Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 798 del 15/01/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 798 Anno 2013
Presidente: TRIFONE FRANCESCO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

Data pubblicazione: 15/01/2013

SENTENZA

sul ricorso 11754-2009 proposto da:
MASCIA GIAMPAOLO DITTA INDIVIDUALE MSCGPL38A01D334V
in persona del titolare omonimo, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRIA 128-130, presso
lo studio dell’avvocato PIRO ANTONINO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2012
contro

1882

UNICREDIT S.P.A. 00390840239 (quale incorporante la
CAPITALIA S.P.A.)

e per essa quale mandataria la

UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A. in persona

/
1

del

Dott.

GIUSEPPE

MANTINI,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo
studio dell’avvocato LUDINI ELIO, che la rappresenta
e difende giusta delega in atti;

controricorrente

D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/03/2008, R.G.N.
4931/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2012 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato ANTONINO PIRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

avverso la sentenza n. 1320/2008 della CORTE

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 31 marzo 2003 il Tribunale di Roma
accoglieva l’opposizione all’ingiunzione proposta dalla Banca
di Roma s.p.a. (ora UN1CREDTT s.p.a.) nei confronti della
ditta individuale Giampaolo Mascia e per l’effetto revocava il

della somma di f. 413.785.381, oltre accessori, che il Mascia
assumeva essergli dovuta a titolo di ripetizione di indebito
oggettivo derivante dall’applicazione di interessi ultralegali
e c.m.s. non validamente pattuiti per iscritto e, comunque,
usurari, relativamente a tre rapporti di conto corrente
bancario intrattenuti con la banca opponente.
La decisione, gravata da impugnazione di Giampaolo Mascia,
era confermata dalla Corte di appello di Roma, la quale con
sentenza in data 27 marzo 2008, condannava l’appellante al
pagamento delle ulteriori spese.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
la ditta individuale Giampaolo Mascia, svolgendo due motivi.
Ha resistito la UNICREDIT s.p.a. e, per essa, quale
mandataria la UniCredit Credit Management Bank s.p.a.
depositando controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o
falsa applicazione degli artt. 182, 184 e 345 co.2 e 161 cod.
proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.). Parte ricorrente
assume, articolando i relativi quesiti di diritto, che la
verifica

della rappresentanza processuale della società

decreto ingiuntivo opposto, avente ad oggetto il pagamento

opponente andava operata d’ufficio ai sensi dell’art. 162 cod.
proc civ., atteso che i sottoscrittori della procura si erano
qualificati”rappresentanti autorizzati”
qualità, rispettivamente, di

invocando le proprie

“dirigente” e di

“funzionario”,

senza indicare né l’organo che tale potere dovrebbe aver loro

il correlativo atto di conferimento; di

conseguenza il giudice, anche in fase di appello e in mancanza
di giudicato sul punto, avrebbe dovuto verificare se le
qualità dichiarate fossero astrattamente idonee a conferire la
rappresentanza processuale della società (con la correlativa e
indispensabile rappresentanza sostanziale), senza tuttavia
poter fondare la decisione sulla produzione documentale
tardivamente allegata alla memoria di replica nel primo grado
del giudizio, da ritenersi inammissibile, come dedotto
mediante specifico motivo di gravame.
1.1. Il motivo investe il punto della decisione in cui la
Corte di appello – richiamati principi espressi da questa
Corte, che, in tema di rappresentanza processuale delle
società, fanno carico alla parte che contesti la qualità di
chi ha sottoscritto il mandato come rappresentante della
società, l’onere di fornire la prova negativa – ha ritenuto di
inferirne la natura di eccezione in senso proprio della
relativa questione, osservando che la stessa, siccome
risultava formulata dal Mascia solo con la comparsa
conclusionale del primo grado del giudizio, era ormai preclusa
all’appellante.
Resta il fatto che la Corte di appello – prescindendo dal
rilievo di inammissibilità

ha poi esaminato nel merito

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conferito,

l’eccezione e l’ha dichiarata infondata alla luce della
documentazione prodotta dall’opponente con la memoria di
replica nel primo grado del giudizio (ritenuto

«momento

processualmente utile al contrasto dell’eccezione formulata
evidenziando

dall’opposto Mascia in comparsa conclusionale»),

1998 del C.d.A. della Banca di Roma, ritualmente depositate
presso il notaio G. Mariconda di Roma, risultava il
conferimento ai funzionari Pierluigi Oliva e Michelangelo
id est

