Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7988 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 25/01/2019, dep. 21/03/2019), n.7988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23648-2013 proposto da:

TRAVERTINI CAUCCI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA RAFFAELE

CAVERNI 16, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIANSANTE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANNI IERARDI, DANIELE

GRIMALDI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GUIDONIA MONTECELIO, elettivamente domiciliato in ROMA

VIALE DELLE PROVINCIE 114B/23, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

D’AMICO, rappresentato e difeso dall’avvocato ELVIRA DI MEZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 487/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 11/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/01/2019 dal Consigliere Dott. BILLI STEFANIA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

– la controversia ha ad oggetto tre avvisi di accertamento con cui il comune ha accertato l’omesso versamento dell’ICI per gli anni 2002, 2003 e 2004, oltre sanzioni e interessi con riguardo ad alcuni terreni, con destinazione industriale estrattiva;

– C.T.R. del Lazio, riformando la Commissione tributaria provinciale, ha accolto l’appello del comune;

– avverso la sentenza ricorre la contribuente, mentre il comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. La contribuente propone tre motivi di impugnazione. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia sull’eccezione di decadenza dall’accertamento ICI per l’anno 2002; si deduce che la notifica dell’avviso di accertamento è avvenuta l’1.12.2008, oltre il termine di cinque anni fissato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1,comma 161.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Ai sensi della L. n. 296 del 2007, art. 1, comma 161, “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.”.

E’ stato affermato dalla S.C. in modo del tutto condivisibile che: “In tema d’ICI, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, che ha abrogato dal 1 luglio 2007 il previgente D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1 e si applica, ai sensi del predetto art. 1, comma 171, anche ai rapporti d’imposta precedenti alla data della sua entrata in vigore (1 gennaio 2007), ha aumentato da tre a cinque anni il termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, il quale, nel caso in cui l’occupazione o la detenzione dei locali sia in corso fin dall’inizio del periodo d’imposta e, comunque, prima del 20 gennaio, decorre dall’anno corrente, mentre se tale situazione si sia verificata successivamente opera dal 20 gennaio dell’anno successivo.” (Cass. n. 20797 del 2016). L’innovazione sostanziale introdotta dalla nuova disciplina consiste nell’avere portato a cinque anni il termine di decadenza entro il quale gli enti locali possono contestare ogni genere di irregolarità fiscale, utilizzando esclusivamente lo schema procedurale e formale dell’avviso di accertamento, mentre l’avviso di liquidazione è stato soppresso.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 171, prevede, poi, che la nuova disciplina trovi applicazione anche nei rapporti pendenti al 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria.

Ritiene, sul punto, il collegio di dare applicazione al principio consolidato della S.C., in forza del quale “I termini stabiliti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, in sostituzione di quelli D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 11 si applicano, a norma del medesimo art. 1, comma 171, anche laddove (come nella specie) sia già intervenuta la notifica dell’avviso di accertamento e il contribuente l’abbia impugnato in un giudizio non ancora concluso.” (Cass. n. 13066 del 2017). Nello stesso senso si era già espressa Cass. n. 10958 del 2011 che, nella motivazione ha chiarito, con particolare riferimento al citato art. 1, comma 171, che “avuto riguardo al tenore letterale ed al significato delle parole usate, deve ritenersi che con esse il Legislatore abbia voluto estendere le nuove regole a tutte le vicende non ancora esaurite, dettando così una disciplina destinata a valere anche per il passato e cioè pure per quei casi in cui fosse già intervenuta la notificazione dell’accertamento o del ruolo ed il contribuente li avesse impugnati, instaurando al riguardo un giudizio non ancora concluso al momento di entrata in vigore della legge”.

Nel caso di specie, con riferimento all’anno 2002, oggetto di censura, l’accertamento poteva essere effettuato entro il 31 dicembre 2007, mentre gli avvisi di accertamento sono stati notificati il 1 dicembre 2007. Il motivo deve quindi essere respinto, stante la tempestività dell’avviso.

2. Con il secondo motivo censura la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in particolare, ci si duole che nella motivazione si faccia riferimento al tributo dovuto per l’anno 2005 e si considera l’accoglimento da parte del giudice di primo grado. Nel giudizio, viceversa, i tributi sono quelli relativi alle annualità 2002, 2003 e 2004 e la Commissione tributaria provinciale aveva accolto i ricorsi.

2.1. Il motivo è infondato. Si osserva, innanzitutto, che la contraddittorietà della motivazione attiene specificamente solo alle questioni di fatto e non alle questioni di diritto. La natura edificatoria oggetto della censura non è un fatto, ma una qualificazione giuridica.

Per altro verso, poi, gli errori lamentati dalla contribuente sono con tutta evidenza di carattere materiale e non inficiano la ricostruzione del processo motivazionale, sia dal punto di vista logico, sia dal punto di vista giuridico.

Più in generale, inoltre, deve essere riaffermato il principio secondo cui “Il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice.” (Cass. n. 25984 del 2010). Nel caso in esame è perfettamente comprensibile perchè la CTR abbia, anche correttamente, ritenuto l’area edificabile ed assoggettabile ad Ici.

3. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alla qualificazione di area fabbricabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, nonchè la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte. Ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2:”Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attivitai dell’impresa.”.

Costituisce principio ormai acquisito e del tutto condiviso da questo collegio che “l’imposta comunale sugli immobili è una imposta locale sul patrimonio immobiliare, a carattere proporzionale (ad aliquota unica), reale (in quanto prescinde dalle ulteriori condizioni economiche del contribuente) e periodica (riferita all’anno solare). Infatti, il presupposto impositivo è costituito, per quanto interessa in questa sede, dal “possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati” (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2). Dunque, l’ICI incide sia il possesso delle aree fabbricabili che quello dei terreni agricoli. La distinzione, però, è rilevante, ai fini fiscali, perchè differenti sono i criteri utilizzati per determinare la base imponibile.”(Cass. s.u. n. 25506 del 2006).

Si tratta, quindi, di un’imposta sul patrimonio immobiliare che si diversifica per la determinazione dell’imponibile tra aree fabbricabili ed aree agricole.

Occorre fare riferimento al principio consolidato, del tutto condiviso da questo collegio, in forza del quale: “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.” (Cass. s.u. n. 25560 del 2006; Cass. n. 20137 del 2012). Nel caso in esame la sentenza impugnata ha accertato che il comune aveva adottato il Piano Regolatore Generale (Delib. Consiglio comunale 15 maggio 1971, n. 115 bis) ed aveva, poi, adottato una delibera con cui aveva approvato e determinato il valore dei terreni per cui è causa. In particolare, si tratta di area destinata ad attività industriale, di estrazione, ricondotta alla sottozona D 3. Correttamente, pertanto, risulta affermato in motivazione che “l’espressione del potere conformativo avvenuto attraverso lo strumento del PRG sia sufficiente ad influire sul valore venale in comune commercio, disancorandolo al valore catastale o agricolo”.

Ne consegue che va disattesa la doglianza per cui la sentenza non avrebbe tenuto conto dei presupposti per l’applicazione dell’imposta in questione.

La contribuente sostiene, da un lato, che, ai fini dell’applicazione dell’imposta, rileva l’edificabilità in concreto e conclude, pertanto, per l’esenzione dei terreni dall’applicazione dell’imposta, in quanto attualmente le aree sono destinate ad attività estrattiva. Per altro, verso ritiene rilevante ai fini della predetta esenzione la circostanza che, in virtù della previsioni delle Norme tecniche di attuazione al PRG, al momento della cessazione di tale destinazione le predette aree sarebbero assoggettate alla normativa della sottozona E/2, ovvero a zona verde di particolare pregio.

Tali soluzioni interpretative non possono trovare accoglimento. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, sopra riportato, infatti, nella sua portata applicativa prende in considerazione la potenzialità edificatoria. In questo senso, infatti, si è pronunciata la S.C. in tema di terreni con vincolo di destinazione, affermando che esso non esclude il carattere edificabile del bene, ma incide solamente sulla determinazione del valore venale del bene. (Cass. n. 23814 del 2016). Non ha rilevanza, pertanto, ai fini dell’applicazione dell’imposta che il bene sia stato in concreto, destinato a cava e ad attività di estrazione, ma la sua potenzialità edificatoria.

Tali rilievi sono sufficienti per escludere la rilevanza della ipotetica futura cessazione della predetta attività con riconduzione delle aree nella sotto zona E/2, prevista dalle Norme tecniche di attuazione del PRG sopra richiamate. In ogni caso sotto quest’ultimo profilo, questo collegio condivide il principio già espresso dalla S.C., secondo cui: “In tema di ICI, perchè un fondo possa beneficiare, ai fini della determinazione della base imponibile, dei criteri di calcolo previsti per i terreni edificabili destinati a fini agricoli, è necessaria – ai sensi del secondo periodo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b) – oltre alla sua effettiva destinazione agricola, anche la conduzione diretta di esso da parte del contribuente. (Cass. n. 10144 del 2010). Tali presupposti sono del tutto assenti nell’ipotesi di specie.

A volere ritenere diversamente si introdurrebbe un’ipotesi di esenzione dall’imposta non prevista dalla legge, attività preclusa all’organo giudicante stante la tassatività dei casi di esenzione.

Accanto ai predetti rilievi si ritengono altresì corrette le osservazioni contenute sul punto nella sentenza impugnata. In particolare, è indiscutibile che i terreni in questione siano a vocazione industriale. In tal senso depone il R.D. n. 1572 del 1931, art. 18, “sono escluse dalla stima fondiaria le miniere, le cave, le torbiere, le saline ed i laghi stagni da pesca, con la superficie stabilmente occupata per la relativa industria, le tonnare.”

Tenuto conto di quanto sopra ritenuto è da escludere l’inapplicabilità del tributo ai terreni per cui è causa, pena un’indebita esenzione non prevista dall’ordinamento.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna alle spese secondo il principio della soccombenza che vengono liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la contribuente a pagare in favore del comune le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso e spese forfettarie nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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