Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7987 del 22/03/2021

Cassazione civile sez. I, 22/03/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 22/03/2021), n.7987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1550/2016 proposto da:

V.A., nella qualità di procuratore speciale di

D.S.D.C., M.M. e M.U., elettivamente

domiciliato in Roma, via degli Avignonesi 5, presso lo studio

dell’avvocato Andrea Abbamonte, e rappresentato e difeso

dall’avvocato Angelo Carbone, in forza di procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Allianz s.p.a., Anas s.p.a., Ingg. C. e B. s.p.a. in

liquidazione;

– intimati –

e contro

Anas s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, piazza della Libertà 20, presso

lo studio dell’avvocato Massimiliano Marotta, che lo rappresenta e

difende in forza di procura speciale alle liti del 18/2/2016;

– controricorrente –

e contro

Ingg. C. e B. s.p.a., in liquidazione in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Giovanni Antonelli 49, presso lo studio dell’avvocato Sergio Como,

che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente incidentale –

contro

Allianz s.p.a., Anas s.p.a., V.A. nella qualità di

procuratore speciale D.S.D.C., M.M. e

M.U.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2125/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/02/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 12/2/2001 V.A., agendo quale procuratore speciale di D.S.D.C., M.M. e M.U., eredi di M.A., deceduto il (OMISSIS), ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Nola le s.p.a. Ingg. C. e B. e ANAS, al fine di sentirle condannare, in solido o in alternativa, al pagamento dell’indennità della L. n. 2359 del 1865, ex art. 46, spettante per il deprezzamento di un appezzamento di terreno, sito in (OMISSIS), censito al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), già appartenuto al de cuius, su cui insisteva un fabbricato oggetto di richiesta di concessione in sanatoria ai sensi della L. n. 47 del 1985; l’indennità richiesta era stata quantificata in Euro 522.701,27 e veniva pretesa in conseguenza della costruzione di un “rilevato stradale”, ritenuto pregiudizievole, nell’ambito dei lavori del 3 lotto della variante alla strada statale n. (OMISSIS), eseguiti dalla C. e B. per conto di Anas.

Si sono costituite in giudizio sia la C. e B., sia l’ANAS che hanno eccepito il difetto di giurisdizione, la prescrizione e il difetto di legittimazione passiva, ciascuna per la propria sfera, e hanno chiesto il rigetto della domanda, anche sul presupposto della natura abusiva, non sanata della costruzione sotto il profilo edilizio.

Su richiesta della C. e B. è stata coinvolta nel giudizio come terza chiamata la RAS s.p.a., sua assicuratrice.

Il Tribunale di Nola, esperita consulenza tecnica, con sentenza del 30/6/2011 ha respinto le domande di parte attrice, condannandola alla rifusione delle spese processuali delle altre parti e ponendo a suo carico le spese di consulenza tecnica.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello V.A., a cui hanno resistito gli appellati ANAS, C. e B. e Allianz s.p.a., succeduta a RAS s.p.a..

La Corte di appello di Napoli con sentenza dell’11/5/2015 ha confermato la decisione di primo grado, seppur con diversa motivazione, e cioè accogliendo l’eccezione di prescrizione proposta

e riproposta dall’ANAS, estendendone gli effetti anche al coobbligato solidale C. e B., che non l’aveva riproposta, e rigettando la domanda attorea perchè prescritta nel termine decennale, ritenuto applicabile, in difetto di prova di validi e tempestivi atti interruttivi; ha inoltre dichiarato assorbiti i motivi di gravame e rinunciate le domande verso Allianz, non riproposte in secondo grado; ha infine condannato il V. alla rifusione delle spese delle parti appellate.

3. Avverso la predetta sentenza, con atto notificato il 16/1/2016 ha proposto ricorso per cassazione V.A., svolgendo nove motivi.

Con atto notificato il 19/2/2016 ha proposto controricorso l’ANAS, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Con atto notificato il 24/2/2016 ha proposto controricorso e ricorso incidentale condizionato la C. e B., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e riproponendo subordinatamente, a sua volta, la richiesta di rigetto nel merito della domanda di indennizzo.

L’intimata Allianz non si è costituita.

Hanno depositato memoria illustrativa sia il ricorrente, sia la controricorrente C. e B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2934 e 2935 c.c. e alla L. n. 2359 del 1865, art. 46.