Verdino dei poteri di firma sociale,

del potere di

rappresentanza vincolante per la società conferente.
1.2. Orbene occorre, innanzitutto, osservare che il motivo
di ricorso si incentra sul punto della decisione che ha
affermato l’inammissibilità dell’eccezione di difetto di
rappresentanza processuale, segnatamente evidenziando parte
ricorrente, in senso contrario, la doverosità del rilievo
ufficioso del difetto di rappresentanza ex art. 182 cod. proc.
civ., in presenza di indicazioni relative ai sottoscrittori
della procura

(“funzionario”

e

“dirigente”)

che non

implicavano il conferimento di poteri rappresentativi. Lo
stesso motivo non impinge, invece, sull’argomento

alternativo

svolto dalla Corte di appello in punto di infondatezza della
stessa eccezione, limitandosi parte ricorrente a contestare
l’ammissibilità della produzione documentale, in base alla
quale è stata svolta la verifica della giustificazione dei
poteri dei sottoscrittori della procura.
Ciò precisato, il motivo di ricorso va rigettato, ancorche
la motivazione della decisione _Impugnata meriti di essere

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che dalle deliberazioni del 20 luglio 1992 e del 17 dicembre

integrata e, in qualche misura, anche corretta.
Va premesso che l’accertamento della

1.3.
processum

legittimati° ad

riguarda un presupposto attinente alla regolare

costituzione del rapporto processuale, la cui esistenza, come
dimostra la previsione del potere ufficioso di cui al secondo

d’ufficio dal giudice, salvo il limite della formazione del
giudicato, senza che occorra un’apposita eccezione di parte
(cfr.

ex plurimis,

Cass. 22 luglio 2005, n. 15392), con la

precisazione che proprio perchè la questione della
sussistenza della legittimazione

ad processum è

esaminabile,

anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio – non
rileva il momento del processo nel quale sia fornita la prova
documentale di tale sussistenza, che, imponendosi di per sé,
ben può, con riguardo ad un determinato grado, risultare da
produzioni od acquisizioni avvenute in quello successivo (Cass
16 novembre 1995 n. 11851), non operando ai relativi effetti
le ordinarie preclusioni istruttorie (Cass. 20 giugno 2002, n.
8996).
Non appare, poi, superfluo osservare

in conformità

all’insegnamento delle SS.UU. (cfr. sentenza 19 aprile 2010,
n. 9217) – che l’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. (nel
testo qui applicabile

ratione temporis,

anteriore alle

modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009), secondo cui
il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza
o autorizzazione

“può”

assegnare un termine per la

regolarizzazione della costituzione in giudizio, deve essere
interpretato, anche alla luce della modifica apportata

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Gomma dell’art. 182, cod. proc. civ., dev’essere controllata

dall’art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel
senso che il giudice

“deve”

promuovere la sanatoria, in

qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle
cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte
che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti
tunc,

senza il limite delle preclusioni derivanti da

decadenze processuali.
E’ appena il caso di aggiungere che la norma di cui
all’art. 182 cit trova applicazione anche in grado di appello
in forza del rinvio contenuto nell’art. 359 cod. proc. civ..
1.4. Con più specifico riferimento alla rappresentanza
processuale delle società questa Corte ha poi operato una
distinzione tra onere di

indicazione

della fonte del potere

rappresentativo e onere della relativa

dimostrazione.

In

particolare le Sezioni Unite (sentenza l ottobre 2007, n.
20596) hanno chiarito che, in tema di rappresentanza
processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha
conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare
tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia
costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale
rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di
rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto
costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la
possibilità di verificare il potere rappresentativo
consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi,
spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui
il potere rappresentativo abbia origine da un atto della
persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a

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ex

chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a
condizione, però, che la contestazione della relativa qualità
ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il
giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in
ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal

che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona
giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste
astrattamente

idonea ad abilitarlo alla rappresentanza

processuale della persona giuridica stessa.
1.5. Orbene nel caso di specie – come emerge chiaro dalla
stessa decisione impugnata – la Banca di Roma, costituitasi in
giudizio per mezzo di persona diversa dal legale
rappresentante

