Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7965 del 28/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 28/03/2017, (ud. 26/10/2016, dep.28/03/2017),  n. 7965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19272-2014 proposto da:

T.R., elettivamente domiciliato ROMA, VIA SANTA TERESA 2,

presso l’avvocato STEFANO TAURINI, che lo rappresenta difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO HAZAN, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TITO LIVIO

67, presso l’avvocato LEOPOLDO LOMBARDI, rappresentata e difesa

dall’avvocato DANIELA MISSAGLIA, giusta procura in calce al

controricorso;

T.L. (ora maggiorenne, prima in persona della curatrice

avv. G.S.), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli avvocati CARLA LODA, SABRINA GHEZZI, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

BRESCIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 517/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato FABRIZIO PIETROSANTI, con

delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente V., l’Avvocato DANIELA MISSAGLIA

che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con atto di citazione notificato il 7 agosto 2008, T.R. ha convenuto in giudizio la moglie V.A., con la quale aveva contratto matrimonio il (OMISSIS) e dalla quale era separato dal (OMISSIS), e ha chiesto di dichiarare di non essere padre del figlio minore T.L. nato il (OMISSIS) e rappresentato in giudizio dalla curatrice speciale avv. G.S.. Il T. ha riferito di avere scoperto il proprio stato di impotenza a generare quando, a seguito della difficoltà di avere un figlio da un’altra donna con la quale aveva intrapreso una successiva relazione, si era sottoposto ad accertamenti diagnostici che nell'(OMISSIS) avevano rivelato la sua condizione; ne aveva avuto certezza nel (OMISSIS) quando aveva ricevuto una lettera nella quale la V. lo informava che L. era nato grazie ad un imprecisato “aiuto di laboratorio”.

2.- Nel contraddittorio con i convenuti, il Tribunale di Bergamo ha rigettato la domanda.

3.- Il gravame di Raul T. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 16 aprile 2014, sulla base delle seguenti considerazioni: la domanda di disconoscimento di paternità era stata proposta dall’attore sul presupposto della sua impotenza a generare e mai nel giudizio di primo grado egli aveva introdotto, come impropriamente aveva tentato di fare in appello, nuove cause fondanti il disconoscimento, come l’adulterio l’inseminazione eterologa cui la V. si sarebbe sottoposta a sua insaputa, sicchè a ragione il primo giudice non le aveva esaminate; tanto premesso, secondo la Corte, l’impotenza dell’attore non era assoluta, come risultava dalla c.t.u. e dalla dichiarazione della moglie di avere in passato concepito un bambino con il marito mediante fecondazione omologa cui era seguito un aborto spontaneo; inoltre, l’azione era stata proposta quando era già decorso il termine di decadenza annuale previsto dall’art. 244 c.c., comma 2, non avendo l’attore provato di essere venuto a conoscenza della propria incapacità di generare non più di un anno prima della proposizione della domanda giudiziale; risultava invece che egli fosse venuto a conoscenza della sua condizione sin dal 1995, quando si era sottoposto a pratiche mediche per avere un figlio; pertanto la Corte non ha accolto l’istanza istruttoria di accertamento genetico della paternità.

4.- Avverso questa sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; si sono difesi con controricorsi T.L. e la V., quest’ultima anche con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso il T. denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2 e art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, per avere trascurato le sue deduzioni e argomentazioni relative al fatto, costituente adulterio, che il figlio era nato da una fecondazione eterologa praticata dalla moglie a sua insaputa; tale fatto era stato posto ad ulteriore fondamento della propria domanda di disconoscimento di paternità non appena ne aveva avuto conoscenza, nel primo grado di giudizio, a seguito della confessione della V. all’udienza del 30 luglio 2009.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dei medesimi parametri indicati nel precedente motivo, nonchè dell’art. 345 c.p.c.: imputa alla Corte d’appello di avere erroneamente ravvisato un mutamento di domanda per aver egli fatto valere in appello non più la scoperta della sua incapacità a generare ma la fecondazione eterologa riferita dalla V. e della quale non v’era neppure certezza, essendosi invece egli limitato a precisare la domanda iniziale, adeguandola alle prove acquisite nel corso del processo.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., art. 235 c.c., nn. 2 e 3, artt. 244 e 2697 c.c., per avere la Corte ignorato fatti decisivi che dimostrerebbero la tempestività dell’azione di disconoscimento, avendo egli avuto conoscenza della propria incapacità di generare nel periodo tra (OMISSIS) (in base ai risultati di un test diagnostico) e (OMISSIS) (quando quelle che lui considerava difficoltà superabili si erano rivelate un vero e proprio impedimento a generare).

Il quarto motivo denuncia omesso esame di un punto decisivo e controverso tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla mancata ammissione di una indispensabile e decisiva c.t.u. ematico genetica.

2.- Il primo, secondo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei termini che si esporranno; il terzo è infondato.

3.- La domanda di disconoscimento della paternità del figlio è stata proposta da T.R. in ragione della scoperta della sua totale impotenza a generare. Egli era tenuto a dare prova della sua condizione, poichè il padre che fonda l’azione di disconoscimento di paternità sull’impotenza ha l’onere di fornire la prova dell’incapacità assoluta a generare per tutto il periodo corrispondente a quello del concepimento (v. Cass. n. 4783/1984). I giudici di merito, con adeguato e incensurato apprezzamento di fatto che a questa Corte non è consentito sovvertire, hanno accertato una incapacità solo parziale a generare a causa di una “azoospermia severa”, ma non di una “assoluta azoospermia”. Ciò è sufficiente a rendere il terzo motivo infondato, rimanendo superata la questione della tempestività dell’azione rispetto al momento in cui l’interessato aveva avuto la possibilità di proporla.