1.1. Secondo il ricorrente, il dies a quo per il decorso della prescrizione – che deve coincidere con il giorno da cui il diritto può esser fatto valere – non poteva essere identificato in quello del completamento delle opere della S.S. (OMISSIS), perchè il pregiudizio si era consumato solo nel momento in cui si era effettivamente generata una notevole diminuzione delle facoltà costituenti il nucleo essenziale dei diritti di proprietà, e cioè nel momento in cui il soggetto danneggiato aveva maturato la piena conoscenza del pregiudizio patito e poteva quindi agire in giudizio.

Prosegue il ricorrente, osservando che nulla ANAS aveva dedotto in giudizio per dimostrare quale fosse tale data e che in ogni caso la strada statale era stata aperta al pubblico solo nel 1992 con ordinanza del 21/12/1992, come riferito da ANAS in comparsa di risposta di primo grado; data questa rispetto alla quale l’avvio dell’azione nel 2001 doveva essere considerato ampiamente tempestivo.

1.2. A cavallo fra le pagine 10 e 11 della sentenza impugnata la Corte territoriale ha affermato come “incontroverso” che il dies a quo del periodo prescrizionale doveva essere individuato in quello del completamento della costruzione dell’opera pubblica (completata il 2/7/1986, data dello stato finale dei lavori), assumendo che era in quel momento che il danneggiato aveva “avuto piena conoscenza del pregiudizio indennizzabile”.

1.3. Il ricorrente invoca la regola dell’art. 2935 c.c., secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e la sua interpretazione, ben consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, in materia di responsabilità extracontrattuale, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e della derivazione causale dell’uno dall’altro, nonchè dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa connotante detto illecito (ex plurimis e da ultimo Sez. 3, 21/02/2020, n. 4683).

Tuttavia nella specie la Corte partenopea si è attenuta alla predetta regula juris che impone di individuare il dies a quo in quello in cui il soggetto legittimato ad agire può percepire la violazione del proprio diritto, e ha valutato, in concreto e nel merito, che tale data dovesse essere individuata in quella del completamento dei lavori del manufatto stradale.

Tale conclusione è peraltro del tutto allineata a un recente arresto delle Sezioni Unite che, sempre con riferimento ad una sentenza della Corte napoletana e a un pregiudizio dedotto con riferimento alla costruzione di un diverso manufatto stradale, hanno affermato che il termine per la prescrizione del diritto all’indennità prevista dalla L. n. 2359 del 1865, art. 46, decorre dal momento in cui il danneggiato ha piena conoscenza del pregiudizio derivante dalla perdita o diminuzione di facoltà inerenti al proprio diritto dominicale conseguenti all’esecuzione dell’opera pubblica, risolvendosi poi a confermare la sentenza di merito che aveva individuato il dies a quo della prescrizione nella data di redazione di un verbale attestante la realizzazione dell’opera pubblica nei suoi tratti essenziali, ritenendo che da quel momento gli aventi diritto fossero nella possibilità di percepire il pregiudizio indennizzabile (Sez. un., 04/09/2018, n. 21589).

La statuizione della sentenza impugnata si fonda dunque su una valutazione in fatto, circa la possibilità per l’avente diritto all’indennizzo di constatare, a partire dalla data in questione, il carattere permanente del pregiudizio che la realizzazione del manufatto avrebbe cagionato all’immobile di sua proprietà e non contraddice i precedenti giurisprudenziali di questa Corte, che si limitano ad enunciare il principio secondo il quale la prescrizione in materia comincia a decorrere dal momento in cui il danneggiato matura la piena conoscenza del pregiudizio indennizzabile.

1.4. La censura quindi appare infondata, nell’assunto di violazione delle regole di diritto; inammissibile, nella pretesa di ottenere un rinnovo in sede di legittimità della valutazione espressa dalla Corte di appello circa il momento della piena consapevolezza del pregiudizio dedotto e comunque generica nell’arsenale di supporto; infine inammissibile, per difetto di autosufficienza, nell’invocazione di un documento (l’ordinanza del 21/12/1992) non allegato, non trascritto nei suoi contenuti e non situato debitamente negli atti processuali e soprattutto richiamato in modo del tutto generico, senza dar conto delle ragioni per cui avrebbe assunto rilievo ai fini menzionati l’apertura al traffico della strada e non la sua ultimazione.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2943 c.c., comma 4.

2.1. Secondo il ricorrente le note prodotte ai fini di dimostrare l’avvenuta interruzione del periodo di prescrizione possedevano tutti i requisiti di una valida costituzione in mora, non erano mai state impugnate da controparte e il loro ricevimento non era stato contestato; anzi la C. e B. con lettera dell’8/2/1995 vi aveva dato riscontro.

