Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7976 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 21/03/2019), n.7976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 4315 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

Contro

Univeg Trade Italia s.r.l., – incorporante la Univeg Import Italia

s.r.l. – in persona del legale rappresentante pro tempore

C.R., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dall’avv.to prof. Remo Dominici e dall’avv.to prof.

Lorenzo Magnani, elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’avv.to Sara Madama in Roma, Via Pompeo Magno n. 3;

– Controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria, n. 774/07/14, depositata in data 17 giugno

2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 20

febbraio 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Matteis Stanislao che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito per l’Agenzia delle dogane l’avv.to dello Stato Pasquale

Pucciariello.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Univeg Import Italia s.r.l. effettuò nel 2009 importazioni definitive a dazio pieno di alcune partite di meloni freschi provenienti dal Brasile, non avendo allegato alle dichiarazioni doganali i certificati di origine FORM A necessari per fruire del trattamento daziario agevolato per i beni provenienti da Paesi in via di sviluppo.

Essendo tali certificazioni pervenute nella disponibilità della società importatrice alcuni giorni dopo il compimento delle operazioni doganali, Univeg presentò istanza di revisione dell’accertamento ex art. 78 CDC, e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, allegando i certificati preferenziali FORM A per ottenere il rimborso dei maggiori dazi corrisposti all’atto dell’importazione.

1.1. L’Agenzia delle dogane, Ufficio di Savona, rigettò le istanze di rimborso, con provvedimenti nn. 7449, 7474, 7476 e 7477, ritenendo che la società importatrice, per potere usufruire del dazio ridotto, avrebbe dovuto avvalersi della procedura della c.d. “dichiarazione incompleta” di cui all’art. 76 CDC, par. 1, lett. a), e non già di quella di revisione dell’accertamento ex art. 78 CDC.

1.2. La Commissione tributaria provinciale di Savona, con sentenze nn. 78, 79, 80, 81 e 84 del 7 maggio 2010, accolse i ricorsi proposti dalla società contribuente avverso i provvedimenti di rigetto delle istanze di rimborso.

1.3. L’appello cumulativo proposto dall’Agenzia delle dogane, Ufficio di Savona, avverso le decisioni è stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Liguria con sentenza n. 774/07/2014.

1.4. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) nella specie, la questione era limitata alla verifica della legittimità della procedura utilizzata dalla contribuente per il riconoscimento del beneficio fiscale, non essendovi alcun dubbio circa la sussistenza dei presupposti per usufruire del trattamento daziario privilegiato (dato che i meloni rientravano nella tipologia di prodotti sensibili individuati dai Reg. CE n. 2204 del 1999 e n. 732 del 2008 e il Brasile nell’elenco dei Paesi aventi diritto alle agevolazioni daziarie); 2) la ricorrente non essendo sicura dell’esistenza e della validità del FORM A per le operazioni doganali in questione, aveva versato il dazio pieno riservandosi la possibilità, una volta conseguita tale certificazione, di richiedere il rimborso del maggior dazio corrisposto mediante la rettifica dell’accertamento; 3) sussistevano i presupposti per la revisione dell’accertamento ex art. 78 CDC, e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, essendo stato applicato un regime doganale in base ad elementi incompleti, dato che non si era tenuto conto della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa di riferimento per il godimento del dazio agevolato; 4) la procedura della c.d. “dichiarazione incompleta” non rappresentava un obbligo ma soltanto una facoltà della contribuente, la quale, in un’ottica di prudenza, aveva optato per assolvere il dazio pieno, riservandosi di conseguire il beneficio fiscale una volta chiarita la sussistenza e la validità della certificazione.

2. Avverso la sentenza l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, Univeg Trade Italia s.r.l.- incorporante Univeg Import Italia s.r.l. – spiegando ricorso incidentale articolato in un mezzo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle dogane, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per non avere la CTR argomentato in ordine alla circostanza, puntualmente dedotta, dell’anteriorità dell’emissione dei certificati FORM A rispetto alla dichiarazione doganale, il che avrebbe- ad avviso della ricorrente-comportato la illegittimità della procedura di revisione dell’accertamento ex art. 78 CDC, azionata dalla contribuente per ottenere il rimborso dei maggiori dazi versati, per essere l’unica procedura da seguire quella della c.d. “dichiarazione incompleta” ex art. 76 CDC.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 76 e 78 C.D.C., nonchè del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, per avere la CTR ritenuto legittima la procedura di revisione dell’accertamento ex art. 78 C.D.C., e dunque illegittimi i dinieghi di rimborso, sul presupposto che fosse rilevante la mancata conoscenza da parte della contribuente dell’esistenza del certificato di origine preferenziale FORM A al momento della dichiarazione doganale, trascurando di considerare la circostanza fondamentale della anteriorità della emissione dei detti certificati rispetto alla dichiarazione doganale (per essere stati rilasciati nella stessa data delle polizze di carico) con conseguente insussistenza dei c.d. “nuovi elementi” ai fini della procedura ex art. 78 C.D.C..