4.- La questione posta negli altri motivi è se, proposta un’azione di disconoscimento per impotenza a generare (art. 235 c.c., n. 2, abrogato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 106, comma 1, lett. a, trasfuso, quanto alle ipotesi di disconoscimento di paternità, nell’art. 244 c.c., come sostituito dal D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 18), chi agisce possa, nel corso del processo, fare valere ragioni diverse a sostegno del disconoscimento, come quella rappresentata dal ricorrente, il quale ha assimilato all’adulterio (v. l’abrogato art. 235, n. 3 e il vigente art. 244 c.c., comma 2, il concepimento mediante ricorso da parte della moglie, a sua insaputa, alla fecondazione eterologa.

A tale questione si deve dare risposta affermativa.

5.- Nell’azione di disconoscimento della paternità – la quale, con la negazione della paternità del marito della madre, tende all’accertamento negativo dello status di figlio risultante dall’atto di nascita – petitum e causa petendi restano identici ed unitari, quali siano i fatti che, nell’ambito di quelli tipizzati dal legislatore (art. 244 c.c.), vengano in concreto addotti a sostegno della pretesa. Ne consegue che il mutamento dei predetti fatti, non integranti distinte causae petendi, è consentito nel corso del giudizio, purchè nel rispetto del principio del contraddittorio e dei limiti di deducibilità di nuove prove nelle varie fasi e gradi del giudizio medesimo, in quanto non comporta la proposizione di una domanda nuova (in tal senso Cass. n. 852/1976, secondo cui l’eventuale giudicato di rigetto dell’azione di disconoscimento, coprendo il dedotto ed il deducibile, preclude la riproposizione dell’azione stessa, anche se, nel nuovo giudizio, la prova della negazione del rapporto di paternità abbia per oggetto un fatto tipico diverso da quello in precedenza invocato) Che la deduzione in corso di causa dell’adulterio della moglie – o, si deve aggiungere, di fatti ora assimilabili – non costituisca una non consentita mutatio libelli (v. Cass. n. 5687/1984), essendo l’azione di disconoscimento unicamente volta a fare accertare l’inussistenza del legame biologico con il figlio nato nell’ambito del rapporto matrimoniale, è dimostrato anche dal fatto che, ove l’azione sia promossa per l’impotenza del marito, l’esperimento della prova ematico-genetica non subordinato all’esito positivo della prova dell’impotenza a generare (v. Cass. n. 15089/2008); analogamente, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 266 del 2006, possibile dare ingresso alla prova ematico-genetica indipendentemente dalla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie (v. Cass. n. 8356/2007).

La possibilità di dare accesso alla suddetta prova presuppone il rispetto, da parte del marito che agisca in giudizio, del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c., a decorrere, però, dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza certa dell’adulterio inteso come vera e propria relazione, o incontro, di tipo sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, e non come semplice sospetto Cass. n. 14556/2014, n. 15777/2010).

Questa Corte ha precisato che la disciplina contenuta nell’art. 235 c.c. è applicabile anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito della L. 19 febbraio 2004, n. 40, come interpretabile alla luce del principio del favor veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dalla citata disposizione codicistica; pertanto, per ragioni sistematiche e di identità della ratio, il termine di decadenza previsto dall’art. 244 c.c. è applicabile in tale ipotesi e decorre dal momento (comunque successivo alla nascita) in cui sia acquisita la certezza del ricorso al metodo di procreazione assistita (v. Cass. n. 11644/2012). 6.- La sentenza impugnata si è erroneamente arrestata a valutare la tempestività dell’azione di disconoscimento con riguardo al momento di presunta acquisizione della conoscenza dell’impotenza (peraltro rivelatasi non assoluta) e l’ha ritenuta tardiva, sul presupposto che quella conoscenza risalisse al 1995, mentre, a fondamento dell’azione, il T. aveva legittimamente dedotto un fatto ulteriore rispetto al quale l’azione era certamente tempestiva, per avere la moglie fatto ricorso, a sua insaputa, alla pratica della procreazione assistita.

In particolare, il ricorrente fa plausibilmente coincidere il momento in cui ebbe sicura conoscenza dell’utilizzazione di tale pratica con quello della ricezione, nel (OMISSIS), della lettera con cui la moglie faceva cenno ad un imprecisato “aiuto di laboratorio” per la nascita del figlio, oppure con la dichiarazione, resa in giudizio all’udienza del 30 luglio 2009, nella quale la moglie ammetteva di avere effettuato un’inseminazione eterologa: in entrambi i casi, la domanda giudiziale, proposta nel mese di agosto 2008, è tempestiva, non essendo stati prospettati elementi concreti per ritenere che tale conoscenza risalisse ad un’epoca anteriore.

7.- Di conseguenza, risulta fondata anche la doglianza (esposta nel quarto motivo) relativa al mancato espletamento della prova ematologica, la quale, presentando un elevatissimo grado di attendibilità, grazie alle avanzate acquisizione scientifiche nel campo della genetica, avrebbe consentito potrà consentire nel giudizio di rinvio) di accertare la sussistenza o no della paternità biologica del T..

8.- In conclusione, in accoglimento del primo, secondo e quarto motivo, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo di ricorso e rigetta il terzo; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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