Inoltre – prosegue il ricorrente – anche una lettera raccomandata senza avviso di ricevimento ben poteva essere ritenuta un valido interruttivo, dovendosi presumere il suo ricevimento da parte del destinatario.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.2.1. Quanto alla lettera dell’avv. Catapano spedita il 14/3/1997 (terzo capoverso, punto 1, di pagina 11 della sentenza impugnata), la censura non affronta e non confuta l’argomentazione dirimente della sentenza impugnata (pag. 11, quarto capoverso) circa la sua tardività perchè inviata oltre dieci anni dalla di ultimazione dei lavori il 2/7/1986.

2.2.2. Quanto alla lettera, senza data, attribuita ad M.A., indirizzata sia all’ANAS, sia alla C. e B., e collegata dal ricorrente alle distinte di spedizione del 14/4/1994 (terzo capoverso, punto 2, di pagina 11 della sentenza impugnata), la Corte partenopea ha osservato che non vi era prova che tali lettere fossero state effettivamente spedite dal sig. M.A. (il de cuius, allora proprietario del bene) perchè le distinte citate indicavano un ben diverso mittente, ossia tali ” O. e S.V.”.

2.3. Il ricorrente, a proposito di quest’ultima lettera, sostiene che la C. e B. avrebbe ammesso, o almeno non contestato, di averla ricevuta, perchè avrebbe dato riscontro con lettera 8/2/1995 alla richiesta di liquidazione dei danni.

La censura difetta di specificità e autosufficienza nell’invocazione di un documento (la lettera 8/2/1995) non allegato, non trascritto nei suoi contenuti e non situato debitamente negli atti processuali e soprattutto richiamato in modo del tutto generico.

Non si vede infatti in qual modo questa Corte possa valutare se tale lettera contenesse un’ammissione, esplicita o implicita, del ricevimento della lettera del 14/4/1994, e comunque apprezzarne il contenuto.

Inoltre, così argomentando, il ricorrente propone una questione nuova, visto che non indica quando e come egli abbia dedotto e prospettato nel giudizio di merito la tesi che ora viene a sottoporre al giudice di legittimità.

2.4. Non pertinente, infine, appare il richiamo della giurisprudenza di questa Corte e in particolare della sentenza n. 20144 del 2005, secondo cui “la lettera raccomandata o il telegramma – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente (In termini, Cass. 24 novembre 2004, n. 22133. Sempre nello stesso senso, Cass. 20 gennaio 2004, n. 771; Cass. 19 agosto 2003, n. 12135; Cass. 3 luglio 2003, n. 10536, tra le tantissime)”.

Nella specie non è questione se si possa presumere il ricevimento di una missiva spedita per raccomandata attraverso il servizio postale, poichè non vi è prova neppure del fatto che M.A. abbia spedito alle parti controricorrenti la missiva del 1994, visto che la distinta di spedizione sulla quale fonda il proprio assunto non indica affatto il suo nome.

3. Con il terzo motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 4, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo.

3.1. Il ricorrente si riferisce alla non applicabilità dell’estensione degli effetti della prescrizione a causa della rinuncia di C. e B. a far valere l’eccezione sollevata da ANAS con manifestazione tacita di volontà contrattuale e conseguente inoperatività dell’estensione.

3.2. L’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, in tema di ricorso per vizio motivazionale per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

3.3. Innanzitutto, la censura proposta non deduce l’omesso esame di un fatto storico, ma, a rigore, si riferisce a una valutazione giuridica e comunque non dà neppur conto dei tempi e dei modi in cui tale questione sarebbe stata sottoposta al contraddittorio processuale.

3.4. In secondo luogo, anche a voler leggere conservativamente, ut magis valeat quam pereat, l’argomentazione del ricorrente, in combinato con la doglianza di cui al secondo motivo, come fondata sulla mancata considerazione della lettera 8/2/1995 della C. e B., incorre in tutte le carenze e aporie evidenziate nel precedente p. 2.3., che la consegnano ineludibilmente all’applicazione dello stigma di inammissibilità.

4. Con il quarto motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 5, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2938 c.c. e art. 112 c.p.c., a fronte della rinuncia all’eccezione di prescrizione da parte di C. e B. che l’aveva inizialmente proposta e poi vi aveva desistito.

