Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7965 del 20/04/2020

Cassazione civile sez. III, 20/04/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 20/04/2020), n.7965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI GIUSEPPE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29506-2018 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAETANO

DONIZETTI, 7, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE FRISINA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA TERESA DI

ROCCO;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 98

SC A INT 9 IV PIANO, presso lo studio dell’avvocato DANIELA DE LUCA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO DEL PINTO;

(OMISSIS) in persona degli Amministratori pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE DEI PARIOLI 76, presso lo studio

dell’avvocato SEVERINO D’AMORE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROSARIO PANEBIANCO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1186/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione notificato in data 29/3/1999, la Dott.ssa V.L. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di L’Aquila, il Condominio “(OMISSIS)”, in persona dell’amministratore pro tempore, chiedendo che ne venisse affermata la responsabilità, sia ex art. 2051 c.c. che ex art. 2049 c.c. per fatto colposo dell’amministratore e, di conseguenza, la condanna al pagamento di Lire 150.000.000 a titolo di risarcimento dei danni subiti. La ricorrente osservava che il proprio appartamento – posto al terzo piano dello stabile condominiale aveva subito danni strutturali a seguito di alcune scosse sismiche verificatesi nel 1985, danni poi aggravatisi a causa del fenomeno degenerativo dovuto al dissesto del fabbricato, tanto che a partire dal 1994 nell’unità immobiliare di sua proprietà erano comparse evidenti lesioni che con il passare del tempo si erano notevolmente accentuate. L’assemblea condominiale – con verbale assembleare 7/5/1994 – conferiva così all’amministratore, Sig. B.G.B., specifico mandato ad hoc per la pratica di restauro dell’immobile condominiale. Ciononostante, secondo la tesi dell’attrice oggi ricorrente, l’amministratore non prendeva alcuna iniziativa ma, anzi, esponeva i condomini ad una serie di spese inutili ed aggiuntive e, per altro verso, per fatto proprio, faceva perdere al Condominio il finanziamento pubblico di Lire 130.000.000 per il risanamento post sisma. Secondo la ricorrente, a causa della mala gestio dell’amministratore, nonchè dell’inerzia dei condomini, ella subiva un gravissimo pregiudizio consistente non solo nel documentato progressivo ed irreversibile deterioramento della proprietà esclusiva, ma anche nell’inevitabile aumento dei costi e delle spese per il risanamento strutturale, anche in ragione della perdita del finanziamento pubblico. Per tali danni riteneva responsabile il Condominio, tanto ai sensi dell’art. 2051 c.c., per non aver provveduto ad eliminare le situazioni dannose inerenti alle parti comuni dell’edificio, quanto ex art. 2049 c.c., quale mandante dell’amministratore. Si costituivano il convenuto Condominio “(OMISSIS)” e, con intervento ad adiuvandum dello stesso, la condomina Sig.ra G.C. che contestavano la domanda. Il giudice di primo grado, sulla scorta delle produzioni documentali, delle risultanze delle prove orali e della CTU descrittiva ed estimativa, con la sentenza n. 581/2011 del 19/7 – 2/8/2011 rigettava la domanda attorea in quanto infondata, generica e priva di adeguato supporto probatorio, richiamando a tal fine le risultanze della consulenza tecnica disposta d’ufficio, che aveva acclarato che i danni subiti dall’appartamento dell’attrice erano stati determinati dall’evento sismico del 1985 e non dall’aggravarsi della situazione dell’immobile, non più risanata per inerzia del Condominio e dell’amministratore; compensava tra le parti le spese di lite.

2. Avverso tale pronuncia proponeva appello l’attrice, chiedendo in via istruttoria la rinnovazione della CTU ovvero l’integrazione peritale già svolta in primo grado e, nel merito, la declaratoria di nullità della sentenza impugnata nonchè, l’accertamento della responsabilità del Condominio – ex artt. 2051 e 2049 c.c. per fatto colposo dell’amministratore – con condanna al risarcimento dei danni quantificati in Euro 250.000,00 o nel diverso importo provato, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi. Nel giudizio di appello si costituivano gli appellati, entrambi domandando il rigetto dell’appello. Con sentenza n. 1186/2018, resa in data 13 giugno 2018, pubblicata il 15 giugno 2018, la Corte di Appello di L’Aquila rigettava l’appello della ricorrente, confermando il provvedimento adottato in prime cure, sull’assunto che era mancata la prova del danno, come richiesto nell’atto di citazione, ritenendo inammissibili le ulteriori allegazioni, in quanto tardive. Condannava l’appellante al pagamento in favore della G. e del Condominio delle spese processuali, liquidate in Euro 9.000,00 oltre accessori, a favore di ciascuno.

