Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7979 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 23/01/2019, dep. 21/03/2019), n.7979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7573-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

TOYOTA MOTOR ITALIA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIAN

GIACOMO PORRO 8, C/STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO GCP, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO FALCITELLI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 23/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2019 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio delle Dogane di Pavia condusse, nel 2008, una verifica presso un centro di stoccaggio di autovetture nuove riferibile a Toyota Motor Italia s.p.a. (di seguito “Toyota”) in (OMISSIS), in cui venivano temporaneamente depositate tutte le autovetture modello Yaris e Aygo, di provenienza dalla Francia e dalla Repubblica Ceca, prima di essere distribuite in Italia; detta verifica era finalizzata al controllo della esatta quantità di olio lubrificante presente in dette autovetture e della relativa imposta di consumo, onde procedere al raffronto con i dati dichiarati da Toyota per il periodo dal gennaio 2005 al febbraio 2008. All’esito, l’Ufficio emise un atto di contestazione per l’irrogazione di sanzioni a carico della società. La C.T.P. di Pavia accolse il ricorso proposto da Toyota avverso detto avviso con sentenza n. 155/04/09, confermata dalla C.T.R. della Lombardia con decisione del 23.1.2012, che respinse il gravame dell’Ufficio. Osservò nella sostanza il giudice d’appello che la ripresa, e la conseguente irrogazione delle sanzioni, erano basate su un metodo di calcolo fondato non già su controlli materiali, ma esclusivamente su presunzioni, non idonee a supportare la pretesa.

L’Agenzia delle Dogane ricorre ora per cassazione, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente, che ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente, premesso che l’Ufficio aveva proceduto al calcolo in questione confrontando la capacità del serbatoio del lubrificante indicata nel libretto di manutenzione o nella scheda tecnica di ciascun modello (documenti provenienti dalla stessa Toyota) con le quantità da questa dichiarate nel periodo in discorso, rileva che la C.T.R. – in relazione alla questione della quantità di olio immessa in consumo con la vendita delle vetture, da intendersi quale fatto controverso e decisivo – ha fondato la propria decisione su due argomentazioni: 1) i dati tecnici sulle capacità dei serbatoi costituiscono mere indicazioni per garantire la migliore manutenzione dell’auto e comunque non può ritenersi in materia assiomatica che, al momento della consegna al cliente, il serbatoio debba necessariamente contenere il livello massimo di olio; 2) è inutilizzabile nel presente giudizio un PVC afferente ad un accertamento eseguito per un anno d’imposta diverso, come invece ha preteso fare l’Ufficio con la produzione del PVC inerente all’anno 2009.

Secondo la ricorrente, tale percorso motivazionale è gravemente viziato, perchè la prima affermazione è tautologica e non esamina il fatto che le indicazioni contenute nelle schede tecniche di ciascun modello hanno invece una valenza indiziaria, del tutto obliterata dalla C.T.R.; inoltre, la motivazione è gravemente insufficiente, perchè non tiene conto della valenza latamente confessoria delle predette indicazioni, fornite, in definitiva, dalla stessa Toyota, nè del fatto che si trattasse di auto nuove; aggiunge che, stante il regime di libera circolazione di merci in ambito UE, alcun controllo materiale era stato possibile effettuare nella specie (carenza sostanzialmente posta a base della decisione d’appello), essendo solo consentito un controllo documentale a posteriori. Quanto alla seconda affermazione della C.T.R., se ne rileva l’erroneità, giacchè l’Ufficio, con la produzione in appello del PVC del 10.2.2010 (concernente l’anno 2009), non intendeva certo estendere le contestazioni per cui è causa a quanto risultante dal detto PVC, ma solo dimostrare che il criterio di calcolo da esso utilizzato in astratto per il periodo 2005-2008 risultava del tutto corretto anche procedendo ad un rilevamento a campione (e quindi in concreto), giacchè appunto in detta ultima occasione si era proceduto ad un riscontro diretto dei livelli di olio in tre autovetture stoccate nel medesimo centro di (OMISSIS), sostanzialmente ottenendo il medesimo risultato.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente, avrebbe errato la C.T.R., dopo aver escluso la valenza indiziaria dei singoli elementi acquisiti in giudizio, nel non valutarli nel loro insieme, ossia mediante un criterio sintetico, così incorrendo nella descritta violazione di legge.

2.1 – Il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

La decisione impugnata è dotata di un più che sufficiente percorso motivazionale, basato appunto su due argomentazioni principali, peraltro riportate dalla stessa Agenzia: 1) la natura di “mere indicazioni” dei dati tecnici sulle capacità dei serbatoi; 2) l’inutilizzabilità del PVC inerente all’anno 2009. Non v’è quindi insufficienza, nè tantomeno tautologicità, per l’ovvia considerazione che il livello massimo di olio, quand’anche indicato dal produttore del veicolo, non costituisce condicio sine qua non per l’utilizzabilità del veicolo stesso; non è quindi neppure illogica (come anche sostenuto nell’esposizione del mezzo in discorso) l’affermazione per cui non può costituire un assioma il fatto che, all’atto della consegna della vettura nuova al cliente, debba indefettibilmente sussistere un livello massimo di lubrificante, ben potendo ipotizzarsi anche scostamenti quantitativi – quand’anche minimi, seppur apprezzabili – rispetto a quanto indicato nella scheda tecnica.

2.2 – Quanto poi alla questione della inutilizzabilità del PVC concernente l’anno 2009, è appena il caso di precisare che tale giudizio attiene alla astratta possibilità, per il giudice di merito e ai fini della formazione del proprio convincimento, di valersi o meno della documentazione prodotta dalla parte che ne ha interesse.

Il preteso errore in cui il giudice stesso eventualmente incorra è quindi un tipico error in procedendo, da denunciare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non già sotto il profilo del vizio motivazionale, come invece ha fatto l’Agenzia. Il che vale non soltanto quando la parte aspiri a ricavare dal documento così prodotto (e considerato inutilizzabile) la piena prova del fatto, principale o secondario, congruente con la propria tesi, ma anche quando voglia attribuirvi – come nella specie – mera valenza indiziaria.

Tale profilo della censura è quindi inammissibile.

3.1 – Il secondo motivo è inammissibile e comunque infondato.

Ancora di recente (Cass. n. 9059/2018) è stato ribadito che “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento”.

Al riguardo, ritiene anzitutto la Corte che il motivo in esame difetti della necessaria specificità, perchè la ricorrente – che nella sostanza richiama il superiore orientamento, lamentando la mancanza di una valutazione globale, o di sintesi, dei singoli elementi indiziari da parte della C.T.R. – non spiega in cosa detta sintesi avrebbe dovuto sostanziarsi. Da qui l’inammissibilità della censura. Del resto, può al riguardo farsi riferimento anche al recente insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, che (in motivazione) ha così statuito: “la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.

Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi”.

E’ evidente che il motivo, per come sviluppato dalla ricorrente, non è conforme a tali canoni.

3.2 – In ogni caso, la censura è infondata, perchè, una volta evidenziato che la questione della inutilizzabilità del PVC concernente l’anno 2009 è oramai coperta dal giudicato, per effetto di quanto stabilito nell’esame del motivo precedente, ne deriva che residua un unico elemento indiziario – ossia l’indicazione della quantità di olio riportata nella scheda tecnica di ciascun veicolo – per il quale la valutazione analitica (che, per la stessa ricorrente, la C.T.R. ha senz’altro effettuato) non può che coincidere con quella di sintesi.

4.1 – Il ricorso è dunque rigettato. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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