Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7973 del 21/04/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 21/04/2020), n.7973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4921/2015 proposto da:

A.R.S.T. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI 100, presso

lo studio dell’avvocato PAOLA FIECCHI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE MACCIOTTA;

– ricorrente –

contro

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso la signora ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso

dagli avvocati ROSANNA PATTA, ENRICO VASSENA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 308/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 01/12/2014 R.G.N. 306/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento del ricorso proposto da C.O. ha dichiarato il diritto del ricorrente al riconoscimento della qualifica di capostazione 4 livello dal 10 agosto 1992 agli effetti giuridici ed economici ed ha condannato la A.R.S.T. – Gestione FDS s.r.l. al pagamento delle differenze retributive maturate e non erogate, ivi compreso il T.F.R., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali nei limiti del dovuto, ed al versamento dei contributi previdenziali spettanti in relazione alla superiore qualifica riconosciuta.

2. La Corte di merito ha ritenuto che l’accordo sindacale del 14 novembre 1997 ed i verbali di conciliazione, successivamente sottoscritti da alcuni dipendenti, non potevano spiegare effetti nei confronti del C. inserito quale vincitore nella graduatoria per il conseguimento della qualifica di capostazione – il quale non era tenuto, perciò, a sottoscrivere una conciliazione con la quale gli idonei non vincitori del concorso per l’inquadramento nella qualifica superiore, per definire il contenzioso davanti al T.A.R., rinunciavano a sei anni di anzianità nell’inquadramento. Inoltre ha sottolineato che il C. non aveva conferito alcun mandato all’organizzazione sindacale. Pertanto, esclusa l’efficacia erga omnes dell’accordo del 14 novembre 1997 non assimilabile ad un contratto collettivo aziendale, ha rammentato che nelle conciliazioni i sindacati assumono la veste di garanti esterni della parità di posizione delle parti e non sono legittimati a disporre dei diritti dei singoli iscritti in assenza di uno specifico mandato. Ha rilevato che per rimuovere la graduatoria sarebbe stato necessario un intervento dell’amministrazione in via di autotutela e che la durata biennale della stessa riguardava la posizione degli idonei non vincitori e non anche quella di chi era inserito in posizione utile per conseguire la promozione sin dalla sua approvazione. Ha escluso che le modifiche apportate dal c.c.n.l. del 27 novembre 2000 trovassero applicazione al lavoratore che era cessato dal servizio sin dal 1 luglio 1998. Infine ha ritenuto che tardivamente, solo in appello, la datrice di lavoro aveva sollevato la questione della indispensabilità per il conseguimento della qualifica dell’abilitazione al banco ACEI di cui nessuna menzione era stata fatta nel ricorso e tanto meno nella nota di risposta alla diffida inoltrata dal C. nel 2005. Ha evidenziato che, comunque, era stato provato che l’abilitazione non costituiva requisito per l’inquadramento sia perchè non menzionata nel bando di selezione sia perchè nel verbale di conciliazione era considerato requisito per l’espletamento in concreto delle mansioni e non per il chiesto inquadramento nel IV livello.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la A.R.S.T. s.p.a. già A.R.S.T. – Gestione FDS s.r.l., con un unico articolato motivo al quale ha opposto difese con controricorso C.O..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il ricorso la società deduce che la Corte di merito, nell’interpretare l’accordo stipulato il 14 novembre 1997, sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale contenute negli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Osserva in particolare la ricorrente che l’accordo è a tutti gli effetti un contratto collettivo aziendale, poichè è stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalla società e contiene una disciplina uniforme degli interessi dei lavoratori con riguardo alla definizione del contenzioso in essere nel compartimento di Sassari. L’interpretazione offerta dalla Corte territoriale, limitativa degli effetti dell’accordo ai soli lavoratori parti delle controversie, sarebbe perciò in contrasto con una interpretazione di buona fede ai sensi dell’art. 1366 c.c., oltre che complessiva delle sue clausole, ex art. 1363 c.c., atteso che non tiene conto della complessiva riorganizzazione del settore, della previsione di abilitazioni e professionalizzazione del personale in relazione alle nuove tecnologie introdotte oltre che tenuto conto della imprevedibile durata dei giudizi ed alla necessità di provvedere in tempi ristretti.

4.2. Ritiene che pertanto una volta accertata la natura dell’accordo ne diviene pacifica l’applicazione erga omnes e, comunque, non rileverebbe il carattere peggiorativo rispetto alla posizione del lavoratore ancora a livello di mera aspettativa.

5. Il ricorso non può essere accolto.

5.1. La lettura data dalla Corte di appello all’accordo non incorre nelle censure che vengono formulate ed anzi è conforme alle regole dell’interpretazione di cui non viola le regole dettate dalle disposizioni denunciate.

5.2. La Corte ha rammentato che l’accordo era stato sottoscritto “per definire il contenzioso in essere riguardante il personale della dirigenza movimento del compartimento di Sassari”. Ha individuato le “fasi necessarie al raggiungimento della risoluzione del contenzioso giudiziario in essere e della nuova configurazione organizzativa” e, con valutazione di merito a lei riservata, ha posto in rilievo che la circostanza che nel compartimento di Sassari il possesso dell’abilitazione al banco ACEI fosse previsto nell’accordo come “requisito obbligatorio ed indispensabile per l’espletamento delle mansioni di Capo Stazione (liv. 4)” non poteva precludere il diritto del ricorrente al conseguimento della qualifica, in mancanza di prova che un tale requisito fosse previsto nel bando di concorso all’esito del quale il C. era risultato utilmente collocato nella graduatoria. Ha sottolineato inoltre che non era emersa in giudizio la revoca della graduatoria conclusiva del concorso ed ha conseguentemente ritenuto che in tale complessiva situazione di fatto il mancato possesso di quel requisito non poteva essere di ostacolo al conseguimento della qualifica da parte di quei soggetti che erano risultati vincitori di quella selezione.

5.3. Tanto premesso ritiene il Collegio che seppure sia possibile dare dell’accordo una interpretazione differente rispetto a quella adottata dalla Corte territoriale, tuttavia, si tratta di una interpretazione dell’accordo che non incorre nella denunciata violazione dei criteri di interpretazione. Va qui ribadito che a fronte della chiarezza del testo dell’accordo ed in mancanza di indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti i canoni di interpretazione letterale e della comune intenzione delle parti utilizzati sono idonei ad offrire una lettura adeguata dell’accordo (cfr. Cass. 28/06/2017 n. 16181, v. anche Cass. n. 24560 e 23701 del 2016 e n. 10232 del 2009).

6. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo vanno poste a carico della società soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

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