Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7962 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. I, 31/03/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 31/03/2010), n.7962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in

persona del Direttore Titolare pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, LUNGOTEVERE A. DA BRESCIA 9/10, presso l’avvocato MANNOCCHI

MASSIMO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOCCHI

GIORGIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.F., T.M.G., Z.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. GRAMSCI 28, presso

l’avvocato FRANCHI MANILIO, rappresentati e difesi dall’avvocato

DONATI BRUNO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1230/2003 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/07/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/02/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato M. MANNOCCHI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1230 del 2.05-12.07.2003, la Corte di appello di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto da D.F., T.M.G. e Z.S. ed in riforma dell’impugnata sentenza, resa dal Tribunale di Prato in data 15.01- 27.04.2001, revocava il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, n. 245 del 7.11.1996, emesso per la somma capitale di L. 199.966.186, oltre accessori, ad istanza, depositata il 2.11.1996, della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., nei confronti sia degli appellanti, quali garanti per fideiussioni prestate il (OMISSIS) dal D. ed il (OMISSIS) dalla T. e dallo Z., e sia nei confronti della debitrice principale s.r.l. Rocca di Cerbaia, di cui nel frattempo era stato dichiarato il fallimento, rimasto contumace nel giudizio d’appello. La Corte distrettuale osservava anche:

che il gravame dei tre garanti si articolava in due motivi, con il primo dei quali essi avevano ribadito l’insussistenza delle condizioni che legittimavano la banca ingiungente ad esigere il pagamento immediato del debito non ancora scaduto, avvalendosi, ai sensi dell’art. 1186 cod. civ., della decadenza del debitore dal beneficio del termine, mentre con il secondo avevano dedotto l’erronea valutazione delle inadempienze della banca stessa, le quali avevano pregiudicato il loro diritto di regresso e, dunque, determinato il venire meno della fideiussione, ai sensi dell’art. 1955 cod. civ..

– Che con l’illegittima pretesa di pagamento immediato (pretesa esercitata con azioni esecutive, come aveva espressamente dichiarato il Monte dei Paschi) all’ordinario corso dei concordati e regolari pagamenti rateali si era sostituita una serie causale completamente diversa: dapprima il recesso degli altri istituti di credito dal precedente rapporto di affidamento, quindi il fallimento di un’impresa che, priva di capitali, avrebbe potuto sopravvivere in attività e fare fronte ai suoi impegni proprio grazie alle agevolazioni bancarie;

– che, se questa era stata la conseguenza dell’illegittima iniziativa adottata dalla banca, si comprendeva come correttamente gli opponenti avessero fatto riferimento alla norma dell’art. 1955 cod. civ..

– che accolto l’appello “per quella che ne costituiva la principale ragione”, le spese di entrambi i gradi di giudizio dovevano essere poste a carico della banca.

Con ordinanza del 20.05-1.06.2005, la medesima Corte di appello di Firenze disponeva, ad istanza del (13-01.)2005, del D., della T. e dello Z., che il dispositivo della suddetta sentenza fosse corretto nel senso che dopo il provvedimento di revoca del decreto ingiuntivo opposto, si dovesse leggere “dichiara estinte le fideiussioni prestate da D.F., T.M. G. e Z.S. in favore della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. per le obbligazioni contratte dalla s.r.l. Rocca di Cerbaia”. Con questo provvedimento la Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro ed in sintesi:

– che nell’introdurre il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo il D., la T. e lo Z. avevano non solo dedotto l’insussistenza delle condizioni che consentissero alla banca ingiungente di ritenere la società debitrice principale decaduta dal beneficio del termine ma anche espressamente chiesto che le fideiussioni da loro prestate fossero dichiarate estinte ai sensi dell’art. 1955 cod. civ., per fatto della creditrice;