3. Con ricorso notificato il 4/10/2018 avverso la sentenza n. 1186/2018 della Corte d’Appello dell’Aquila, pubblicata il 15/5/2018 e notificata a mezzo pec il 5/7/2018, la ricorrente propone ricorso per Cassazione articolando quattro motivi di gravame. Resistono con separati controricorsi le parti intimate: la Sig.ra G.C. resiste con controricorso notificato a mezzo pec il 12/11/2018; il Condominio “(OMISSIS)”, in persona degli Amministratori pro tempore, resiste con controricorso notificato a mezzo pec il 13/11/2018. La ricorrente ha prodotto memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in dipendenza del quale la Corte di Appello di L’Aquila non avrebbe ritenuto che il danno da deprezzamento dell’immobile fosse sussistente e posto in rapporto di causalità necessaria con l’incuria del Condominio. La Corte di Appello avrebbe omesso di considerare una serie di circostanze fattuali – elencate dalla ricorrente – che, se puntualmente colte, avrebbero condotto ad una diversa decisione circa la rilevanza causale rivestita dall’incuria del Condominio nel deprezzamento subito dall’immobile.

1.1. Il motivo è inammissibile. La ricorrente non censura la sentenza quanto alla deduzione di carenza della prova di un nesso causale tra il danno verificatosi per effetto del progressivo ed irreversibile “deterioramento” del proprio appartamento, ritenuto tuttavia sotto questo aspetto non mutato rispetto ai fenomeni sismici che lo hanno nel tempo vieppiù interessato, sulla base di una CTU acquisita. La ricorrente censura, piuttosto, la sentenza per non avere riconosciuto una voce di danno patrimoniale, ossia, il danno da deprezzamento dell’immobile, pari a Euro 185.000,00 che la Corte ha indicato essere stato dedotto solo nel giudizio di appello. La resistente, di contro, deduce che la domanda volta a far valere il deprezzamento non faccia parte della materia del contendere, costituendo domanda nuova inammissibile ex art. 183 codice di rito.

1.2. Il motivo è, innanzitutto, inammissibile perchè non risulta formulato in maniera conforme al principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.p., n. 6: sul punto la ricorrente avrebbe dovuto indicare al giudice di legittimità “se e dove” tale voce di danno sia stata in effetti contenuta nella domanda introduttiva, in ossequio a un consolidato indirizzo giurisprudenziale che impone alla parte ricorrente di dare conto del tempo processuale cui si riferisce la censurata omissione processuale, al fine del controllo di legittimità della pronuncia (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15363 del 26/07/2016; Sez. 3, Sentenza n. 20128 del 07/10/2015).

1.3. Invero, ogni fatto integrativo di danno patrimoniale, per quanto avvenuto nel caso concreto, dopo lo spirare dei termini ex art. 183 c.p.c. costituisce domanda nuova, e come tale è inammissibile se non tempestivamente richiesto (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11761 del 19/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 22987 del 07/12/2004; Cass. Sez z. 3, Sentenza n. 2869 del 26/02/2003). E, a ben vedere, a pag. 7 dell’atto di citazione, si coglie che l’attrice asseriva di aver subito un ” ingente pregiudizio patrimoniale consistente, da un lato, nel progressivo ed irreversibile deterioramento del proprio appartamento, dall’altro, l’inevitabile aggravio degli oneri economici dovuti all’aumento degli importi di cui al prezzario ANCE e della spesa occorrente per il ripristino dell’originaria situazione”. Pertanto, anche volendo considerare il merito della richiesta, per come formulata nel primo atto, è rilevabile che il danno da “deprezzamento” ha un’area applicativa più ampia del danno da “deterioramento” potendo, il primo, eventualmente ricomprendere il secondo, e non viceversa (in effetti, tra le cause sintomatiche della perdita di valore dell’immobile vi può essere anche il deterioramento dello stesso). Per converso, l’originaria domanda per danno da “deterioramento” non può comprendere neanche potenzialmente il danno da deprezzamento: se il danno da deprezzamento è danno da perdita di valore commerciale dell’immobile, diversamente, il danno da deterioramento evoca un danneggiamento progressivo del bene. Il giudizio, pertanto, doveva legittimamente ritenersi circoscritto alle seguenti voci di danno, le uniche contenute nell’atto di citazione: i) danno da deterioramento subito dall’appartamento di proprietà della ricorrente per effetto della mancata ristrutturazione post sisma; ii) danno da aggravio dei costi e delle spese per il ripristino dello status quo ante. In occasione del deposito della comparsa conclusionale del 16.6.2007 (la prima delle tre depositate) l’attrice, oggi ricorrente, ampliava il thema decidendum chiedendo danni ulteriori:

deprezzamento dell’immobile, perdita del finanziamento pubblico di Lire 130.000.000, ingiustificato aumento dei costi di progettazione, danno da lucro cessante per l’impossibilità di utilizzo alternativo del bene. Domande, su cui, per altro, il Condominio “(OMISSIS)” non accettava il contraddittorio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in dipendenza del quale la Corte di Appello di L’Aquila non ha riconosciuto il danno patito con riferimento ai costi sostenuti per le pratiche di consolidamento, poi ineseguito dal Condominio.