4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia tacita alla prescrizione presuppone un comportamento processuale in cui sia necessariamente insita la univoca volontà di non sollevare la relativa eccezione; tant’è che l’essersi difeso nel giudizio di primo grado sul merito della causa senza eccepire preliminarmente la prescrizione non integra di per sè stesso un fatto univoco, incompatibile con la volontà di sollevare tale eccezione, conseguentemente ammissibile in appello nel regime processuale anteriore alla novella dell’art. 345 c.p.c. (Sez. 3, n. 21248 del 29/11/2012, Rv. 624470 – 01; Sez. 2, 28/02/2007, n. 4783; Sez. 3, 28/07/2000, n. 9927).

4.2. Non possono quindi integrare rinuncia tacita, sul piano sostanziale, alla prescrizione, ai sensi dell’art. 2937 c.c., condotte meramente processuali (omissive) quali la mancata insistenza in sede conclusionale sull’eccezione tempestivamente proposta nella comparsa costitutiva di primo grado ovvero la mancata riproposizione dell’eccezione ex art. 346 c.p.c., nel giudizio di appello.

Tali comportamenti – in difetto di altri elementi, non dedotti possono rilevare solamente sul piano processuale.

4.3. E tuttavia, sotto questo profilo, la Corte di appello non ha affatto accolto l’eccezione di prescrizione di C. e B., inizialmente proposta e poi abbandonata, ma piuttosto ha esteso alla sfera giuridica di quest’ultima, in quanto condebitrice solidale, la vittoriosa operatività dell’eccezione proposta e coltivata da ANAS (pag. 12, primo paragrafo), non diversamente da quanto avrebbe potuto fare se mai C. e B. avesse proposto in giudizio l’eccezione.

4.3.1. Secondo la Corte territoriale, che in proposito ha indicato due precedenti di legittimità, l’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale ha effetto anche in favore degli altri coobbligati ogni qual volta la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti degli altri possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente, come nel caso in cui il coobbligato non eccipiente non sia costituito in giudizio.

La Corte napoletana ne ha tratto la conseguenza che poichè l’ANAS era tenuta a manlevare l’appaltatrice la mancata estinzione del rapporto obbligatorio relativamente a quest’ultima avrebbe prodotto conseguenze pregiudizievoli, per così dire “indirette” a carico della parte che aveva formulato vittoriosamente l’eccezione.

4.3.2. E’ appena il caso di rilevare che la decisione della Corte territoriale di considerare ammissibile la riproposizione nel giudizio di secondo grado dell’eccezione di prescrizione ex art. 346 c.p.c., da parte dell’ANAS (pag. 9, p. 2, primo paragrafo) è rimasta indenne da qualsiasi censura in questa sede.

4.4. Le conclusioni della Corte partenopea possono essere condivise, sia pure all’esito di un completo approfondimento critico degli indirizzi della giurisprudenza di legittimità.

4.4.1. Secondo un orientamento, l’eccezione di prescrizione opposta da alcuni dei condebitori solidali non opera automaticamente a favore degli altri e costoro hanno l’onere per giovarsene di farla propria e quindi di sollevarla tempestivamente (Sez. L, n. 2132 del 21/05/1977, Rv. 385866 – 01; Sez. 3, n. 5262 del 09/04/2001, Rv. 545771 – 01; Sez. 3, n. 4200 del 25/03/2002, Rv. 553227 – 01; Sez. L, n. 3211 del 04/03/2003, Rv. 560850 – 01; Sez. 3, n. 7800 del 31/03/2010, Rv. 612278 – 01; Sez. 3, n. 9858 del 07/05/2014, Rv. 631628 – 01; Sez. 3, n. 25724 del 05/12/2014, Rv. 633533 – 01).

Tale indirizzo sottolinea la natura dispositiva dell’eccezione di prescrizione, la molteplicità dei vincoli che caratterizzano l’obbligazione solidale, e la connessa necessità per il giudice di adeguare alle richieste delle parti la propria decisione, fattori questi che rendono possibili non solo diversi processi e diverse sentenze in ordine alla stessa obbligazione, ma anche diverse pronunce nello stesso procedimento.

Non a caso – si osserva – la facoltà del debitore solidale di avvalersi della sentenza favorevole fra il creditore ed altro coobbligato riguarda l’ipotesi in cui sul rapporto obbligatorio sia stata pronunciata una sola sentenza i cui effetti possono comunicarsi al condebitore non in causa, mentre trova limiti alla sua applicazione nell’eventuale esistenza nei confronti del medesimo condebitore del giudicato contrario sul medesimo punto.

