Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7967 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 7967 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

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4- 1 0. 2.(.0

sul ricorso n. 29462\2010 proposto da
BINCOLETTO Mauro (CF BNCMRA73530Z133F), rapp.to e difeso per
procura a margine del ricorso dall’avv. Maria Gloria Di
Loreto, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma,
via della Balduina n. 289
– ricorrente contro
UNIVERSITA’

DEGLI STUDI DI TRIESTE (CF 80013890324), in

persona del rettore p.t., rapp.ta e difesa dall’Avvocatura
generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in
Roma, via dei Portoghesi n. 12
– controricorrente 1

Data pubblicazione: 20/04/2016

avverso

la sentenza n. 322/2010 della Corte d’appello di Trieste,
depositata il 19 agosto 2010.
Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del giorno 8 marzo 2016 dal relatore dr. Antonio
Pietro Lamorgese;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato MARIA GLORIA DI LORETO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale
dott. Luisa De Renzis, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 14.5.2007 il tribunale di Trieste rigettava
la domanda con la quale Bincoletto Mauro aveva chiesto la
condanna dell’Università degli Studi di Trieste alla
restituzione delle somme da lui versate a titolo di tassa di
iscrizione per tre anni accademici ed il risarcimento dei
danni, patrimoniali e non.
La

domanda

dall’attore

introdotta

era

fondata

sull’impossibilità di frequentare i locali universitari,
essendo egli affetto da asma bronchiale cronica ed allergica,
patologia che gli impediva di entrare in contatto con
ambienti nei quali aveva spesso riscontrato una considerevole
presenza di fumo, a causa della prassi degli studenti

di fare

diffusamente uso del tabacco, ignorando i divieti vigenti.
Tale circostanza, inutilmente segnalata all’Ateneo, aveva
costretto il ricorrente prima a rinunciare a frequentare le
2

lezioni universitarie e, successivamente, ad interrompere il
proprio corso di studi.
La sentenza di rigetto del tribunale, motivata in ragione del
mancato raggiungimento della prova che, nel periodo indicato,
all’interno dei locali il livello di inquinamento fosse

veniva confermata dalla Corte territoriale con sentenza del
14 aprile 2010.
Quest’ultima, in particolare, rilevava non solo la mancanza
di un idoneo riscontro probatorio in ordine alla effettiva
consistenza e diffusione del lamentato fenomeno, ma anche
l’assenza di dimostrazione del nesso di causalità tra
l’inquinamento ambientale e l’asserita impossibilità di
frequentare le lezioni e di partecipare alle normali attività
didattiche.
Avverso tale sentenza Bincoletto Mauro ha proposto ricorso
per cassazione affidato

a

tre motivi. L’Università degli

Studi di Trieste ha depositato controricorso. Il ricorrente
ha poi depositato una memoria difensiva ai sensi dell’art.
378 c.p.c.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente si duole dell’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5
c.p.c.), sostenendo che, mentre dalle risultanze probatorie
emerse nel corso del giudizio di primo grado era
inconfutabilmente emerso che le patologie di cui era
3

realmente incompatibile con lo stato di salute dell’attore,

portatore erano causalmente collegate alla insalubrità degli

ambienti universitari e che il fumo, presente all’interno dei
locali, costituiva un ostacolo insormontabile alla
frequentazione degli stessi, viceversa
sentenza impugnata non sarebbe possibile

dall’esame della
comprendere se tali

esame. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe
tenuto conto delle riproduzioni fotografiche dello stato dei
luoghi, delle formali contestazioni opposte dal ricorrente
all’Ateneo, delle dichiarazioni rese dai quattro testimoni
escussi, della documentazione medica inerente lo stato di

salute, dei risultati dell’espletata c.t.u. (che avevano
confermato il peggioramento dello stato di salute del
ricorrente nel periodo indicato).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3
c.p.c., censurando specialmente il passaggio argomentativo
utilizzato dalla Corte territoriale per spiegare che intanto
la prospettazione introdotta dall’attore sarebbe stata
fondata se solo fosse stata dedotta non già l’impossibilità
di una generica fruizione dei locali,

quanto piuttosto

l’impossibilità di perseguire concretamente l’obiettivo,
insito nell’iscrizione ad una facoltà, del superamento degli
esami e dell’ottenimento della laurea, finalità che nel caso
in esame non risultavano affatto compromesse dalla presenza
del fattore lamentato dall’appellante (non avendo
quest’ultimo dimostrato l’inagibilità delle aule di lezione e
4

elementi siano stati oggetto di un reale ed approfondito

della biblioteca, cioè di quei luoghi nei quali comunemente
si svolgono le attività didattiche che l’amministrazione è
tenuta a garantire). Seconde il ricorrente tale ricostruzione
sarebbe del tutto errata, giacché finirebbe per condizionare
la tutela della salute al rendimento universitario, imponendo

