Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7980 del 22/03/2021

Cassazione civile sez. I, 22/03/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 22/03/2021), n.7980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11924/2015 proposto da:

Comune di Dueville, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato

in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Zampieri Nicola,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

2i Rete Gas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Mendola n. 47, presso lo

studio dell’avvocato Degni Filippo, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Lolli Alessandro, giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale e della costituzione di

nuovo difensore;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2300/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

In forza di clausola compromissoria contenuta nella convenzione stipulata col comune di Dueville in data 26-4-1968, E.On Rete Triveneto s.r.l. (società anteriormente denominata Thuga Triveneto s.r.l., già Delta Gas s.r.l., nella quale era stata incorporata la Nord Gas s.r.l.) instaurava, con atto notificato il 12-5-2009, un procedimento arbitrale per ottenere il pagamento della somma di 6.083.961,49 Euro, oltre al danno da lucro cessante, in relazione alla pregressa gestione degli impianti necessari alla distribuzione di gas metano, a fronte del riscatto anticipato dell’ente.

Il comune eccepiva la nullità della clausola compromissoria poichè afferente a un arbitrato irrituale non consentito alla pubblica amministrazione. Contestava in ogni caso la domanda anche nel merito, a sua volta proponendo una domanda riconvenzionale.

Il collegio arbitrale statuiva, con lodo non definitivo del 1812-2009, che l’arbitrato aveva natura rituale; dopodichè, con lodo definitivo del 27-6-2011, determinava in 3.442.430,00 Euro il credito di E.On a titolo di “equa indennità” del R.D. n. 2578 del 1925, ex art. 24. Condannava quindi il comune al pagamento della detta somma e di quella di 561.244,00 Euro a titolo di parziale restituzione del contributo versato per la proroga della concessione, oltre interessi.

Il comune di Dueville impugnava entrambe le decisioni dinanzi alla corte d’appello di Venezia; deduceva l’erroneità della qualificazione dell’arbitrato come rituale, con conseguente inammissibilità della domanda, e in ogni caso la nullità del lodo definitivo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, da individuare soprattutto nel R.D. n. 2578 del 1925, art. 24 e del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 13.

Nella resistenza di 2i Gas Infrastruttura Italiana Gas s.r.l. la corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 13-10-2014, non notificata, ha respinto l’impugnazione e condannato il comune alle spese processuali. Per ciò che in effetti rileva, ha ritenuto l’arbitrato legittimo in quanto qualificabile (in base alla clausola compromissoria) come rituale, e che, dovendo escludersi l’applicabilità alla controversia del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 241, comma 15-bis, siccome aggiunto dal D.Lgs. n. 53 del 2010, dopo la costituzione del collegio arbitrale, l’impugnazione non poteva essere proposta per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia. Invero l’art. 241, configura ha opinato la corte – un arbitrato speciale ma non obbligatorio.

Per la cassazione della sentenza il comune di Dueville ha proposto ricorso sorretto da quattordici motivi, illustrati da memoria.

La società ha replicato con controricorso, nel quale ha proposto anche un ricorso incidentale condizionato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Il comune di Dueville chiede la cassazione dell’impugnata sentenza sulla scorta dei seguenti motivi:

(i) violazione o erronea applicazione degli artt. 806 e 808 c.p.c. e art. 1418 c.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto valida la clausola arbitrale che aveva demandato alla inappellabile e amichevole valutazione di tre periti la definizione delle contestazioni inerenti all’esercizio della concessione, essendo invece precluso alla pubblica amministrazione di avvalersi, nella soluzione delle controversie, dello strumento dell’arbitrato irrituale (o libero);

(ii) violazione degli artt. 822,806,808-ter, 829 e 830 c.p.c. e degli artt. 1362 e 1363 c.c., per avere la sentenza, nell’interpretazione della clausola compromissoria, mancato di considerare il dato letterale e la comune intenzione delle parti e per avere comunque mancato di svolgere un’interpretazione complessiva delle clausole della convenzione;

(iii) violazione o erronea applicazione dell’art. 829 c.p.c. e dell’art. 11 preleggi, D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 241 e 253, art. 1418 c.c., per avere l’impugnata sentenza ritenuto non deducibili, in sede di impugnazione del lodo, le violazioni di norme di diritto relative al merito della controversia, non considerando che l’art. 241, comma 15-bis, in quanto norma di natura processuale contemplante la più estesa possibilità di impugnazione del lodo, era immediatamente applicabile in base al principio tempus regit actum.