Si aggiunge ancora che l’art. 1310 c.c., che contempla vari effetti estensivi in tema di prescrizione, non solo non prevede tra questi il caso dell’eccezione sollevata da uno dei debitori solidali, ma anzi, all’ultimo comma, stabilisce che la rinunzia fatta da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri.

La rinunzia alla prescrizione ha valore negoziale ed è, come tale, istituto di diritto sostanziale, mentre la (mancata o intempestiva) eccezione di prescrizione attiene all’ordine processuale, e l’art. 1310 c.c., denota solo che il legislatore non ha inteso estendere agli altri debitori solidali gli effetti del comportamento di quello che ha rinunciato a giovarsi della prescrizione maturata.

4.4.2. Si è progressivamente affermato nella giurisprudenza della Corte un diverso orientamento (Sez. 3, n. 6934 del 22/03/2007, Rv. 596752 – 01; Sez. 3, n. 18648 del 12/09/2011, Rv. 619257 – 01; Sez.3, n. 12911 del 09/06/2014, Rv. 631582; Sez. 3, n. 21937 del 21/9/2017; Sez. 3, 20/4/2018, n. 9808; Sez. 3, n. 17420 del 28/06/2019, Rv.654352 – 01), al quale ha aderito la sentenza impugnata, secondo il quale l’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale produce effetto anche a favore dell’altro (o degli altri) coobbligati, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti degli altri coobbligati possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore “eccipiente”.

Questo è il caso, per esempio, che ha frequentemente innescato l’esame della questione dell’assicuratore della responsabilità civile automobilistica, coobbligato solidale con il responsabile del sinistro, nell’ipotesi in cui quest’ultimo non si sia costituito in giudizio.

In alcune pronunce sopra ricordate (Sez. 3, n. 12911 del 09/06/2014; Sez. 3, n. 17420 del 28/06/2019) la validità della regola estensiva è stata proclamata financo nel giudizio di rinvio – in cui pure è preclusa la proposizione di domande ed eccezioni nuove per la natura di giudizio a struttura chiusa – per sostenere che anche in quell’ipotesi gli effetti della prescrizione sollevata tempestivamente da un coobbligato si estendono anche agli altri obbligati solidali tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei loro confronti possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente, come nel caso dell’assicuratore per r.c.a., coobbligato solidale con il responsabile del sinistro. In applicazione di tale principio, è stato ritenuto che il responsabile del sinistro, già contumace, potesse avvantaggiarsi della prescrizione tempestivamente eccepita dal garante assicurativo, assumendo valore la sua eccezione, sollevata per la prima volta nel giudizio ex art. 383 c.p.c., come adesione a quella altrui proposta.

4.4.3. Un terzo orientamento giurisprudenziale, affiorato recentemente nella giurisprudenza di questa Corte, pone un limite all’estensione degli effetti dell’eccezione di prescrizione sollevata da un condebitore solidale in favore di altro condebitore parte del medesimo processo e “non eccipiente”, e si ispira al principio dispositivo e al principio di auto-responsabilità per sanzionare il condebitore “inerte” con la perdita del beneficio della comunicazione degli effetti della proposizione dell’eccezione da parte del coobbligato “diligente” e ritornare, in questi casi, all’impostazione del primo orientamento (vedi supra p. 4.4.1.)

E’ stato così sostenuto che nell’ipotesi in cui, costituiti in giudizio entrambi, assicuratore e danneggiante, quest’ultimo espressamente rinunci ad eccepire la prescrizione in presenza di una contestuale eccezione sollevata dall’assicuratore, ovvero nulla eccepisca in corso di procedimento, tale comportamento avrà, in entrambi i casi, univoca significazione di manifestazione tacita di volontà di rinunciare altresì all’azione contrattuale nei confronti

dell’assicuratore medesimo, e di altrettanto tacita volontà di proseguire personalmente il giudizio, onde sentir in ipotesi accertare la propria non colpevolezza in ordine all’illecito così come rappresentato e contestato dall’attore (Sez. 3, n. 15869 del 13/06/2019, Rv. 654291 – 01).

In tale decisione, resa in una vicenda processuale in cui la questione era stata in un primo tempo devoluta alle Sezioni Unite (ordinanza di rimessione della Sez. 3, n. 25967 del 23/12/2015) e poi era stata ritenuta irrilevante (Sez. U, n. 6959 del 17/3/2017), è stata esclusa la comunicazione dell’effetto estensivo, quando il coobbligato ha rinunciato espressamente a far valere la prescrizione, ovvero, dopo essersi costituitosi in giudizio, ha omesso di eccepirla a sua volta.

