità, che il ricorso per cassazione formuli apposite conclusioni (cfr. Cass. S.U. n. 9658/09). Nè il ricorso così redatto può considerarsi nullo ex art. 156 c.p.c., comma 2 perchè inidoneo al suo scopo, atteso che, dopo la notifica del ricorso per cassazione e il suo deposito, il giudizio di legittimità è retto da impulso officioso, di guisa che prescinde dal fatto che sia stata esplicitamente chiesta la cassazione, con o senza rinvio, della sentenza impugnata.

3- I primi tre motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono fondati.

Dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi delle parti (pacifici su questo dato di fatto) risulta che l’odierno controricorrente è stato ininterrottamente assente per malattia dal 26.10.09 al 23.8.10; è stato in ferie dal 24.8.10 al 24.9.10; dal 25.9.10 al 28.2.11 ha fruito, a sua richiesta, di aspettativa per motivi personali ex art. 25 cit. CCNL; dal 1.3.11 è stato di nuovo assente per malattia (con prognosi fino a tutto il 29.4.11) fino a quando il 13.4.11 non gli è stato intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto.

In totale, dunque, ha totalizzato – al netto, s’intende, dei periodi di ferie ed aspettativa – assai più dei 10 mesi di assenza per malattia previsti come termine interno di comporto dal cit. art. 21 cit. CCNL, termine interno che però va calcolato, sempre ai sensi della citata clausola del contratto collettivo, in un arco di tempo di 12 mesi (termine esterno).

Se si calcolasse il termine esterno – quello di 12 mesi – in maniera continuativa, anche quando il lavoratore era in ferie o in aspettativa, il termine interno non risulterebbe esaurito al momento del licenziamento, giacchè nell’arco di 12 mesi continuativi il lavoratore non ne ha totalizzato più di 10 di assenza per malattia, ma solo 9 e 23 giorni (come sostiene il controricorrente, in ciò seguito dalla sentenza impugnata).

Il termine (interno) di comporto risulta, invece, del tutto decorso ove si condivida la contraria interpretazione propugnata dall’odierna ricorrente, secondo cui il termine esterno è da intendersi al netto dei periodi di ferie e di aspettativa goduti dall’intimato, di guisa che, essendo ripreso il 1.3.11, tale termine esterno sarebbe proseguito ancora per due mesi e sette giorni. In questo arco di tempo il lavoratore aveva già esaurito il termine massimo di 10 mesi di comporto previsto dall’art. 21 cit. CCNL.

La formulazione letterale di tale clausola contrattuale non fornisce validi spunti, parlando genericamente d’un termine di osservazione (cioè d’un termine esterno) di 12 mesi, senza ulteriore specificazione.

Soccorre tuttavia, nell’ottica del canone ermeneutico di cui all’art. 1363 c.c., il successivo art. 25, comma 3, secondo il quale l’aspettativa concessa su richiesta del lavoratore “…non comporta alcuna retribuzione nè maturazione di alcun effetto contrattuale”.

Ciò significa che, ai sensi di tale clausola, l’aspettativa sospende ad ogni effetto il rapporto di lavoro e con esso le sinallagmatiche obbligazioni delle parti, il che – d’altronde – è conforme all’insegnamento di questa S.C. (cfr., ad esempio, Cass. n. 6563/98) e alla logica stessa del termine esterno del periodo di comporto previsto dal cit. art. 21 (non diversamente da quanto accade anche in altri contratti collettivi).

Infatti, come l’aspettativa e le ferie sospendono il decorso del termine interno (e ciò a prescindere dal fatto che prosegua o meno la malattia del lavoratore), così simmetricamente devono sospendere anche il decorso di quello esterno, non giustificandosi che l’aspettativa e le ferie producano soltanto alcuni effetti, quelli favorevoli al lavoratore (che così potrebbe veder esaurito il termine esterno e, con esso, il rischio di superamento, in tale arco di tempo, di quello interno) e non anche quelli favorevoli al datore di lavoro (che potrebbe invece prolungare il periodo di osservazione entro il quale esercitare il proprio potere di recesso a fronte di assenze per malattia superiori, in totale, al periodo di conservazione del posto di lavoro).

La contraria esegesi sostenuta dal controricorrente e accolta dalla Corte territoriale, oltre a non essere conforme al doveroso approccio di carattere sistematico, collide altresì con la norma di chiusura dell’art. 1371 c.c., secondo cui, ove il contratto a titolo oneroso rimanga oscuro, esso deve intendersi nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti.

