Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7974 del 20/04/2016
Civile Sent. Sez. 1 Num. 7974 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: DIDONE ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 20135 2010 proposto da:
–
DINACCI PREZIOSI DI DINACCI
045326706732), in
persona del
C.F.
MARIO S.A.S.
legale rappresentante
pro tempore, nonché DINACCI MARIO in proprio,
elettivamente domiciliati
in
ROMA, VIA FUSCO
presso l’avvocato FEDERICO ANTIGNANI,
2016
659
104,
Data pubblicazione: 20/04/2016
rappresentati e
difesi dagli avvocati LUIGI CARRANO, CORRADO
SIMEONE,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
STELLA S.P.A., in persona
del legale rappresentante
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pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DELLA MENDOLA 188, presso il dott. FABRIZIO CERRI,
rappresentata e difesa dagli avvocati VALERIA
FORMICOLA, GIANCARLO RAGO, giusta procura a margine
del controricorso;
contro
DELLA DINACCI PREZIOSI DI MARIO DINACCI
FALLIMENTO
S.A.S. E DI DINACCI MARIO IN PROPRIO;
–
intimato
–
avverso la sentenza n. 104/2010 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 21/06/2010;
udita la relazione della causa svolta
udienza del
25/03/2016
dal
nella pubblica
Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito, per
i
ricorrenti, l’Avvocato SIMEONE NICOLA,
con delega avv. CARRANO, che si riporta;
in persona del
Sostituto Procuratore
udito il
P.M.,
Generale
Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
– controricorrenta –
l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.
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Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1.- La s.a.s. “Dinacci Preziosi di Dinacci Mario” ha
proposto ricorso per cassazione – affidato a due motivi contro la sentenza della Corte di appello di Napoli (del
21.6.2010) con la quale è stato rigettato il suo reclamo
contro la sentenza del tribunale che ne aveva dichiarato il
fallimento.
Resiste con controricorso la s.p.a. “Stella”, creditrice
istante.
2.-
Le questioni risolte dalla Corte di appello e
riproposte con i motivi di ricorso sono due e sono
sintetizzate nei quesiti formulati dalla ricorrente ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – non applicabile
ratione temporis – qui di seguito trascritti solo per
ragioni di sintesi:
a) se sia “da considerarsi ritualmente notificato un
ricorso di fallimento a mezzo fax su una utenza non
intestata al destinatario con l’invio di una sola copia e
senza che la parte che abbia inviato il fax abbia
dichiarato nella relata a chi era indirizzato (società o
socio accomandatario in proprio) nell’ipotesi in cui il
Tribunale abbia disposto ai sensi dell’art. 15 1. fall. di
omettere ogni formalità necessaria. Quanto stabilito dal
Tribunale fallimentare e dalla Corte di appello di Napoli
in relazione alla notifica del ricorso di fallimento non
rappresenta una interpretazione eccessivamente estensiva ed
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illegittima dell’art. 15 1. fall.
coma V determinando di
fatto una violazione del principio del contraddittorio e
del diritto di difesa del resistente”;
b) se “è legittimo un provvedimento di abbreviazione dei
termini che in una procedura fallimentare autorizzi la
esonerare il debitore
dagli adempimenti previsti
notifica del ricorso almeno 24 ore prima dell’udienza senza
dalla
normativa vigente quali il deposito dei libri contabili
degli ultimi tre anni ed una relazione aggiornata sullo
stato patrimoniale economico e finanziario relativo a due
mesi prima della data fissata di comparizione”.
3.- Le censure – là dove non sono inammissibili – sono
infondate.
Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento,
l’avvenuta procedimentalizzazione del giudizio e delle
attività di trattazione ed istruttoria, a seguito della
riforma di cui al d.lgs. n. 5 del 2006 e del d.lgs. n. 169
del 2007, implica che la notificazione al debitore del
ricorso e del decreto di convocazione all’udienza (come
previsto dalla nuova formulazione dell’art. 15, terzo
coma, legge fall.) sia la regola anche quando il debitore
si sia sottratto volontariamente o per colpevole negligenza
al procedimento, rendendosi irreperibile; il quinto comma
dell’articolo citato permette tuttavia, con una previsione
analoga a quella di cui all’art. 151 cod. proc. civ., che
il presidente del tribunale, in sede di abbreviazione dei
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termini per la notifica e per le memorie, passa disporre
che il ricorso ed il decreto predetti, se ricorrono
particolari ragioni di urgenza, siano portati a conoscenza
delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità
non indispensabile alla conoscibilità degli stessi (Sez. 1,
Sentenza n. 22151 del 29/10/2010, che ha ritenuto valida la
comunicazione al debitore del decreto di convocazione
avvenuta, come ordinato con specifico provvedimento del
presidente del tribunale, per il tramite di un ufficiale di
polizia giudiziaria, e non nelle forme della notifica di
cui agli artt. 136 e s. cod, proc. civ.).