2.1. I motivi – da trattare congiuntamente per connessione – sono infondati.

2.2. Va, al riguardo, osservato che il presupposto per l’applicazione dei diritti di confine all’importazione è costituito dalla destinazione al consumo della merce importata, che avviene mediante la dichiarazione di importazione, nella quale l’importatore manifesta la volontà di rendere liberamente commerciabile la merce in un mercato diverso da quello di origine, avvantaggiandosi dei benefici connessi all’utilizzazione dei prodotti nel mercato interno. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 201 C.D.C., comma 2, l’obbligazione doganale sorge, in via ordinaria, al momento dell’accettazione stessa della dichiarazione da parte dell’autorità doganale.

A tal fine, il C.D.C., prevede che i dazi doganali dovuti per legge, per effetto dell’insorgenza dell’obbligazione in parola, “sono basati sulla tariffa doganale della Comunità Europea”, ai sensi dell’art. 20, comma 1, e sono applicati sulla base delle disposizioni vigenti al momento dell’accettazione di detta dichiarazione da parte dell’autorità doganale, a norma del cit. codice, art. 67.

Ne deriva che anche “tutti i documenti la cui presentazione è necessaria per consentire l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale le merci sono dichiarate”, debbono, ordinariamente, essere allegati alla dichiarazione di importazione (art. 62 CDC, par. 2), salvo che l’autorità doganale consenta, a particolari condizioni e con i limiti stabiliti dalla normativa comunitaria, che a detta dichiarazione non siano allegati alcuni dei documenti di cui al succitato art. 62, (art. 76 CDC).

Tali essendo le modalità generali di determinazione del regime doganale applicabile alle singole importazioni, va, peraltro, rilevato che particolari e specifiche disposizioni sono dettate per quanto concerne le misure tariffarie preferenziali, e segnatamente quelle applicabili alle merci importate nell’ambito di determinati contingenti tariffari.

Ed invero, ai sensi dell’art. 20 C.D.C., par. 4, nell’ipotesi in cui le merci rientrino in misure tariffarie preferenziali, stabilite dalla Comunità unilateralmente o mediante accordi con taluni Paesi membri, la domanda dell’importatore di applicazione di dette agevolazioni, in luogo dei dazi doganali ordinari, “può essere introdotta a posteriori finchè sussistono le condizioni richieste”. In particolare, poi, qualora il trattamento daziario preferenziale sia applicato a beni immessi in libera pratica nel quadro di determinati contingenti tariffari, la “presentazione alle autorità doganali del documento a cui è subordinata la concessione del dazio ridotto o nullo” deve comunque, ed in ogni caso, essere effettuata (…) “prima della data in cui una misura comunitaria reintroduce la riscossione di dazi all’importazione normali” (art. 256 DAC, par. 2). Ne discende, dunque, che, con riferimento alla specifica ipotesi dei trattamenti tariffari preferenziali, è eccezionalmente concessa all’importatore – in deroga alla regola generale – la possibilità di esibire la documentazione utile per la concessione del beneficio daziario anche dopo la dichiarazione di importazione, dalla quale nasce l’obbligazione doganale.

In tal senso, si è, del resto, espressa anche la giurisprudenza comunitaria, muovendo dalla distinzione tra il certificato di autenticità, volto ad ottenere un trattamento tariffario favorevole ai sensi dell’art. 21 CDC, (fondato sulla natura o la destinazione particolare dei determinati beni), ed il certificato di origine, necessario per conseguire un trattamento tariffario preferenziale (in ragione dell’origine e della provenienza particolare di un certo tipo di merce). La Corte di Lussemburgo ha – per vero – affermato in proposito che, attesa la diversità del ruolo svolto dal certificato di origine rispetto a quello proprio del certificato di autenticità, a differenza di quanto è stabilito per quest’ultimo con riferimento alla concessione del regime tariffario favorevole, la presentazione di un certificato di origine prima dell’immissione in libera pratica della merce cui si riferisce non è una condizione preliminare per l’esistenza del diritto ad un trattamento tariffario preferenziale. Sicchè i dazi prelevati prima della presentazione di tale certificato di origine non possono essere considerati legittimamente dovuti, ai sensi dell’art. 236 C.D.C., n. 1. (C. Giust. 27.9.01, C-253/99).