2.1. Il motivo è inammissibile. Valgono in buona misura le medesime considerazioni svolte in relazione alla insufficiente deduzione del primo motivo, sul piano sia della sua redazione, sia della mancata deduzione di tale danno nella prima fase di giudizio. Difatti, sul punto la Corte d’appello ha esplicitato che la domanda è tardiva, come anche rilevato dal Tribunale, e ciò toglie rilievo all’ulteriore considerazione, in fatto, pur effettuata dalla Corte di merito, posto che l’inammissibilità pronunciata toglie valore decisorio alle argomentazioni di merito, e ove sussistenti, devono ritenersi tamquam non essent, essendosi il giudice spogliato della potestas iudicandi nel dichiarare la inammissibilità dell’appello (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017; Sez. U, Sentenza n. 24469 del 30/10/2013). La parte ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto considerare che tale voce di danno è stata dichiarata inammissibile per motivi processuali, e dunque non si sostanzia, propriamente, in un vizio di omessa considerazione di un fatto ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma in un vizio attinente alla conformità tra il chiesto e il pronunciato.

2.2. Ma anche volendo considerare la censura della motivazione tesa a far rilevare una sostanziale omessa pronuncia rispetto a una domanda regolarmente introdotta nel contraddittorio, occorre considerare che la voce di danno in relazione alla quale viene lamentata un’omessa considerazione – ossia, “i costi sostenuti per le pratiche di consolidamento ineseguite nel condominio” che la ricorrente configura in una serie costi funzionali – non è ugualmente rinvenibile nell’atto introduttivo del giudizio e costituisce, dunque, anche in questo caso, domanda nuova inammissibile ex art. 183 c.p.c.. Nell’atto di citazione, accanto al danno da deterioramento, si menziona il danno per “aggravio degli oneri economici dovuti all’aumento degli importi di cui al prezzario ANCE e della spesa occorrente per il ripristino dell’originaria situazione” (pag. 7 dell’atto di citazione). Tale voce di danno è distinta da quella di cui, successivamente, (a partire dalla prima comparsa conclusionale nel corso del primo grado) la ricorrente chiede il risarcimento, che riguarda i costi anticipati per le pratiche amministrative avviate dal condominio, e non portate a termine dall’amministratore.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 dell’art. 1131 c.c., degli artt. 75,83 e 91 c.p.c.; sostiene che la costituzione in giudizio del Condominio “(OMISSIS)” non sarebbe valida: i) in primo luogo, per l’assenza dell’autorizzazione all’amministratore a stare in giudizio, ad esso conferito da parte dell’assemblea condominiale; ii) e comunque, per la nullità della procura speciale alle liti rilasciata dal Condominio che non avrebbe i requisiti richiesti dall’art. 83 c.p.c.

3.1. Il motivo è infondato. La Corte d’appello non risulta essere stata investita di tale questione che attiene alla irregolarità della procura alle liti rilasciata dal Condominio per la fase di secondo grado. Poichè la procura alle liti, in ogni caso, incide sulla valutazione dell’attività difensiva ai fini della liquidazione delle spese di lite, liquidate a favore del Condominio, la ricorrente in tal caso intende sollevare, oggi, una questione che il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio, trattandosi di un vizio che attiene alla regolare costituzione in giudizio. Come affermato nel 2014 dalle sezioni unite di questa Corte, il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto, purchè anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l’atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica (Sez. U, Sentenza n. 13431 del 13/06/2014 Rv. 631299). Pertanto, la questione è rilevante, non potendo la situazione di eventuale irregolarità processuale, relativa al giudizio di secondo grado, essersi sanata per effetto di una successiva procura speciale rilasciata dalla parte ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, posto che la nullità della procura alle liti è rilevabile, anche ex officio, in qualsiasi stato e grado del processo, data la sua attinenza alla costituzione del rapporto processuale, in quanto integra un requisito essenziale dell’atto stesso e fa fede della sua provenienza e attinenza con il rapporto processuale in questione (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23335 del 19/09/2019 in continuità con Cass.Sez. 1, Sentenza n. 4845 del 07/09/1982).