raggiungimento dell’obiettivo.
Del resto, tra i servizi che l’Amministrazione è tenuta a
garantire vi sarebbe l’agibilità non delle sole aule e della
biblioteca, ma anche di tutti gli altri luoghi comunemente
frequentati dagli studenti (corridoi, servizi igienici ecc.).
Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5
c.p.c.), non avendo la Corte territoriale soffermato la
propria attenzione sui risultati della c.t.u., semplicemente
dichiarando l’irrilevanza di ogni questione afferente il
contenuto dell’elaborato peritale e trascurando la domanda di
rinnovazione avanzata dall’appellante.
I

motivi,

che

in

quanto

connessi

possono

essere

congiuntamente esaminati, sono tutti infondati.
Va, in primo luogo, evidenziato che nella memoria ex art. 378
c.p.c. il ricorrente ha, tra l’altro, particolarmente
insistito su un profilo sostanzialmente estraneo al thema
decidendum prospettato con il ricorso introduttivo, laddove
il riferimento all’inerzia dell’amministrazione, in relazione
al dovere di attivarsi al fine di far rispettare il divieto
5

al danneggiato di frequentare l’ateneo esclusivamente per il

di fumo (imposto all’epoca dei fatti dalla legge n. 584 del
1975), viene assunto quale concausa dei danni alla salute
lamentati dal ricorrente.
Trattasi, infatti, di una prospettazione che, facendo leva
sull’illiceità della condotta tenuta dall’amministrazione e

riportare la lesione lamentata su un piano prettamente
aquiliano, affatto differente dall’ambito più propriamente
contrattuale al quale apparteneva l’originaria ‘causa
petendi’.
Non va trascurata la circostanza che la domanda fin
dall’inizio introdotta dall’attore è volta ad ottenere, oltre
alla restituzione degli importi versati a titolo di tasse
universitarie per tre anni accademici, anche il risarcimento
dei danni conseguenti all’impossibilità di frequentare il
corso di studi universitar.L, venendo in rilievo, quindi, un
danno che, se pure apprezzabile anche sotLo il profilo delle
conseguenze di tipo non patrimoniale, appare ben diverso dal
danno alla salute inteso quale conseguenza della condotta
omissiva ascritta all’Ateneo. Sicché il danno di cui l’attore
chiede il ristoro è costituito, secondo l’originaria
prospettazione, semplicemente dall’impossibilità di fruire di
una prestazione (dovuta dall’Ateneo in conseguenza
dell’iscrizione ai corsi universitari) per fatto
asseritamente imputabile al debitore e dunque un danno di
natura essenzialmente contrattuale (anche se, in parte,
lamentato per alcune conseguenze di tipo non patrimoniale).
6

sull’ingiustizia del danno subito dall’istante, tende a

Ciò pesto, va ulteriormente evidenziato che la Corte
territoriale ha correttamente incentrato il proprio percorso
argomentativo sulla riscontrata assenza del nesso di
causalità materiale tra la condotta omissiva dell’Ateneo
(ravvisabile nel mancato svolgimento delle attività di

locali) e l’impossibilità, dedotta dal ricorrente, di
frequentare i locali e partecipare alle attività didattiche e
di studio, evidenziando che “l’attore non ha minimamente
fornito la prova che la pretesa inagibilità dei locali abbia
interessato le aule di lezione, la Biblioteca Generale e
quelle di Dipartimento e di Istituto, quei luoghi cioè nei
quali appunto si svolgono le attività didattiche, di ricerca
e di studio che l’Amministrazione universitaria è tenuta a
garantire”.
Tale fondamentale rilievo, che riveste un ruolo decisivo
rispetto alle ulteriori argomentazioni svolte dalla Corte
(circa il “risultato” finale che la prestazione dell’Ateneo
mirerebbe a realizzare, cioè la possibilità di svolgere gli
esami e di conseguire la laurea), non appare in alcun modo
superato dalle argomentazioni svolte sul punto dal
ricorrente.
Secondo la tesi sostenuta da quest’ultimo, infatti, aver
ritenuto, da parte della Corte territoriale, non compromesso
l’obiettivo primario cui la formazione universitaria
preordinata, equivarrebbe a porre un limite inaccettabile
alla tutela del diritto alla salute, che finirebbe per essere
7

controllo riguardo al rispetto del divieto di fumo nei

subordinata ad una determinata condizione,

ossia al

rendimento universitario.
In realtà, esaminando le argomentazioni complessivamente
svolte dalla Corte di Appello, emerge chiaramente come
quest’ultima non abbia affatto inteso proclamare la tutela
del diritto alla salute solo per il caso di mancata

