Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7973 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 21/03/2019), n.7973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. D�AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI NOCERA PUTATURO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9207/2016 R.G. proposto da:

CHIQUITA EUROPE BV, quale incorporante di Chiquita Italia S.p.A., in

persona del suo legale rappresentante, maneger director,

A.J.B.. elettivamente domiciliata in Roma, Via Marianna Dionigi n.

29, presso lo Studio dell’Avv. Marina Milli, che la rappresenta e

difende, anche disgiuntamente con l’Avv. Sara Armella, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Valle d’Aosta n. 11/1/2015, depositata l’11 maggio 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 febbraio 2019

dal Cons. Ernestino Luigi Bruschetta;

udito l’Avv. Sara Armella, per la ricorrente;

udito l’Avv. dello Stato Pasquale Pucciariello, per la

controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’impugnata sentenza, la Regionale della Valle d’Aosta confermava la prima decisione che aveva respinto il ricorso promosso da CHIQUITA ITALIA S.P.A., quale debitore in solido, avverso l’avviso con il quale l’Agenzia delle Dogane recuperava maggiori dazi e IVA relativi a importazione di banane negli anni 1998, 1999 e 2000.

2. L’ufficio riteneva la contribuente responsabile in solido perchè, a seguito di indagini OLAF, veniva accertato che il certificato AGRIM in possesso della SO.CO.BA. S.R.L. era falso, che il dazio preferenziale all’importazione delle banane non era quindi dovuto, che la SO.CO.BA. S.R.L. era partecipata dai familiari di C.F., legale rappresentante della CHIQHITA ITALIA S.R.L. alla quale le banane importate in frode venivano poi vendute.

3. La Regionale, per quanto rimasto d’interesse, dopo aver respinta l’eccezione di decadenza dell’ufficio dall’azione di revisione, in ragione del fatto che il termine triennale stabilito dal D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, era stato interrotto da un processo penale “relativo all’uso dei falsi certificati AGRIM”, riteneva dimostrata, anche con riferimento alle prove raccolte dal giudice penale, la partecipazione della contribuente alla frode daziaria, con esclusione quindi dell’esimente della buona fede previsto dall’art. 220 reg. ce 12 ottobre 1992, n. 2913, con la conseguente assunzione della solidale responsabilità tributaria; la Regionale, infine, respingeva domanda di sgravio dei tributi ex novo introdotta in appello, sgravio autorizzato dalla Commissione Europea, che aveva con ciò preso atto della difficoltà dei contribuenti a percepire la falsità dei certificati AGRIM; secondo la Regionale, difatti, lo sgravio poteva essere riconosciuto solo in assenza di partecipazione alla frode.

4. CHIQUITA EUROPE BV, quale incorporante di Chiquita Italia S.p.A., ricorreva per la cassazione della sentenza per sei motivi, anche illustrati da memoria; mentre l’ufficio resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione dell’art. 221 reg. ce n. 2913 cit., nonchè del D.Lgs. n. 374 cit., art. 11, la contribuente rimproverava alla Regionale di essere incorsa in errore, laddove aveva respinto l’eccezione di decadenza dell’ufficio dalla azione di revisione; la contribuente, tra l’altro, osservava che il procedimento penale “non poteva valere quale evento interruttivo idoneo”.

1.1. Il motivo è fondato, atteso che la Regionale, limitandosi a dare atto dell’instaurazione del procedimento penale, ha omesso di considerare che il processo penale, se iniziato oltre il triennio, non interrompe di per sè i termini di decadenza dall’azione di prescrizione, perchè ciò che dà luogo all’interruzione è la circostanza che prima dello spirare dei termini di decadenza sia intervenuta una notitia criminis che sia “tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta” (Cass. sez. VI n. 24674 del 2015; Cass. sez. trib. n. 20468); una notitia criminis che, è utile rammentare, può anche consistere nella stessa relazione OLAF trasmessa all’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria (Cass. sez. trib. n. 615 del 2018).

2. Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione dell’art. 239 reg. ce n. 2913 cit., la contribuente addebitava alla Regionale, che non aveva accolto la nuova domanda di sgravio, di essere incorsa in errore, essendo invece tutte presenti le condizioni previste dall’art. 239 cit., in particolare quella della “mancanza di negligenza manifesta e frode da parte dell’interessato”, invocando anche il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’unione Europea.

2.1. Il motivo è inammissibile, perchè quello che viene censurato è in realtà l’accertamento in fatto compiuto dalla Regionale che, come evidenziato in narrativa, ha invece diversamente stabilito che la contribuente aveva partecipato alla frode daziaria, con la conseguenza che la censura in diritto all’esame deve essere riguardata come inidonea, atteso che quella corretta che si sarebbe dovuto proporre era invece quella ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il terzo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, denunciando la violazione dell’art. 220 reg. ce n. 2913 cit., la contribuente rimproverava alla Regionale di non aver annullato l’avviso, in ragione della sua buona fede, atteso che l’errore commesso dalle Dogane, che non avevano immediatamente riscontrato la falsità del certificato AGRIM, non poteva essere ragionevolmente scoperto.

3.1. Con il quarto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunciando la violazione dell’art. 132 c.p.c., la contribuente addebitava alla Regionale una inesistente motivazione circa l’affermazione di sua “corresponsabilità” nella frode daziaria.

3.2. Con il quinto motivo di ricorso, questa volta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione del reg. ce n. 2913 cit., artt. 201 e 202, la contribuente contestava alla Regionale di averla ritenuta tra gli obbligati in solido, in quanto “partecipante fattivamente alla realizzazione dei meccanismi elusivi”, nonostante la totale assenza di indizi a suo carico; tra l’altro, in coda, sostenendo che, comunque, in quanto incorporante, doveva essere ritenuta completamente estranea.

3.3. Con il sesto, nonchè ultimo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione di regolamenti Europei, la contribuente, nella sostanza, si limitava a contestare l’affermazione della Regionale, circa il vantaggio che le sarebbe derivato “dall’utilizzo improprio di strumenti giuridici legali”, deducendo, al contrario, la correttezza del proprio comportamento negoziale.

3.4. I motivi, che ricevendo pressochè identica soluzione, possono essere cumulativamente esaminati, sono tutti inammissibili; la censura di violazione dell’art. 132 c.p.c., perchè all’evidenza illegittimamente rivolta, a mezzo del denunciato vizio di inesistenza della motivazione della sentenza, a superare i limiti alla censura motivazionale ora imposti dal nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo invece la Regionale ben spiegato l’accertamento della partecipatio fraudis anche con riferimento alle prove raccolte nel processo penale, specificatamente mettendo in rilievo l’esito delle intercettazioni, che avevano evidenziato il ruolo centrale del legale rappresentante della CHIQUITA ITALIA S.P.A.; poichè, ovviamente, qui può essere in discussione soltanto la partecipazione alla frode della CHIQUITA ITALIA S.P.A., rimane completamente irrilevante l’eventuale mancanza di consapevolezza della sua incorporante, la quale è in giudizio semplicemente perchè ha assunto i debiti della prima, tra questi anche quelli tributari; per il resto, i motivi sono inammissibili perchè, come in precedenza, invece che denunciare violazioni di legge, con gli stessi la contribuente ha contestato l’accertamento in fatto cui è pervenuta la Regionale che, stabilendo la partecipatio fraudis della contribuente, ha da questo fatto discendere l’esclusione della esimente della buona fede, oltrechè la solidale responsabilità tributaria, ciò che avrebbe pertanto imposto la diversa censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri; cassa l’impugnata sentenza, rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Valle d’Aosta, in altra composizione, dovrà uniformarsi ai superiori principi, nonchè regolare le spese di ogni fase e grado; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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