Tale è la soluzione che questa Corte Suprema (v. Cass. n. 2794/15 e Cass. n. 12233/13) ha già avuto modo di accogliere, sebbene in relazione ad altri CCNL di analogo contenuto sul punto: il termine c.d. esterno entro il quale calcolare le assenze al fine di verificare l’eventuale consumazione del termine interno di comporto resta sospeso durante i periodi di aspettativa.

Ciò questa Corte ha sancito non solo in base all’interpretazione letterale di quei testi negoziali, ma anche in virtù dell’ulteriore considerazione che le regole dettate dall’art. 2110 c.c., per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, hanno la funzione di contemperare gli interessi, in conflitto, del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre d’un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sul primo, in parte ed entro un arco di tempo determinato, il rischio della malattia del dipendente.

La possibilità di fruire d’un periodo di aspettativa già di per sè amplia la tutela del lavoratore e non può ulteriormente limitare il potere di recesso del datore di lavoro ove, al suo spirare, il dipendente non riprenda servizio, oppure si assenti in conseguenza d’un ulteriore episodio morboso, così determinando il superamento del periodo di comporto, che segna il limite di tollerabilità dell’assenza, valutato dalle parti collettive preventivamente ed in modo generalizzato (cfr. Cass. n. 12233/2013, cit.).

Questa interpretazione è maggiormente rispettosa del bilanciamento dei contrapposti interessi (v., altresì, Cass. n. 11115/02) e tiene conto del rilievo che l’aspettativa richiesta dal lavoratore opera come una parentesi che si inserisce nel rapporto di lavoro e che, determinando la sospensione di tutte le obbligazioni sinallagmatiche tra le parti, come non può essere considerata ai fini del diritto alla retribuzione e al decorso dell’anzianità così non può essere considerata nemmeno al fine di far decorrere il termine esterno di comporto.

In altre parole, tale effetto sospensivo vale per il datore di lavoro, al quale è inibito medio tempore il potere di recedere dal contratto, ma anche per il lavoratore, che non può giovarsi dell’aspettativa al fine di prolungare il limite esterno del periodo di comporto.

In conclusione, il periodo di aspettativa – così come quello coperto da ferie deve ritenersi neutro, con la conseguenza che, ove sia richiesto e fruito dal lavoratore, non può essere computato nell’arco temporale del termine esterno.

4- Ancora fondati sono il quarto motivo di ricorso (sebbene erroneamente riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e il quinto, che coinvolgono la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, là dove ha accolto la domanda dell’odierno controricorrente anche perchè la lettera di licenziamento non aveva specificamente indicato quanti giorni di assenza per malattia erano stati considerati e con quali modalità di calcolo.

Al contrario, deve osservarsi che soltanto con il nuovo testo della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2 come novellato ex lege n. 92 del 2012 (inapplicabile ratione temporis nel caso di specie) la lettera di licenziamento deve contestualmente specificare i motivi del recesso.

Per i licenziamenti intimati – come quello per cui è causa – sotto la previgente formulazione deve darsi continuità alla costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr., ex aliis, Cass. n. 16421/10) secondo la quale, ove il lavoratore non abbia chiesto la specificazione dei motivi del licenziamento, ben può il datore di lavoro precisarli in sede giudiziaria.

A maggior ragione ciò valga nella vicenda in oggetto, atteso che – secondo quel che emerge dalla lettura della sentenza impugnata – la lettera di recesso aveva comunque già indicato che il licenziamento veniva intimato per superamento del periodo di comporto.

5- In conclusione, il ricorso n. 9024/14 R.G. è da accogliersi, mentre si dichiara improcedibile il ricorso recante il n. 15415/14 R.G..

Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto:

“Ai sensi del combinato disposto degli artt. 21 e 25 CCNL Fondazioni Liriche e Sinfoniche e conformemente ai canoni di cui agli artt. 1363 e 1371 c.c., anche il decorso del termine c. d. esterno del periodo di comporto è sospeso durante i periodi di aspettativa o di ferie del lavoratore.”.

“Per i licenziamenti intimati nel vigore della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2 prima della novella di cui alla L. n. 92 del 2012, se il lavoratore non ha chiesto la specificazione dei motivi del licenziamento questi possono essere precisati in sede giudiziaria dal datore di lavoro.”.

PQM

LA CORTE

accoglie il ricorso recante il n. 9024/14 R.G. e dichiara improcedibile quello recante il n. 15415/14 R.G., cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2017

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