Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7986 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 21/03/2019), n.7986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21259-2013 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BORGO PIO

160, presso lo studio dell’avvocato BRUNO CHIARANTANO, rappresentato

e difeso dall’avvocato SALVATORE RIJLI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI LIPOMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio

dell’avvocato LUCA VIANELLO, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati SIMONA MONTORFANO, TOMMASO LANDI giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 65/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 13/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TASSONE KATE che ha concluso per infondato il 1 motivo di ricorso,

fondato il 2 motivo, assorbiti i restanti;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIANCASPRO per delega

dell’Avvocato RIJLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato VIANELLO che ha chiesto

l’inammissibilità e il rigetto.

Fatto

FATTI DELLA CAUSA

1. S.G., già socio accomandatario della società in accomandita semplice Lario Park di G.S. e C., cancellata dal registro delle imprese il 31 dicembre 2010, ricorre per la cassazione della sentenza emessa dalla commissione tributaria regionale della Lombardia il 13 maggio 2013, n. 65/13, con la quale la commissione, confermando la pronuncia di primo grado, ha ritenuto legittimi diciassette avvisi di accertamento per imposta comunale sugli immobili (Ici), relativa al periodo dal 1993 al 2009, pretesa dal Comune di Lipomo nei confronti di esso ricorrente, quale ex accomandatario, in riferimento ad una struttura ricreativo-sportiva realizzata e gestita dalla società in forza di concessione-contratto su un’area di proprietà del Comune.

2. Quest’ultimo resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la commissione omesso di pronunciare sulla doglianza formulata contro la sentenza di primo grado a pagina 8 dell’atto di appello, riguardo alla congruità del valore attribuito dal Comune alla struttura ai fini della liquidazione dell’imposta.

2. Il motivo è infondato in quanto nella sentenza della commissione regionale si legge: “Il giudice di prime cure ha ritenuto – e questa tesi è condivisa da questo giudice- ai fini del calcolo dell’Ici di utilizzare i valori catastali attribuiti dall’Agenzia del Territorio che non vennero impugnati e quindi divennero definitivi”.

3. Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, per non avere la commissione tenuto conto del fatto che, ai sensi della convenzione stipulata tra il Comune e la società Lario Park di G.S. e C., la struttura sarebbe stata gestita dalla società per venticinque anni e successivamente sarebbe rientrata nella piena proprietà del Comune, e per non avere la commissione applicato il principio secondo cui, ai fini della soggezione all’imposta comunale sugli immobili, nel caso di assegnazione di un’area demaniale per la costruzione di un determinato immobile, per stabilire se il provvedimento amministrativo, qualificabile come concessione “ad aedificandum”, sia costitutivo di un diritto reale di superficie, con conseguente imponibilità, ovvero di un diritto avente natura meramente personale, con conseguente non imponibilità, assume rilievo decisivo la destinazione dell’opera costruita dal concessionario al momento della cessazione del rapporto, atteso che, se essa torna nella disponibilità del concedente, si è in presenza di un rapporto obbligatorio.

4. Il motivo è inammissibile perchè la questione veicolata non risulta essere stata prospettata nel giudizio di merito: il ricorrente non dice di averla prospettata; il Comune eccepisce che non è mai stata prospettata; nella sentenza impugnata non se ne fa cenno. Vale quindi il principio per cui in questa sede di legittimità non possono essere sollevate questioni, involgenti fatti, nuove rispetto a quelle sollevate entro i termini di preclusione fissati nel giudizio di merito.

5. Con il terzo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione o falsa applicazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 336 e 337, per non avere la commissione tenuto conto del fatto che nella richiesta di accatastamento della struttura, notificata dal Comune ai sensi del suddetto comma 336, non era indicata la data a cui riferire la mancata presentazione della denuncia di accatastamento talchè, in mancanza di tale indicazione, la rendita catastale sulla base della quale l’Ici era stata calcolata per tutto il periodo dal 1993 al 2009 non avrebbe potuto essere utilizzata essendo divenuta efficace, ai sensi del comma 337, solo dal 1 gennaio dell’anno di notifica della richiesta del comune (2010).

6. Il motivo è inammissibile in quanto, non essendo stata la richiesta di denuncia catastale riprodotta nel ricorso per cassazione nè allegata al ricorso per cassazione, il motivo difetta della specificità necessaria a consentirne lo scrutinio (art. 366 c.p.c.).

7. Con il quarto motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2945 c.c., per avere la commissione tributaria regionale affermato la di lui responsabilità trascurando di considerare che gli avvisi di accertamento erano intestati alla società Lario Park, erano stati notificati al socio accomandatario non per far valere la sua personale responsabilità ma solo per maggior garanzia del buon fine della notifica già effettuata alla sede sociale, erano stati notificati in data successiva alla cancellazione della società ed erano quindi senza effetto.

6. Il motivo, che pare contraddetto da ciò che si legge alla pagina 2 del ricorso per cassazione (“l’opponente, già socio accomandatario della citata sas, eccepiva che essa era stata cancellata dal registro delle imprese a far data dal 31-12-2000, con conseguente nullità dell’avviso di accertamento successivamente notificato alla società nonchè, per derivazione, di quello notificato al socio accomandatario”), è in ogni caso inammissibile, in quanto, non essendo stati gli avvisi riprodotti nel ricorso nè allegati al ricorso, difetta della specificità necessaria a consentirne lo scrutinio (art. 366 c.p.c.).

7. Il ricorso deve essere rigettato.

8. Le spese di causa seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Comune di Lipomo le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5000,00, oltre spese forfetarie ed accessori di legge;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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