Nella pronuncia in questione si è affermato (con riferimento al caso di giudizio promosso contro il responsabile di un sinistro e il suo assicuratore della responsabilità civile, ma con regola estensibile ad ogni altro caso di coobbligazione, mutatis mutandis) che meritano sorte diverse l’ipotesi in cui siano convenuti in giudizio due coobbligati e uno di essi si renda contumace per tutto il corso del procedimento (senza che tal legittima scelta processuale possa in alcun modo rappresentare rinuncia tacita alla prescrizione) da quella in cui, invece, il coobbligato coevocato sia regolarmente costituito.

Resta fermo – secondo l’arresto de quo – che l’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale ha effetto estintivo anche nei confronti dell’altro (o degli altri) co-obbligati tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti degli altri possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente, come nel caso in cui il condebitore non si sia costituito in giudizio; tuttavia nella diversa ipotesi in cui, costituiti in giudizio entrambi i coobbligati, uno di essi espressamente rinunci ad eccepire la prescrizione in presenza di una contestuale eccezione sollevata dall’altro, ovvero nulla eccepisca in corso di procedimento, tale comportamento possiede, in entrambi i casi, univoca significazione di manifestazione tacita di volontà di rinunciare altresì all’azione contrattuale nei confronti del coobbligato, e di altrettanto tacita volontà di proseguire personalmente il giudizio.

4.4.4. Il Collegio ritiene di conformarsi al filone giurisprudenziale seguito dalla Corte territoriale e illustrato sub p. 4.4.2., secondo il quale l’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale produce effetto anche a favore degli altri coobbligati, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti degli altri possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore “eccipiente”, esponendolo al regresso pro quota ex art. 1299 c.c., onde evitare che la sua vittoria nei confronti del comune creditore non si riveli un “vittoria di Pirro”.

Non a caso l’orientamento esposto nel p. 4.4.3. è costretto ad ipotizzare, per neutralizzare questo effetto, che il comportamento processuale inerte del condebitore “non eccipiente” valga anche rinuncia all’azione di regresso verso il condebitore “eccipiente”, così attribuendo valore negoziale e sostanziale a una condotta processuale tacita, che appare invece totalmente priva dei caratteri della concludenza e della inequivocità.

Inoltre il predetto orientamento è costretto a modulare gli effetti della comunicazione dell’eccezione di prescrizione secundum eventum litis, attribuendo efficacia discriminante al fatto che il condebitore sia o meno costituito in giudizio e alla sua condotta processuale.

Non sembra logica, infine, neppure la diversificazione di trattamento, sotto il profilo della comunicazione degli effetti positivi dell’eccezione di prescrizione, fra condebitore solidale contumace e condebitore solidale costituito e non “eccipiente”, imposta dal principio processuale fondamentale della neutralità dell’atteggiamento della parte contumace.

4.4.5. A sostegno dell’orientamento richiamato nel p. 4.4.2., secondo il Collegio, militano inoltre validi argomenti:

a) il principio generale in materia di obbligazioni solidali è nel senso della comunicazione degli effetti favorevoli, sia pure con specifici temperamenti e riserve, caso per caso (art. 1300 c.c., in tema di novazione fra creditore comune e condebitore solidale; art. 1301 c.c., in tema di remissione fra creditore comune e condebitore solidale; art. 1304 c.c., in tema di transazione; art. 1305 c.c., in tema di ricusazione da parte creditore del giuramento deferitogli da un condebitore);

b) al contrario non si comunicano gli effetti sfavorevoli (art. 1308 in tema di costituzione mora e art. 1309 in tema di riconoscimento del debito);

c) particolare rilievo possiede il principio espresso dall’art. 1306 c.c., che esclude, al comma 1, effetto alla sentenza ottenuta dal creditore comune contro uno dei condebitori solidali e, soprattutto, al comma 2, ammette i condebitori ad opporre al creditore comune la sentenza favorevole ottenuta dal condebitore, purchè non fondata su eccezioni personali;

d) ciò significa che, salva la pur sempre possibile formazione separata di giudicati contrastanti, il condebitore – con il limite del giudicato – può sempre opporre al creditore comune la sentenza nel frattempo conseguita in altro processo da altro condebitore, fondata sull’accoglimento dell’eccezione (non personale) di prescrizione, a prescindere dal fatto che la prescrizione sia stata da lui tempestivamente eccepita;