– che la Corte aveva accolto le tesi difensive dei garanti, ritenendo non soltanto che la decadenza dal beneficio del termine fosse stata illegittimamente azionata, ma entrando anche nel merito di quello specifico motivo che afferiva all’estinzione delle fideiussioni e su cui le parti avevano avuto modo di esercitare le loro difese, lungamente sul punto motivando e pervenendo ad affermare che correttamente gli opponenti avevano fatto riferimento alla norma dell’art. 1955 cod. civ.; alla creditrice essendo da ricondurre non solo la mancata estinzione del debito gravante sulla Rocca di Cerbaia, ma anche la circostanza che i fideiussori, ove avessero pagato in luogo della garantita, non avrebbero potuto utilmente surrogarsi nelle ragioni del credito;

– che per conseguenza l’assenza nel dispositivo della decisione di una statuizione concernente l’estinzione delle fideiussioni costituiva errore materiale, rimediabile con la procedura esperita dai fideiussori;

– che il diritto della banca all’impugnazione era garantito dall’art. 288 c.p.c., u.c.;

– che il contenuto decisorio della sentenza, passata in giudicato, era costituito non solo dal dispositivo ma anche dalle affermazioni contenute in motivazione, nei limiti in cui esse, risolvendo questioni controverse e logicamente preliminari alla pronuncia, costituivano una parte della decisione stessa, onde irrilevante si palesava, in presenza della cosa giudicata, la pendenza di un giudizio di opposizione all’esecuzione in cui si fosse agitata la medesima questione già definitivamente risolta.

Contro la sentenza n. 1230 del 2003 relativamente alla parte corretta la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, notificato il 13.09.2005 ed illustrato da memoria. Il D., la T. e lo Z. hanno resistito con controricorso notificato il 21.10.2005 e depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena denunzia:

1. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c. – Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3)”. Sostiene essenzialmente:

– che non ricorrevano i presupposti per la procedura di correzione dell’errore materiale, dal momento che la chiesta correzione implicava una ricerca in ordine alla volontà del giudice posto che le argomentazioni sulla fondatezza del richiamo dei fideiussori all’art. 1955 cod. civ., dovevano essere correlate alla chiosa conclusiva “accolto l’appello per quella che ne costituiva la principale ragione”;

– che l’omissione era stata voluta, essendosi dato rilievo ai fini dell’accoglimento del gravame solo alla principale ragione circa la non esigibilità del credito, ossia al fatto che non era intervenuta la decadenza dal beneficio del termine vantata dalla banca ingiungente, ragione che legittimava esclusivamente la revoca del provvedimento monitorio;

– che la Corte distrettuale disponendo, invece, la correzione ha mutato concetto;

– che la propria tesi è stata condivisa nell’ordinanza del 26.01.04, anteriore al procedimento di correzione, pronunciata dal giudice sia dell’esecuzione immobiliare a carico dello Z., fondata sul menzionato decreto ingiuntivo e dopo la revoca di tale provvedimento, su vaglia cambiari avallati dallo stesso Z., e sia dell’opposizione all’esecuzione da questi proposta, cause pendenti presso il Tribunale di Firenze;

– che poichè lo Z., nell’opporsi, con ricorso dell’8.04.04, all’intervento attuato dalla banca MPS, nella procedura esecutiva dinanzi al Tribunale di Firenze, aveva chiesto la declaratoria di nullità della medesima fideiussione e sulla questione si era aperto il contraddittorio con ampia difesa nel merito, la procedura di correzione era inammissibile non per litispendenza, ma in ragione del tipo di rilevanza che poteva essere attribuita alla da lui riproposta domanda ex art. 1955 cod. civ.;

– che nel comportamento dello Z. doveva essere ravvisata una rinuncia implicita alla (successiva) correzione, diversamente non comprendendosi da quanti e quali giudici voleva che fosse decisa la sua domanda di liberazione dalla garanzia;

– che con la correzione si è verificata, dunque, la violazione del giudicato anche perchè si è decisa una domanda inammissibile;

– che poichè in ogni caso la sentenza sul punto corretto presentava alto grado di possibilità di equivoco, connesso alla chiosa conclusiva, deve ritenersi ammissibile l’impugnazione tardiva della statuizione ai sensi dell’art. 288 c.p.c., comma 4.