(iv) violazione o erronea applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 241 e 253, anche in relazione all’oggetto, essendo tale norma estensibile (per espressa previsione) a tutte le controversie derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici, servizi e forniture;

(v) violazione o erronea applicazione del D.Lgs. n. 53 del 2010, art. 5,D.L. n. 40 del 2010, art. 4,D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 241 e 253, artt. 827 c.p.c. e segg., poichè nel giudizio in questione, in quanto giudizio d’appello, si sarebbe dovuto fare applicazione del ripetuto dell’art. 241, comma 15-bis, norma di natura processuale e relativa a fase ulteriore rispetto ai giudizi arbitrali;

(vi) violazione degli artt. 3,97 e 111 Cost., essendo iniquo e illogico prevedere una disciplina processuale sui motivi di impugnazione del lodo differenziata a seconda della scadenza del termine o della costituzione del collegio arbitrale;

(vii) omessa pronuncia in relazione ai motivi – da tre a otto spesi nell’atto di impugnazione del lodo;

(viii) violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., per mancanza di motivazione della sentenza a proposito della sorte dei suddetti motivi di nullità del lodo;

(ix) violazione dell’art. 829 c.p.c. e del R.D. n. 2578 del 1925, art. 24 e del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 13, a proposito della doglianza di cui al terzo motivo di impugnazione avverso il lodo;

(x) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 164 del 2000, art. 15, in ordine al fondamento del quarto motivo di impugnazione del lodo;

(xi) violazione o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 164 del 2000, art. 15 e del R.D. n. 2578 del 1925, art. 24, in ordine al fondamento del quinto motivo di impugnazione del lodo;

(xii) violazione o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 164 del 2000, artt. 14 e 15, in ordine al fondamento del sesto motivo di impugnazione del lodo;

(xiii) violazione o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., D.P.R. n. 902 del 1986, art. 13,D.Lgs. n. 164 del 2000, artt. 14 e 15, in ordine al fondamento del settimo motivo di impugnazione del lodo;

(xiv) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 241, in ordine al fondamento dell’ottavo motivo di impugnazione del lodo sulla liquidazione del compenso arbitrale.

II. – I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati unitariamente.

Necessaria premessa è che, ove col ricorso per cassazione avverso una sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di un lodo arbitrale si ponga in discussione la natura dell’arbitrato, per le conseguenze che ne derivano sull’ammissibilità della domanda, la Corte di cassazione ha la possibilità di (e anzi è tenuta a) esaminare e valutare direttamente la clausola (o il patto compromissorio) integrante la fonte dell’arbitrato medesimo, senza doversi limitare al controllo della decisione del giudice di merito sul versante dei criteri interpretativi adottati (tra le molte Cass. n. 8937-00, Cass. n. 7649-07, Cass. n. 19917-17).

Ancora va rammentato che si ha arbitrato irrituale quando le parti conferiscono agli arbitri il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra loro in ordine a determinati rapporti giuridici mediante una composizione amichevole riconducibile alla loro volontà; mentre si ha arbitrato rituale quando le parti abbiano inteso demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice.

Codesti principi sono a tal punto pacifici da dispensare da superflui riferimenti giurisprudenziali.

III. – Nel caso concreto il testo della clausola compromissoria è il seguente: “La concessionaria elegge il proprio domicilio legale in Dueville presso la sede municipale. Tutte le contestazioni che potessero insorgere per cause in dipendenza o per l’osservanza, l’interpretazione ed esecuzione della presente convenzione, saranno risolte a mezzo di un collegio di tre arbitri amichevoli compositori da nominarsi uno per ciascuna parte ed il terzo di comune accordo fra i suddetti die arbitro od in difetto di tale accordo dal Presidente del Tribunale di Vicenza su ricorso della parte più diligente, previo avviso all’altra parte. Gli arbitri dovranno esprimere e notificare alle altre parti le loro decisioni entro due mesi dall’incarico ricevuto, salvo la proroga giustificata di tre mesi al massimo se occorresse una perizia o particolari indagini. Le spese del giudizio saranno a carico della parte soccombente. La decisione dei periti è inappellabile”.