e) l’art. 1310 c.c., comma 3, regola espressamente l’ipotesi della rinuncia sostanziale alla prescrizione, ex art. 2937 c.c., sanzionando – in quel solo caso – il condebitore “rinunziante” con la perdita del diritto al regresso verso i sodali;

f) la rinunzia alla prescrizione è un atto negoziale che implica la volontà di dismettere definitivamente il proprio diritto alla liberazione di un obbligo (Sez. 2, n. 18425 del 01/08/2013, Rv. 627600 – 01) ed esige che nel comportamento del debitore sia insita la volontà inequivocabile del medesimo di non avvalersi della causa estintiva del diritto altrui (Sez. 3, n. 21248 del 29/11/2012, Rv. 624470 01);

g) nulla prevede l’art. 1310 a carico del condebitore non “rinunziante” e semplicemente “non eccipiente, ovvero di colui che, come nel presente caso, non ha debitamente coltivato la proposta eccezione;

h) le opposte conclusioni, nel senso della non comunicazione dell’eccezione di prescrizione al condebitore solidale “non eccipiente” e della perdita di costui per tacita rinuncia al diritto al regresso (corollario indispensabile applicato dall’orientamento non condiviso) risentono di una evidente sovrapposizione e contaminazione fra i piani processuale e sostanziale, che debbono invece rimanere ben distinti e separati.

4.4.6. Per tutte queste ragioni il Collegio ritiene di conformarsi all’orientamento richiamato nel p. 4.4.2., applicato dalla Corte partenopea, e di rigettare, anche sotto questo profilo, il motivo di ricorso, esprimendo il seguente principio di diritto:

L’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale nei confronti del creditore comune produce effetto anche a favore dell’altro coobbligato convenuto “non eccipiente” nell’ambito dello stesso processo, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti del condebitore possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore “eccipiente”, senza che si possa distinguere l’ipotesi del coobbligato contumace da quelle del coobbligato costituito che non ha proposto l’eccezione ovvero che l’ha abbandonata, non riproponendola ritualmente, ipotesi tutte che rilevano sul piano meramente processuale ma non comportano rinuncia sostanziale alla prescrizione maturata e neppure rinuncia tacita all’azione di regresso verso il coobbligato “eccipiente”.

5. Con il quinto motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 6, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1310 c.c., comma 1, con riferimento alla mancata contestazione ed anzi all’ammissione del ricevimento della lettera di messa in mora interruttiva del decorso prescrizionale, posta in essere dalla C. e B. e suscettibile di estensione anche alla ANAS.

Il motivo si sovrappone alle censure svolte con il secondo motivo ed incorre così nelle stesse obiezioni esposte nel p. 2.

Quanto alla pretesa estensione dell’efficacia dell’interruzione della prescrizione nei confronti di ANAS, la censura cade consequenzialmente con il suo cadere verso l’altra coobbligata: non vi è prova dell’interruzione della prescrizione verso C. e B., quindi nulla v’è da estendere verso ANAS.

6. Con il sesto motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 7, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 91 e 106 c.p.c..

6.1. In tema di regolazione delle spese processuali e con particolare riferimento alla rifusione delle spese della parte terza chiamata, che la Corte di appello gli aveva imposto, il ricorrente rimprovera alla Corte di appello di aver omesso di valutare l’arbitrarietà della chiamata in causa di RAS ad opera della C. e B. quale necessario presupposto per l’accollo delle spese processuali sostenute dalla terza chiamata all’attore.

Diversamente da quanto argomentato dalla Corte territoriale prosegue il ricorrente – non era onere dell’attore appellante comprovare l’arbitrarietà della chiamata. peraltro dimostrata sotto vari profili dalle difese svolte dalla compagnia assicuratrice terza chiamata.

6.2. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che in forza del principio di causazione – che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite – il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda (Sez. 3, 22/11/2019, n. 30519; Sez. 3, 26/07/2019, n. 20295).

Il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa (Sez. 3, 06/12/2019, n. 31889; Sez. 2, 25/09/2019, n. 23948; Sez. 2, 17/09/2019, n. 23123; Sez. 1, 21/02/2018, n. 4195, Sez. 2, 18/12/2015, n. 25541).

6.3. A tali principi si è conformata la Corte di appello, ritenendo di non aver motivo di classificare la domanda di garanzia proposta verso la RAS come temeraria, arbitraria o anche solo infondata.

