Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7979 del 22/03/2021

Cassazione civile sez. I, 22/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 22/03/2021), n.7979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19639/2015 proposto da:

Comune di Lamezia Terme, in persona del sindaco pro tempore,

domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati

Leone Salvatore, Restuccia Caterina, Carnovale Scalzo Francesco,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.G. Porro

n. 18, presso lo studio dell’avvocato Condemi Giorgio, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Romano Giovanni,

giusta procura procuratore;in calce alla memoria di costituzione di

nuovo;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 774/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 24/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 24-5-2014, ha determinato in Euro 542.000 l’indennità di esproprio e in Euro 215.707 l’indennità per occupazione temporanea dovute a D.M.R. dal Comune di Lamezia Terme in relazione ai beni di cui al decreto di esproprio emesso in data 27-2-2008.

2. Avverso questa sentenza, il Comune di Lamezia Terme propone ricorso affidato a due motivi e illustrato con memoria, resistito con controricorso da D.M.R..

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa e di costituzione di nuovo difensore in sostituzione del precedente, deceduto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Comune ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 244 del 2007 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistito nell’acritica adesione della Corte di merito ad una delle due consulenze tecniche d’ufficio espletate, senza che, ad avviso del ricorrente, sia stato motivato il dissenso dalle conclusioni rassegnate dal primo CTU Dott. T., il quale aveva ritenuto non edificabili i beni ablati ed aveva quantificato l’indennità di espropriazione in Euro 25.541,26 e in Euro 10.181,04 l’indennità di occupazione, con notevolissima sproporzione rispetto a quelle determinate dal secondo C.T.U. e recepite nella sentenza impugnata; (ii) con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 116 c.p.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, per avere la Corte territoriale disposto la rinnovazione dell’accertamento peritale senza spiegare le ragioni di tale scelta e per avere ignorato le conclusioni rassegnate dal primo C.T.U. in ordine alla natura non edificabile dei suoli occupati e ablati.

2. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

2.1. Le censure sono infondate nella parte in cui è denunciato il vizio motivazionale, per non avere la Corte di merito, ad avviso del ricorrente, spiegato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle conclusioni rassegnate dal primo consulente tecnico d’ufficio nominato Dott. T..

La Corte territoriale, con motivazione adeguata e superiore al “minimo costituzionale” (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha in dettaglio confutato i rilievi critici formulati dal Comune proprio sulla base della prima C.T.U. e richiamati in ricorso, in particolare sulla dedotta inedificabilità dell’area in ragione della estensione e delle sue caratteristiche morfologiche (presenza nel mezzo di un torrente), nonchè in ragione della classificazione di parte dell’area, in base alla normativa P.A.I., a rischio R4 (cfr. pag. n. 7 e 8 sentenza impugnata). Ugualmente infondata è la censura sulla mancata motivazione sia della disposta rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, sia del rigetto implicito dell’istanza di rinnovazione dell’indagine peritale all’esito dell’espletamento della seconda C.T.U., atteso che, secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, si tratta di potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, o mancato esercizio, non necessita di motivazione espressa, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti la rilevanza, o l’irrilevanza, dell’indagine richiesta (Cass. n. 22799/2017; Cass. n. 21525 del 20/08/2019).

Nel caso di specie, il complesso delle ragioni svolte in sentenza, ad espressa confutazione, come già rimarcato, delle osservazioni critiche del Comune, rende priva di fondamento la censura di cui trattasi, anche in considerazione della rilevante discrepanza tra le indennità calcolate dal primo C.T.U. e quelle determinate dalla C.P.E. di Catanzaro, di cui il Comune chiedeva la conferma, nel costituirsi (pag. 3 ricorso e pag. 2 memoria del Comune – indennità definitiva di esproprio di Euro 169.601,52, in base alla stima della C.P.E., e di Euro 25.541,26 in base alla prima C.T.U.).

2.2. Le censure sono inammissibili nella parte in cui il Comune denuncia l'”acritica adesione” della Corte di merito alla seconda C.T.U. e il consequenziale dissenso dalla prima consulenza sub specie del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo, mentre non è in sè configurabile come fatto storico la consulenza tecnica d’ufficio, semmai potendosi invocare l’omesso esame di specifici fatti risultanti dall’indagine peritale, se decisivi. Il Comune si duole, in realtà e in buona sostanza, del giudizio finale espresso dal secondo consulente ed inoltre alla ricostruzione fattuale ed alla descrizione dei luoghi analiticamente riportate nella sentenza impugnata (cfr. pag. n. 6), il cui esame è, dunque, compiutamente avvenuto, si limita a contrapporre quella effettuata dal primo consulente, senza spiegare in dettaglio quale sia la lamentata discordanza tra le oggettive circostanze di fatto e quali, nello specifico, i fatti storici decisivi il cui esame denuncia omesso.

Inammissibili sono, altresì, le censure nella parte in cui è denunziata la violazione dell’art. 116 c.p.c. (secondo motivo), che ricorre solo quando il giudice di merito disattenda il principio della libera valutazione delle prove, in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (tra le tante da ultimo Cass. n. 18092/2020), il che non è nella specie, atteso che il Comune si duole, ancora una volta, della piena e totale adesione alla seconda C.T.U. da parte della Corte di merito (cfr. incipit del secondo motivo di ricorso).

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.200, di cui Euro200 per esborsi, oltre rimborso spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2021

 

 

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