3.2. In relazione al primo aspetto, a norma dell’art. 83 c.p.c., comma 5 “la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa volontà diversa”. Tale “volontà diversa”, tuttavia, non deve essere necessariamente esplicita, ma può desumersi dalla presenza di espressioni che comportino l’estensione della procura ad un successivo grado, come “nella presente procedura” o “nel presente giudizio” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16372 del 21/06/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 40 del 07/01/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8806 del 28/06/2000). Nel caso specifico, infatti, deve anche rilevarsi che l’assemblea condominiale in data 5/5/1999, aveva deliberato di resistere nel giudizio promosso dalla ricorrente e aveva, pertanto, autorizzato l’amministratore a rilasciare la procura alle liti. Non era necessario, dunque, che l’assemblea si pronunciasse nuovamente sulla costituzione del Condominio nel giudizio di appello costituendo questo mera prosecuzione dell’azione introdotta dall’attrice, oggi ricorrente, dal momento che l’originaria procura non presentava specificazioni ulteriori oltre al riferimento al “giudizio promosso dalla V.”.

3.3. Anche in relazione al secondo aspetto, la censura si dimostra infondata. Ex art. 83 c.p.c., comma 3, la procura può essere conferita su foglio separato – come nel caso specifico – che “sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce”. La ricorrente sul punto osserva che ai fini del rispetto della “congiunzione materiale” tra il foglio separato contenente la procura e l’atto a cui essa accede, sia necessario che ad unire il foglio con l’atto vi sia un timbro di congiunzione, secondo la sentenza di questa Corte dell’8 settembre 1995, n. 9492, richiamando, dunque, un orientamento di legittimità precedente alla modifica operata dalla legge del 27 maggio 1997, n. 141 proprio sulla disposizione richiamata. E’, infatti, orientamento ormai consolidato che “il requisito, posto dall’art. 83 c.p.c., comma 3, (nel testo modificato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141, art. 1), della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi” (Cass. SU, sentenza n. 13666 del 18/09/2002; Cass. L, Sentenza n. 7731 del 23/04/2004; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 2813 del 06/02/2018).

3.4. La ricorrente deduce pure che, ai fini di validità della procura speciale alle liti, la stessa debba riferirsi al giudizio per il quale è stata conferita, richiedendosi a tal fine che siano indicati gli estremi del giudizio per il quale è stata rilasciata. Tuttavia, secondo l’orientamento di questa Corte, ai fini della validità della procura – pur rilasciata su foglio separato – non occorre alcuna esplicita indicazione del procedimento per il quale la stessa sia stata rilasciata essendo però necessario che la stessa sia idonea a conferire la certezza circa la provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura al giudizio cui l’atto stesso fa riferimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13910 del 24/09/2002; Sez. L, Sentenza n. 12080 del 18/08/2003; Cass. Sez 1 – Sentenza n. 28839 del 27/12/2011; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16372 del 21/06/2018).

3.5. Per quel che riguarda il caso di specie, pertanto, la procura rilasciata dagli amministratori ai fini della costituzione del Condominio nel giudizio di merito, anche se apposta su foglio separato, non è invalida, vista la sua posizione “topografica” rispetto all’atto cui si riferisce, e considerata l’intima connessione con l’atto cui accede: in quanto materialmente unita in calce alla comparsa di costituzione, essa soddisfa i requisiti di validità richiesti da questa Corte.

4. Con il quarto e ultimo motivo di impugnazione si deduce, in subordine al terzo motivo, la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 3 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, artt. 2 e 4 dell’art. 2233 c.c., comma 2, nonchè dell’art. 91 c.p.c. In particolare, la ricorrente chiede la riforma della sentenza nella parte in cui ha liquidato gli onorari di lite in favore del Condominio e della condomina interveniente adesiva in misura incongrua rispetto all’attività effettivamente svolta.

4.1. Il motivo è inammissibile. L’orientamento di questa Corte ritiene incensurabili i provvedimenti liquidatori sulle spese di lite delle fasi di merito, sempre che non vengano superati i minimi e i massimi tabellari previsti dal D.M. n. 55 del 2014 che, nel caso specifico non sono stati superati. Nella specie, “la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti del procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7527 del 23/05/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3267 del 03/04/1999).

5. Conclusivamente, la Corte rigetta il ricorso; compensa le spese tra le parti in ragione del particolare contesto di perdurante dissesto ambientale e territoriale in cui si colloca la vicenda esaminata (per un’interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma, cfr. Corte Cost. n. 77/2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; compensa le spes del giudizio di legittimità tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

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