Tale valutazione non poteva certamente conseguire dal solo fatto che la compagnia assicuratrice avesse svolto difese nei confronti del proprio assicurato, contestando operatività ed efficacia della garanzia, come sembrerebbe pretendere il ricorrente.

Per altro verso, la fragilità della censura scaturisce dal rilievo della Corte di appello, criticato solo genericamente dal ricorrente (che si vorrebbe affrancare da ogni onere al proposito), che ha addebitato al V., che pur si era lamentato della condanna alla rifusione delle spese del terzo chiamato, di non aver neppure prospettato le ragioni della pretesa temerarietà ed arbitrarietà.

Onere questo che indubbiamente gli competeva per sottrarsi alla ordinaria responsabilità ingenerata dai principi di causalità e soccombenza, tanto più in riferimento a una condanna disposta in primo grado che egli auspicava di ribaltare in appello.

7. Gli ulteriori tre motivi possono essere esaminati congiuntamente.

7.1. Con il settimo motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 8, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo della controversia per l’inopponibilità nei suoi confronti della data di approvazione del progetto esecutivo rispetto a quella di ultimazione dei lavori del fabbricato attoreo.

Più in particolare, il ricorrente sostiene che il Giudice aveva omesso di pronunciarsi sulla data di ultimazione dei lavori dell’immobile oggetto di deprezzamento che era il 1983, come risultava dalle istanze di condono e dalle dichiarazioni del sig. V., in difetto di prova contraria.

Tale data doveva essere posta in correlazione alla data di approvazione del progetto esecutivo dell’opera pubblica pregiudizievole che era il 4/111983, come risultava dal decreto di occupazione temporanea del 28/2/1984 del Prefetto di Napoli, mentre l’Anas, per situare in data anteriore nel 1978 (progetto esecutivo del 27/4/1978, approvato con decreto del 22/1/1978), fra l’altro in modo intrinsecamente contraddittorio sotto il profilo temporale, si era riferita all’approvazione dei lavori del solo primo lotto e non del terzo lotto, oggetto del giudizio. Occorreva quindi riferirsi alla data in cui nel 1984 era stato comunicato il decreto di occupazione, certamente successivo alla data di ultimazione dei lavori dell’immobile de quo.

7.2. Con l’ottavo motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 9, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo della controversia per la conformità dell’immobile alla disciplina urbanistica per la sua suscettibilità di sanatoria e la sua commerciabilità.

7.3. Con il nono motivo di ricorso principale, erroneamente rubricato con il numero cardinale 10, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo della controversia per il contrasto della decisione con la tutela del diritto di proprietà e la disciplina dei diritti dell’uomo di cui alla CEDU.

7.4. I motivi così riassunti – che pur confondono profili di omessa pronuncia con quelli del dedotto esame di fatto decisivo sono inammissibili per difetto di interesse, perchè attinenti al merito della pretesa, a fronte della dichiarazione di prescrizione del diritto all’indennizzo che l’impugnazione del ricorrente non è riuscita a scalfire.

7.5. Inoltre i predetti motivi sono inammissibili anche perchè attengono a temi rimasti assorbiti nel giudizio di appello per effetto dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione: la Corte territoriale non ha affrontato la questione della data di ultimazione dell’immobile in comparazione cronologica con la data di approvazione del progetto e il tema della regolarità edilizia, sanabilità e commerciabilità del bene immobile e non ha valutato la tutela del diritto di proprietà offerta dalla CEDU, semplicemente perchè ha ritenuto prescritto il diritto azionato.

Nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Sez. 5, n. 23558 del 05/11/2014, Rv. 632960 – 01; Sez. 3, n. 4804 del 01/03/2007, Rv. 597133 – 01).

La parte soccombente può impugnare la decisione in relazione alla sola questione su cui essa si basa, in quanto, in sede di legittimità, è superfluo enunciare tutte le diverse ed ulteriori questioni assorbite, che non possono formare oggetto di delibazione e su cui non può formarsi alcun giudicato interno, poichè non esaminate nel precedente grado di merito (Sez. 6 – 5, n. 15583 del 08/07/2014, Rv. 631682 – 01; Sez. 5, n. 8817 del 01/06/2012, Rv. 622949 – 01).

8. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso, basato su motivi inammissibili o infondati, deve essere complessivamente rigettato.

Il ricorso incidentale condizionato proposto dalla C. e B. resta assorbito per effetto del rigetto del ricorso principale.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente ANAS s.p.a., liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, e in favore del controricorrente Ingg. C. e B. s.p.a. in liquidazione nella somma di Euro 6.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2021

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