Devesi precisare che, a fronte di tale clausola, il ricorrente ha richiamato anche l’art. 4 della convenzione, nella parte in cui, disciplinando il potere del comune di riscattare gli impianti anche prima della scadenza della concessione, ha stabilito che “nel caso di municipalizzazione, il comune dovrà rilevare tutti gli impianti a prezzo di stima da determinarsi da tre periti che procederanno come amichevoli compositori e che saranno nominati un per parte ed il terzo dai primi due, od in mancanza di accordo dal Tribunale”. Il giudizio di costoro, “pronunciato anche a semplice maggioranza”, è stato indicato come “inappellabile”.

IV. – La corte d’appello ha motivato la decisione sostenendo che la clausola compromissoria doveva essere intesa alla stregua dei canoni interpretativi enunciati dalla giurisprudenza in epoca antecedente alla riforma del 1994, considerata l’epoca in cui la medesima clausola era stata convenuta (1968).

Ha soggiunto che in proposito la volontà delle parti, desumibile dall’intero contesto della pattuizione, e non dall’una o dall’altra delle espressioni usate singolarmente, era determinabile nel senso che le parti avessero inteso affidare agli arbitri una funzione non semplicemente negoziale ma sostitutiva di quella giurisdizionale; e che ciò era conseguente: alla reiterata individuazione dei decisori come appunto “arbitri” a fronte di eventuali controversie; alla devoluzione di tutte le “contestazioni” a un collegio di tre arbitri “da nominarsi uno per ciascuna parte ed il terzo di comune accordo fra i due suddetti arbitri”; e all’obbligo, infine, di esprimere e notificare alle parti le “decisioni”.

Tali espressioni terminologiche erano da considerare congruenti con un’attività decisionale resa nell’ambito di un vero e proprio “giudizio”, con regolamentazione finanche delle relative spese secondo criterio di soccombenza, in sintonia con quanto in caso analogo stabilito da questa Suprema Corte con ordinanza n. 24542 del 2011.

V. – La tesi del ricorrente è invece nel senso che l’utilizzo frequente di termini come “periti”, “stima”, “contestazioni”, “valutare”, “amichevoli compositori”, unitamente all’omessa considerazione del deposito del lodo ai fini della esecutorietà, sarebbero elementi sintomatici della qualificazione dell’arbitrato come irrituale (o libero), anche tenuto conto del principio giurisprudenziale secondo il quale, in ipotesi di dubbio, l’arbitrato va qualificato come tale.

VI. – La tesi del ricorrente non è fondata.

Innanzi tutto giova dire che la clausola n. 4 della convenzione niente aggiunge – onde stabilire il tipo di arbitrato – all’art. 19, e in nessun modo può da essa inferirsi la volontà di devolvere agli arbitri il perseguimento di una funzione negoziale.

Per principio generale, nell’interpretare la clausola compromissoria non ci si può fermare alla constatazione letterale in merito alla possibilità degli arbitri di decidere come “amichevoli compositori”, non essendo tale specificazione del criterio di definizione della controversia incompatibile con l’arbitrato rituale, nel quale ben possono gli arbitri essere investiti dell’esercizio di poteri equitativi (v. Cass. n. 4528-92, Cass. n. 3504-94, 833-99); nè depone nel senso dell’irritualità dell’arbitrato la preventiva attribuzione alla pronuncia arbitrale del carattere della inappellabilità, che è carattere ben ipotizzabile anche con riferimento al lodo da arbitrato rituale.

Molto più rilevante è invece la valorizzazione di terminologie sintomatiche della volontà di devolvere agli arbitri la funzione propria del “giudicare”: e dunque di espressioni congruenti con la conferente attività che in quel verbo si esprime e con il risultato di un “giudizio” in ordine a una “controversia”, specie se tale controversia concerna, come nel caso concreto, questioni puramente giuridiche e non tecniche, compatibili con la previsione di un arbitrato rituale.

VII. – Nella concreta fattispecie due sono i profili decisivi in favore di quanto ritenuto dalla corte d’appello circa la configurazione di quella in esame come clausola per arbitrato rituale.