(id est

di persona diversa da quella
a

rappresentarla),

provvide

astrattamente

idonea

all’indicazione

degli atti fondativi del potere di

rappresentanza processuale dei sottoscrittori della procura,
solo a fronte della contestazione avversaria svolta nella
comparsa conclusionale, provvedendo nel primo atto successivo,
e quindi nella memoria di replica depositata nel primo grado
del giudizio, anche ad allegare la relativa prova documentale.
Ciò posto, è assorbente il rilievo, formulato nella
decisione impugnata, della corretta costituzione in giudizio
della società opponente, per il tramite di persone cui era
stato conferito il potere di firma sociale con delibera del
C.d.A., attesa l’equivalenza dell’indicazione di un organo che
deriva il potere di rappresentanza processuale dall’atto
costitutivo o dallo statuto della società all’indicazione di

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rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto

altro atto di conferimento dei poteri

rappresentativi,

fondandosi il potere di rappresentanza su atti societari
aventi, a tal fine, la medesima efficacia legittimante.
Né può profilarsi la tardività delle relative indicazioni,
così come non rileva l’irritualità della produzione

alla luce del potere ufficioso di cui all’art. 182 cod. proc.
civ., cui fa riferimento parte ricorrente, trattandosi di
potere, che ha il suo riflesso nel

dovere,

esercitabile in

ogni fase e grado del giudizio (salvo il limite del
giudicato), di assegnare termine anche per eventuale
integrazione sanante. In altri termini se il giudice di primo
grado avrebbe potuto (e dovuto) anche in sede decidente
sollecitare la giustificazione dei poteri rappresentativi e,
se del caso, promuoverne la sanatoria, a maggior ragione non
può profilarsi una preclusione della parte, tanto più quando
l’avversario ha scelto di svolgere le proprie contestazioni
solo nella comparsa conclusionale.
Per altro verso

considerato che la documentazione

giustificativa dei poteri rappresentativi avrebbe potuto
essere prodotta anche in appello (e, per quanto emerge dalla
decisione impugnata, risultava allegata in atti nel secondo
grado del giudizio) – l’odierno ricorrente avrebbe potuto
lamentarsi della mancata rimessione sul ruolo da parte del
primo giudice, ove avesse inteso dolersi di non aver potuto
fornire la prova negativa e avrebbe, eventualmente, potuto
fornire detta prova anche in appello, giammai limitarsi a
contestare l’inammissibilità dell’avversa produzione

documentale allegata alla memoria di replica; e ciò proprio

documentale.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omessa e
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod. proc. civ.).
2.1. Il motivo riguarda il punto della decisione in cui la

Giudice ha ritenuto che mancasse la prova della
corresponsione

dei interessi ultralegali e, quindi, degli

asseriti pagamenti indebiti, evidenziando, a tali effetti,
l’irrilevanza del mero dato della previsione della chiusura
trimestrale dei conti correnti, attesa la riferibilità del
saldo passivo di E 786.333.219 (in forza di riconoscimento
proveniente dallo stesso Mascia) vuoi al capitale, vuoi agli
interessi e considerato, altresì, che – pur a riconoscere
l’indeterminatezza delle condizioni di conto corrente in punto
di determinazione degli interessi – sarebbe stato onere di
colui che agiva in ripetizione di fornire la prova, non
surrogabile con una c.t.u. esplorativa, dell’importo delle
rimesse effettuate, delle loro imputazione oltre che degli
interessi in concreto applicati.
2.1.1. A parere del ricorrente siffatta motivazione è
viziata, giacche è mancata la valutazione di tutta la
documentazione prodotta da cui emergerebbe sia l’esistenza
della

causa debendi

vantata dalla Banca, sia l’avvenuto

pagamento degli interessi non dovuti, con la conseguenza, come
si legge nel c.d. quesito di fatto
civ., di

ex art. 366 bis cod. proc.

