Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7975 del 22/03/2021

Cassazione civile sez. I, 22/03/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 22/03/2021), n.7975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22119/2015 proposto da:

Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale

Tupini, n. 113, presso lo studio dell’avvocato Corbo Nicola, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.D., nella qualità di procuratore generale di

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Clodio n. 13,

presso lo studio dell’avvocato Geraci Olga, rappresentato e difeso

dall’avvocato Calpona Benedetto, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 460/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 06/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/10/2020 dal Cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 6 maggio 2015 la Corte d’appello di Messina ha determinato in 91.342,75 Euro l’indennità aggiuntiva spettante, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 17 e D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, comma 4 (T.U. Espr.), a C.F. – che aveva agito in giudizio a mezzo del suo procuratore generale, C.D. – e ha condannata Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. al relativo pagamento.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che, alla data del decreto d’occupazione d’urgenza (28 giugno 1995) e di immissione in possesso (8 agosto 1995), C.F. era iscritto negli elenchi nominativi del Comune di Terme Vigliatore e in quelli INPS, come coltivatore diretto; b) che esisteva la necessaria relazione diretta e coerente tra i contributi versati e la quantità di lavoro resa dal coltivatore e la, sua famiglia, in relazione alle dimensioni e alle caratteristiche del terreni; c) che Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. non aveva contestato la qualifica di coltivatore diretto.

3. Avverso tale sentenzà Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso C.D., nella qualità di procuratore generale di C.F.. E’ stata depositata memoria, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., nell’interesse di entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 40 e 42-bis, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’indennità aggiuntiva de qua sia dovuta anche nel caso, ricorrente nella specie, di acquisizione sanante del fondo, disposta ai sensi del citato art. 42-bis.

La doglianza è infondata.

L’art. 42-bis, comma 3, T.U. Espr., dispone che, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui dello stesso art. 42-bis, comma 1, è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità.

Ne discende che siffatta componente mira a compensare la perdita del bene stesso, laddove la giurisprudenza di legittimità è giunta alla conclusione che, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, all’affittuario coltivatore diretto del fondo espropriato spetta un’indennità aggiuntiva, della L. n. 865 del 1971, ex art. 17, autonoma rispetto all’indennità di espropriazione, che trova fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato e nella situazione privilegiata che gli artt. 35 Cost. e segg., assicurano alla posizione del lavoratore. Proprio in ragione della natura aggiuntiva di tale indennità, ribadita dall’art. 37, comma 9, T.U. Espr., la stessa non va detratta da quella di espropriazione, non potendo escludersi, anche in base alla giurisprudenza della CEDU, che, in presenza della necessità di tener conto della particolare posizione del coltivatore espropriato, l’espropriante possa andare incontro ad esborsi – preventivamente valutabili – complessivamente superiori al valore di mercato del bene ablato, senza che ciò costituisca violazione del limite previsto dall’art. 42 Cost. (Cass. 3 giugno 2016, n. 11464).

Peraltro, con riguardo al caso del proprietario coltivatore diretto, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, con riferimento al caso in cui lo strumento urbanistico aveva attribuito vocazione edificatoria al suolo su cui era esercitata un’impresa agricola, che la liquidazione dell’indennità dovesse essere rapportata al valore venale del bene espropriato, sicchè, ferma restando l’indennità aggiuntiva in favore del proprietario coltivatore diretto di cui all’art. 37, comma 9, T.U. Espr. (Cass. 25 luglio 2018, n. 19753).

Siffatta” soluzione è coerente con le indicazioni di Cass. 24 aprile 2014, n. 9269, secondo cui, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, al proprietario coltivatore diretto del fondo espropriato spetta un’indennità aggiuntiva, della L. 22 ottobre 1971, n. 865, ex art. 17, autonoma rispetto all’indennità di espropriazione, caratterizzata da una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui egli ha esercitato l’attività agricola.

Alla luce delle superiori premesse, il riferimento dell’art. 42-bis, comma 3, T.U. Espr. al (solo) valore venale lascia evidentemente priva di copertura siffatta voce indennitaria.

D’altra parte, il ristoro per il pregiudizio provocato all’attività lavorativa risponde ad una logica patrimoniale, estranea alla componente non patrimoniale forfetariamente liquidata nella misura del dieci per cento del valore venale del bene, ai sensi dell’art. 42-bis, comma 1, T.U. Espr. e all’indennizzo per il periodo di occupazione di cui al successivo comma 3, ultimo periodo.

Ne discende che l’art. 40, comma 4, T.U. Espr. deve ritenersi applicabile a tutte le procedure espropriative sulla condivisa premessa che la cd. acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis del medesimo T.U. Espr. ha natura di procedimento espropriativo semplificato di carattere eccezionale, volto a ripristinare la legalità amministrativa con effetto non retroattivo, il cui scopo non è quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione, bensì quello, autonomo, di soddisfare attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione delle opere già realizzate sine titulo (Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2019, n. 3517). Siffatta soluzione, si impone anche per esigenze di tenuta costituzionale del sistema, non essendo in alcun modo giustificabile che una voce indennitaria prevista in termini autonomi e cumulativi rispetto all’indennità di esproprio – e ciò in ragione dell’autonomia dei presupposti che ne impongono il riconoscimento – possa essere esclusa nel caso dell’acquisizione sanante che, perseguendo la ricordata finalità di ricondurre nei binari della legalità una procedura che abbia deviato dagli stessi, non può certamente condurre a risultati più vantaggiosi per la p.a. e pregiudizievoli per i soggetti coinvolti.

2. Con il secondo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40 e art. 2697 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rilevando: a) che, a seguito della contestazione “a monte” sviluppata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., circa l’effettiva presenza sul posto dell’interessato, il quale sin dal 1974 aveva rilasciato procura generale al fratello, trovandosi in Australia, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’indennità richiesta; b) che il consulente tecnico d’ufficio, al quale era stato posto uno specifico quesito sul punto, aveva rilevato che l’unico documento rilevante prodotto era l’estratto contro previdenziale Inps, che, tuttavia, non sarebbe stato sufficiente, di per sè, in assenza di altri elementi probatori, che non erano stati forniti dall’interessato. La doglianza è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Nel caso di specie, non viene in rilievo alcun omesso esame del fatto rappresentato dai presupposti per il riconoscimento dell’indennità, dal momento che la Corte territoriale ha esplicitamente esaminato la questione della qualifica di parte attrice, rilevando che il C. era “iscritto negli elenchi nominativi del Comune di Terme Vigliatore quale coltivatore diretto (iscrizione che copre il periodo 1982- 31.1.1996) nonchè negli Elenchi nominativi INPS dei coltivatori diretti (iscrizione che copre il periodo 9.8.1982-8.8.1995) ed aveva versato regolarmente i contributi previdenziali (dal 1.1.1973-29.9.2001) e che esisteva quella relazione diretta e coerente tra i contributi versati e la quantità di lavoro resa dal coltivatore e la sua famiglia in relazione alle dimensioni ed alle caratteristiche del terreno per il quale si invoca la indennità aggiuntiva”.

Indipendentemente dai convincimenti del consulente tecnico d’ufficio, siffatto percorso argomentativo non può essere ritenuto meramente apparente.

Nè emerge alcun omesso esame di fatti decisivi.

La sentenza impugnata è stata depositata il 6 maggio 2015.

Pertanto, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di Conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introdue nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2021

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