realizzazione di un risultato finale (cioè solo se il fatto
lamentato abbia impedito al ricorrente di sostenere gli esami
e di raggiungere la laurea), ma ha semplicemente rimarcato il
difetto di prova che l’inquinamento ambientale abbia in
effetti riguardato i locali nei quali si svolgono “le
attività

didattiche,

di

ricerca

e

di

studio”

che

l’amministrazione è tenuta a garantire.
La circostanza, ulteriormente evidenziata dal ricorrente,
– seconda cui il rilievo non sarebbe sufficiente, dovendo la
vigilanza essere estesa anche ad altri spazi la cui
frequentazione si prospetta comunque necessaria secondo una
logica di normalità (corridoi, servizi igienici ecc.), da un
lato, mira chiaramente ad ottenere una rivalutazione del
fatto preclusa in questa sede e, dall’altro, resta assorbita
e superata dalla considerazione, prioritariamente svolta
dalla Corte territoriale, secondo la quale la pretesa attorea
venne correttamente disattesa dal Giudicante di prime cure,
difettando in modo evidente un idoneo riscontro probatorio

in ordine alla reale consistenza e diffusione del lamentato
fenomeno di inquinamento ambientale.

8

q

Quanto alla doglianza riguardante l’omessa valutazione delle
prove da parte della Corte di Appello, va premesso che, nel
giudizio di cassazione, per potersi configurare il vizio di
motivazione su un asserito punto decisivo della controversia
(nel regime precedente alla modifica introdotta dall’art. 54

n. 134), è necessario un rapporto di causalità fra la
circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica
data alla controversia, tale da far ritenere che quella
circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad
una diversa soluzione della vertenza (cfr. da ultimo Cass. n.
5402 del 2014). Il ricorrente ha del tutto trascurato di
riprodurre fedelmente il contenuto delle prove a suo dire
decisive ai fini della composizione della controversia, e
tale omissione assume un particolare rilievo con riferimento
allo specifico contenuto delle deposizioni

che,

rese dai testi

secondo il ricorrente, avrebbero confermato la presenza

di fumo all’interno della facoltà. Il contenuto di tali
deposizioni, invero, non è stato affatto trascurato dalla
Corte territoriale, la quale anzi ha avuto cura di precisare
che “dalle deposizioni testimoniali introdotte dal Bincoletto
si ricava la mera indicazone che in talune aree interne
della facoltà di giurisprudenza vi era una frequente
violazione dei divieti di fumo colà vigenti, ma nulla può
trarsi in merito all’effettivo spessore e concreta nocività
della situazione ambientale da ciò der3vata”.

9

del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012,

Conseguentemente, avendo la Corte territoriale puntualmente
preso in considerazione il materiale probatorio raccolto nel
corso del giudizio di prime cure, trova applicazione il
principio secondo cui “la valutazione degli elementi
probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice

profilo della congruità della motivazione del relativo
apprezzamento” (cfr.

ex plurimis Cass. n. 1414 del 2015).

Sul punto, dunque, l’accertamento compiuto dalla Corte di
Trieste circa la ritenuta insufficienza dei risultati della
prova per testi a sostenere la pretesa azionata, è affidato
ad una motivazione corretta e congrua, priva di errori logici
e

giuridici.

L’omessa

valutazione

delle

riproduzioni

fotografiche (ulteriormente lamentata dal ricorrente) resta
irrilevante, almeno nei limiti in cui la doglianza è stata
formulata (nulla essendo stato dedotto con riferimento alla
reale idoneità delle prove fotografiche a sovvertire il
quadro probatorio sul quale la Corte ha

formato il proprio

convincimento), come pure irrilevante deve considerarsi
l’omesso esame delle contestazioni indirizzate al Rettore e
della documentazione medica inerente lo

stato di salute (il

cui contenute non è stato nemmeno riprodotto dal ricorrente).
Quanto, infine,

alla

invocata rinnovazione della c.t.u.

medico-legale, ritenuta dal ricorrente inadeguata perché
carente sul piano tecnico-scientifico, la contraria decisione
della

Corte

triestina

coerente

è

con

il

percorso

argomentativo da essa seguito che, reputando indimostrato il
IO

di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il

nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno, ha
considerato del tutto superflua l’ammissione di un mezzo
istruttorio diretto a verificare la concreta estensione del
pregiudizio lamentato.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del ricorso per

dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla
spese di giudizio, in favore dell’Università degli Studi di
Trieste, liquidate in E 3000,00 per compensi, oltre s.p.a.d.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’S marzo
2016.

cassazione seguono la soccombenza e vengono liquidate in

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