Resta – tuttavia – pur sempre ferma, com’è ovvio, la necessità che la presentazione di detti certificati avvenga entro i precisi limiti temporali richiesti dalla normativa comunitaria, che – con riferimento al caso, ricorrente nella specie, dell’importazione di merce ricompresa nei contingenti tariffari – individua, come dianzi detto, quale limite temporale invalicabile la “misura comunitaria che reintroduce la riscossione di dazi all’importazione normale”, rendendo, in tal modo, insussistenti le condizioni per l’ammissione al regime preferenziale. Tale limite è, in verità, connaturale alla stessa natura di rimedio eccezionale, nei confronti dell’eccesso di importazione di merci extracomunitarie a prezzi più bassi di quelli praticati nel mercato comune, rivestita dai dazi applicati alle importazioni che eccedano il contingente tariffario introdotto per determinate merci, al fine di contingentarne l’introduzione all’interno del mercato Europeo (cd. antidumping). Per il che, la riespansione dell’ordinario regime doganale per effetto di una diversa misura comunitaria, non può che comportare l’impossibilità giuridica dell’inserimento di quelle determinate merci nel contingente, ormai soppresso, e la loro conseguente sottoposizione ai normali dazi doganali (Cass. n. 26003 del 2013).

2.3. Posto quanto sopra, ex art. 78 CDC, comma 3:” Quando dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale, nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione”.

La ricorrente muove, dunque, da un erroneo presupposto interpretativo, in quanto l’anteriorità dell’emissione dei certificati FORM A rispetto alla data delle dichiarazioni doganali – circostanza, peraltro, accertata dalla CTR – non costituisce un elemento ostativo alla procedura di revisione ex art. 78 C.D.C., potendo quest’ultima originare da una “incompletezza” relativa agli elementi posti alla base della dichiarazione; ciò considerando che i documenti utili per la concessione del trattamento tariffario privilegiato possono essere esibiti dall’importatore anche dopo l’immissione della merce in libera pratica della merce, finchè sussistono le condizioni richieste ex lege.

In questo contesto normativo, la procedura della c.d. “dichiarazione incompleta” ex art. 76 C.D.C., con pagamento del dazio ridotto all’atto dell’importazione, rimane una facoltà del dichiarante che non esclude l’esperibilità della procedura di revisione ex art. 78 C.D.C., qualora si ravvisino – come nella specie – delle incompletezze relative agli elementi posti alla base della dichiarazione.

2.4. La CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo confermato la illegittimità dei provvedimenti di diniego del rimborso, stante la ritenuta legittimità della procedura ex art. 78 CDC, e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, per incompletezza degli elementi posti alla base delle dichiarazioni doganali, potendo la contribuente produrre i certificati FORM A anche successivamente all’immissione della merce in libera pratica.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e art. 92 c.p.c., per aver il giudice di appello, nonostante la soccombenza dell’Agenzia, compensato le spese del grado, senza esplicitarne le ragioni.

3.1. Il motivo è fondato.

Va premesso che l’art. 92 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis al giudizio di appello era quello risultante dalle modifiche di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il quale consentiva la compensazione delle spese “per giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione”.

“In tema di compensazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, modificata dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), il giudice è tenuto ad indicare, ove non sussista soccombenza reciproca, i giusti motivi posti a fondamento della stessa che non possono essere costituiti dal riferimento alla natura o al modesto valore della controversia ovvero risolversi nell’uso di motivazioni illogiche o meramente apparenti” (Cass. Sez. 6-5, n. 25594 del 2018).

Nella specie, la CTR non si è attenuta al suddetto principio, essendosi limitata ad affermare che “si ritiene di compensare le spese legali”, senza indicare in motivazione le ragioni a fondamento della detta statuizione.

4. In conclusione, va rigettato il ricorso principale e accolto l’incidentale, con cassazione della sentenza impugnata quanto al ricorso incidentale accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte, decidendo nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, condanna dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli al pagamento in favore di Univeg Trade Italia s.r.l. – incorporante Univeg Import Italia s.r.l. – delle spese processuali del grado di appello liquidate come in dispositivo.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata – in relazione al ricorso incidentale – e decidendo nel merito condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli al pagamento in favore di Univeg Trade Italia s.r.l. – incorporante Univeg Import Italia s.r.l. – delle spese processuali del grado di appello, che si liquidano in Euro 1000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge, nonchè delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1700,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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