Il primo è rappresentato dal fatto che le parti hanno manifestato la volontà di devolvere agli arbitri tutte le contestazioni (id est, le ipotetiche controversie) inerenti al contratto (“tutte le contestazioni che potessero insorgere per cause in dipendenza o per l’osservanza, l’interpretazione ed esecuzione della presente convenzione”); cosa da sempre considerata indice della volontà di addivenire infine (e comunque) a un vero e proprio “giudizio”, onde stabilire in questo la ragione e il torto, anzichè a una mera soluzione negoziale.

In questa direzione assumono rilievo l’uso, nella clausola compromissoria, di espressioni proprie del procedimento giurisdizionale, quali il deferimento agli arbitri della definizione di tutte le contestazioni (o controversie) insorgenti dalla convenzione, e, in sede di investitura del collegio arbitrale, il tenore stesso delle richieste avanzate dalle parti, siccome finalizzate a ottenere, da un lato, “la condanna del comune” al pagamento della somma ritenuta di giustizia, oltre ai danni da lucro cessante, e dall’altro, in riconvenzione, “la condanna della società” al pagamento dell’importo da accertare in sede di arbitrato; conclusioni – codeste – che presuppongono negli arbitri l’esercizio di poteri per l’appunto equivalenti a quelli giurisdizionali.

Il secondo profilo è rappresentato dalla specifica previsione delle spese del “giudizio” da regolare secondo il principio di soccombenza (“Le spese del giudizio saranno a carico della parte soccombente”); principio non solo nuovamente evocativo della funzione del giudizio, ma anche notoriamente sintonico con gli esiti della controversia giurisdizionale e incompatibile, invece, con la composizione amichevole delle contestazioni. Invero l’arbitrato libero ha carattere contrattuale ed extraprocessuale, cosicchè lo stesso è normalmente refrattario all’applicazione di un regime giuridico di natura processuale come quello della soccombenza nel giudizio.

Ininfluente da questo punto di vista è la circostanza di non avere le parti previsto il deposito del lodo ai fini dell’exequatur, dal momento che il lodo rituale può, e non deve, essere depositato ai fini indicati, e solo per ottenerne l’efficacia di titolo esecutivo (art. 825 c.p.c.), senza che ciò abbia conseguenze, quindi, sul carattere comunque vincolante della pronuncia per le parti (art. 824-bis c.p.c.).

VIII. – Alla luce delle esposte considerazioni può convenirsi dunque sulla valutazione del giudice del merito, poichè per l’attribuzione di un potere propriamente decisionale ai tre arbitri ben poteva deporre (e concretamente può deporre) il compito loro attribuito di risolvere tutte le “contestazioni” sorte fra i contraenti, senza spazio a deroghe a opera di questi ultimi (v. Cass. 21585-09; Cass. n. 24059-06). In particolare l’insistita utilizzazione di termini allusivi delle possibili liti, controversie o contese, tutte intranee al concetto di “contestazioni” insorte, presuppone il momento propriamente decisionale della controversia, con sottrazione al giudice ordinario di qualunque questione relativa alla convenzione; sottrazione confermata finanche dalla previsione in tema di soccombenza ai fini delle spese.

IX. – I motivi dal terzo al sesto sono infondati.

Occorre premettere che sia il comune, sia la società controricorrente – come pure l’impugnata sentenza – hanno limitato la loro indagine al profilo indotto dall’art. 241 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006) nella versione conseguente alle modifiche introdotte nel 2010.

Va esente da censura l’assunto della corte d’appello relativo al regime instaurato da tale norma, la quale ha reso la disciplina dell’arbitrato specificamente prevedendo, nei commi che interessano, che:

“1. Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario previsto dall’art. 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell’organo di governo dell’amministrazione”;

“2. Ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal presente codice”.

Sempre l’art. 241, all’art. 15-bis, ha inoltre stabilito che:

“Il lodo è impugnabile, oltre che per motivi di nullità, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. L’impugnazione è proposta nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo e non è più proponibile dopo il decorso di centottanta giorni dalla data del deposito del lodo presso la Camera arbitrale”.

Questo comma è stato però inserito dal D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53, art. 5 e il regime normativo così impresso è stato delineato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 4, comma 7, conv. con modificazioni in L. n. 73 del 2010, con una regola di diritto intertemporale.