«disattendere il dettato normativo in materia e

l’oramai costante orientamento di Codesta Ecc.ma Suprema

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Corte di appello – confermando valutazioni espresse dal primo

Corte».
2.2. Anche il presente motivo – sostanzialmente finalizzato
ad una non consentita rivalutazione del materiale documentale,
parzialmente “assemblato” al ricorso non merita
accoglimento.

volto a conseguire un diverso apprezzamento delle risultanze
documentali, già valutate dai giudici dei merito con
motivazione succinta, ma comunque adeguata e dissimula,
dunque, una richiesta di riesame del merito, inibita in sede
di legittimità_
E’ il caso di aggiungere che – ove il ricorrente intendesse
lamentare che il giudice di appello abbia

ignorato

alcuni

documenti il motivo incorrerebbe in altro profilo di
inammissibilità, non corrispondendo tale errore ad alcuno dei
motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ.;
l’errore in questione, risolvendosi in una inesatta percezione
da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura
base del suo ragionamento, ma in contrasto con le risultanze
degli atti del processo, andava, infatti, denunciato con il
mezzo della revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod.
proc. civ. (Cass. 19 febbraio 2009, n. 1056; Cass. 23 marzo
2005, n. 6306).
2.3. Soprattutto la censura non attinge il punto centrale
della decisione laddove si evidenzia che è ripetibile la somma
indebitamente pagata e non già il debito sostenuto come
illegale.
Vero è

,

infatti,

che un pagamento, per dar vita ad

•1

Invero il vizio di motivazione appare inammissibile, perchè

un’eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo
indebitamente effettuato, deve tradursi nell’esecuzione di una
prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il

solvens),

con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro
soggetto

(l’acciplens);

e in tanto può definirsi indebito, con

civ., in quanto difetti di una idonea causa giustificativa.
Muovendo da tale premessa, apparentemente ovvia, le Sezioni
unite di questa Corte (sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418) affrontando la questione dell’individuazione del

dies a quo

della prescrizione dell’azione di ripetizione del cliente
verso la banca con riguardo ad interessi che si assumevano,
come nella specie, indebitamente corrisposti in relazione ad
un’apertura di credito j -1 conto corrente bancario – hanno
fatto riferimento alla nota distinzione tra atti
ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti
dal correntista per estinguere il proprio debito verso la
banca (cfr. Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; e Cass. 23
novembre 2005, n. 24588), al fine di stabilire se (e quando)
sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito,
da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del
solvens.

In tale prospettiva è stato osservato che, se

pendente l’apertura di credito, il correntista non si sia
avvalso della facoltà di effettuare versamenti, è indubbio che
non vi sia stato alcun pagamento da parte sua, prima del
momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire
alla banca il denaro in concreto utilizzato; nel caso, invece,
che, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia

conseguente diritto di ripetizione a norma dell’art. 2033 cod.

effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in
tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua
di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione
(ove risultino indebiti), in guanto abbiano avuto lo scopo e
l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della

su un conto “scoperto” (cui non accede alcuna apertura di
credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano
destinati a coprire un passivo eccedente i limiti
dell’accreditamento) e non, viceversa, in tutti

i

casi nei

quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il
limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano
unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale
il correntista può ancora continuare a godere.
Invero l’annotazione in conto di una posta di interessi

(o

di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al
correntista comporta un incremento del debito dello stesso
correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora
dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel
senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei
termini sopra indicati in favore della banca; con la
conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare
la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa (allo
scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità
di credito, nei limiti del fido accordatogli), ma non potrà
agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale,
da parte sua non ha ancora avuto luogo.

Di

pagamento, nella

descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che,

13

banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti

conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto
corrente, la banca abbia esatto dal correntista la
restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino
compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se
corrisposti dal cliente al’atto della chiusura del conto.

l’appunto affermato che mancava la prova della

corresponsione

degli interessi, segnatamente evidenziando l’inconferenza
della mera
determinativa

deduzione
degli

dell’illegittimità
stessi,

dell’azione di ripetizione,

avuto

della

riguardo

clausola

all’oggetto

rappresentato dal pagamento

indebito e non già dal «debito sostenuto come illegale».
Orbene il ricorrente non ha censurato tale affermazione,
limitandosi ad insistere nel rilievo dell’illegittimità delle
previsioni contrattuali in punto di determinazione degli
interessi e delle c.m.s.; tantomeno ha allegato di avere
provveduto al pagamento del saldo passivo di £ 786.333.219 cui
si fa riferimento nella decisione impugnata, si da inferirne
la pretesa di restituzione della somma di £ 413.785.381
avanzata in sede monitoria.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate alla
stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140/2012 come in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
E 7.200,00 (di cui E 200,00 per esborsi) oltre accessori come

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2.4. Nel caso in esame la Corte territoriale ha per

per legge.
Roma 27 novembre 2012

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