In particolare, si è ritenuto che la notifica del ricorso
(per cessazione), e dell’avviso di fissazione della
relativa udienza di trattazione, mediante utilizzo del
“fax”,
previa autorizzazione in tal senso da parte del
presidente, trova giustificazione nella previsione
dell’art. 151 cod. prec. civ., che consente di autorizzare
la notifica in un “modo diverso da quello stabilito dalla
legge” quando sussistano esigenze di particolare celerità
(nella specie, da ravvisarsi nella necessità di decidere il
ricorso entro un termine, ristretto), là dove l’idoneità
dello strumento del “fax” a costituire, in via di
principio, un’adeguata forma di comunicazione di atti
difensivi, in considerazione dei progressi compiuti dalla
tecnica di trasmissione e delle garanzie inerenti, è
desumibile dall’opzione effettuata dallo stesso legislatore
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nell’introdurre
una siffatta
previsione
sia pure in
riferimento a fattispecie specifiche di comunicazione (in
argomento cfr. Sez. U, Sentenza n. 9151 del 08/04/2008, in
relazione al ricorso per cassazione). Nella concreta
fattispecie era incombente la scadenza del termine di cui
La ricorrente deduce che il numero del fax utilizzato non
era intestato alla società debitrice.
Ma la Corte di appello ha correttamente ritenuto provata (e
non contestata)
la circostanza che il numero di fax al
quale la notifica era stata eseguita – utenza intestata
alla s.r.l. “Dinacci” – era stata utilizzata dalla s.a.s.
“Dinacci” per richiedere una fornitura proprio alla società
creditrice istante e con grafia “identica” a quella dei
precedenti ordini trasmessi da utenza telefonica intestata
alla s.a.s. “Dinacci”, senza che fosse stato dedotto che
anche la s.r.l. avesse rapporti commerciali con la s.p.a.
“Stella”. Ciò, alla luce anche della irreperibilità della
società debitrice e del suo socio accomandatario, rendeva
rituale la notifica.
Quanto alla deduzione che la copia inviata era soltanto
una,
si tratta di deduzione nuova che non risulta – dalla
sentenza impugnata – sollevata in sede di reclamo e la
ricorrente non indica i modi e il luogo di deduzione della
relativa questione in sede di merito. Sì che in questa
parte la censura è inammissibile.
‘,r
all’art. 10 1. fall.
La censura sub b) è inammissibile.
Infatti, è inammissibile, oltre che per difetto di
interesse anche per non rispondenza al modello legale di
impugnazione, il reclamo avverso la sentenza dichiarativa
del fallimento proposto ai sensi dell’art. 18 1.fall.
(nella formulazione derivante dalle modifiche apportate dal
d.lgs. n. 169 del 2007) laddove lo stesso sia fondato
esclusivamente su
vizi di rito (nella
specie,
l’inosservanza del termine dilatorio di comparizione di cui
all’art. 15, comma 3, 1. fall.), senza la contestuale e
rituale deduzione delle eventuali questioni di merito, ed i
vizi denunciati non rientrino tra quelli che comportino una
rimessione al primo giudice, tassativamente indicati dagli
artt. 353 e 354 c.p.c. (Sez. 1, Sentenza n. 2302 del
05/02/2016, Rv. 638407).
A
tale insegnamento si è attenuta la Corte di appello
evidenziando che la reclamante non aveva neppure indicato
“quali sarebbero state le difese che avrebbe potuto
approntare e che gli sono state impedite dalla ristrettezza
dei tempi concessi, quali sarebbero stati i documenti e le
prove che avrebbe voluto portare a propria difesa senza
riuscirvi”. E ciò era sufficiente per ritenere
inammissibile la censura proposta con il reclamo.
Contro tale affermazione non risulta proposta specifica
impugnazione e la deduzione della ristrettezza dei tempi
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per produrre i libri contabili – in quanto svolta per la
prima volta in sede di legittimità – è inammissibile.
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
v
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in
dispositivo – seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre spese forfettarie e accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 marzo
2016
P.Q.M.