Sebbene nel contesto di una specifica ipotesi di revoca di finanziamenti statali (segnatamente relativa al finanziamento statale previsto per l’opera “Sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata per la città di Parma”, fatta salva la quota necessaria a taluni adempimenti), è stato con norma generale precisato che “la disciplina introdotta del D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53, artt. 4 e 5, non si applica per i collegi arbitrali già costituiti alla data di entrata in vigore del predetto D.Lgs. e dell’art. 15, comma 6 del citato D.Lgs. è abrogato”.

Poichè nella concreta fattispecie è certo che il collegio arbitrale era stato già costituito al momento dell’entrata in vigore della Legge di Conversione n. 73 del 2010, a cui si deve la formulazione della norma, è corretta l’inferenza della corte territoriale tesa a sostenere che l’attuale procedimento non poteva andar soggetto alla disposizione speciale dettata dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 241, comma 15-bis.

X. – Sennonchè la motivazione del giudice a quo va integrata, poichè ciò non esauriva il problema giuridico dell’esperibilità dell’impugnazione per errores in iudicando.

L’esperibilità dell’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia avrebbe dovuto essere difatti scrutinata anche in relazione alle norme del codice di rito, la cui applicazione derivava proprio dalla ripetuta constatazione in ordine all’art. 241 del codice di contratti pubblici. In particolare l’incontestata affermazione della corte d’appello, per cui l’art. 241 era da intendere come istitutivo di un arbitrato speciale ma non obbligatorio (per il tipo di rapporto inter partes), avrebbe dovuto indurre a prendere in considerazione le previsioni di diritto comune, quali fonti di regolamentazione della potestà di impugnare il lodo.

XI. – Epperò anche in base alle dette norme l’impugnazione per nullità era preclusa. E la ragione di tale preclusione finisce per diventare perfino assorbente rispetto a tutta la questione esegetica dell’art. 241, comma 15-bis del Codice dei contratti.

All’arbitrato, introdotto nel 2009, si estendeva, ratione temporis, la disciplina dell’art. 829 c.p.c. come riformulato del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24.

In tema le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui al cit. D.Lgs. n. 40, art. 27, a tutti i giudizi arbitrali promossi (come quello in esame) dopo l’entrata in vigore della novella del 2006. Tuttavia, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge – cui l’art. 829, comma 3, rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato (v. Cass. Sez. U. n. 9284-16).

Codeste previsioni in nessun modo consentivano di impugnare il lodo deducendo la violazione di regole di diritto.

E’ vero che si trattava di una convenzione stipulata nel 1968, ma è parimenti vero che il testo della clausola compromissoria, all’inizio riportato, esplicitava la volontà di demandare agli arbitri la risoluzione di ogni controversia con decisione non impugnabile.

Per le convenzioni anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina dell’arbitrato, nel silenzio delle parti doveva intendersi ammissibile l’impugnazione del lodo ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, salvo però che (giustappunto) le parti stesse avessero attribuito agli arbitri di giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile (v. ancora Cass. Sez. U. n. 9284-16).

La ratio della norma era in questa prospettiva rapportabile alla constatazione (giustamente sottolineata in dottrina) che il motivo di impugnazione incentrato sulla violazione di regole di diritto non può esser dedotto se risulta dalla clausola compromissoria che le parti via abbiano rinunciato. Nè può esserlo se la decisione arbitrale sia stabilita (per patto) come non impugnabile.

L’autorizzazione agli arbitri di decidere secondo equità oppure la disposizione delle parti contraenti di sancire l’inoppugnabilità tout court del lodo, si risolve in un effetto preclusivo, nel senso della necessaria attribuzione dell’incensurabilità anche nel caso di ipotetica violazione di norme di diritto sostanziale.

Pertanto, seppur integrata dalle considerazioni esposte, è infine esatta la conclusione assunta dall’impugnata sentenza di ritenere inammissibili i motivi di impugnazione in tal senso dedotti dall’ente pubblico. E la prevista inoppugnabilità del lodo rende logico l’assorbimento di tutte le restanti censure.

XII. – Il ricorso incidentale condizionato è parimenti assorbito.

XIII. – L’intrinseca difficoltà della questione sottostante, che a proposito dell’operare dall’art. 241, comma 15-bis, del Codice dei contratti non annovera specifici precedenti di questa Corte, giustifica la compensazione delle spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2021

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