2. “Insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza corretta su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti – Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5)”.

La banca ricorrente pur ritenendo evidente la proposizione della domanda dei fideiussori di liberazione ai sensi dell’art. 1955 cod. civ. e l’esistenza nella sentenza corretta di una motivazione favorevole al suo accoglimento, ribadisce l’equivocità della prima pronuncia come a suo parere confermato nell’ordinanza stessa di correzione, che richiama a suo favore il rimedio dell’impugnazione tardiva.

3. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 1955 c.c. – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sull’interpretazione e applicazione delle stesse norme – Violazioni di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Censura la statuizione corretta ribadendo che sul punto la sentenza era tale da suscitare obiettiva ambiguità sul suo effettivo contenuto, e sostenendo l’inapplicabilità dell’art. 1955 cod. civ., in quanto il pregiudizio subito dai garanti e connesso all’adozione del provvedimento monitorio era d’indole economica e non giuridica, non essendosi risolto nella compromissione dei loro diritti di surroga e di regresso.

I tre motivi di ricorso, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, non sono fondati.

L’opposizione a decreto ingiuntivo, anche quando è proposta allo scopo di sostenere la illegittimità del ricorso alla procedura sommaria, instaura comunque un giudizio di merito sul credito vantato e fatto valere dal ricorrente con la richiesta – che assume veste di domanda – del decreto di ingiunzione, ed il relativo giudizio, anche quando il decreto sia revocato sul presupposto che non poteva essere concesso, si conclude con una pronuncia di merito sulla dedotta pretesa (cfr. cass. 200919560).

Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, trova, dunque, applicazione il noto principio secondo cui la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni della motivazione dirette in modo univoco all’attribuzione di un diritto ad una delle parti, ragione per cui tutte le volte in cui il dispositivo della sentenza conclusiva di merito si riveli carente perchè incompleto nel suo contenuto precettivo, può esserne disposta l’integrazione a mezzo del procedimento di correzione di cui all’art. 287 c.p.c., ove ne ricorrano i presupposti.

Nella specie, ben potevano i fideiussori avvalersi di tale procedura, dal momento che come anche ineccepibilmente rilevato con l’ordinanza correttiva, alcun dubbio poteva sorgere in ordine al contenuto precettivo della sentenza d’appello, poichè dalla relativa parte motiva emergeva espressamente e chiaramente che era stata ritenuta la fondatezza sia del primo che del secondo motivo in cui si articolava il gravame dei fideiussori, il secondo dei quali inerente alla domanda riconvenzionale dagli stessi proposta e volta ad ottenere ai sensi dell’art. 1955 cod. civ, la loro liberazione dalla garanzia.

D’altra parte l’adozione di una statuizione sfavorevole ai garanti in ordine alla domanda riconvenzionale in argomento, o un convincimento in tale senso o comunque un qualsivoglia dubbio sulla effettiva portata favorevole del relativo decisum non potevano nemmeno essere ragionevolmente ancorati alla frase contenuta nella parte conclusiva della pronuncia, secondo cui “accolto l’appello per quella che ne costituiva la principale ragione”, dal momento che la richiamata principale ragione (e non motivo) di accoglimento dell’impugnazione si sostanziava con palmare evidenza, in coerenza letterale e logica con tutto il contesto argomentativo cui ineriva, all’accertata medesima iniziativa giudiziaria della banca, che, essendosi rivelata inidonea a legittimare la pretesa azionata in via monitoria e nel contempo anche tale da costituire fatto pregiudizievole ai fideiussori, nel senso previsto dall’art. 1955 cod. civ., aveva fondato e legittimato sia la revoca del decreto ingiuntivo che la liberazione dei garanti. Quanto poi all’inammissibilità del procedimento di correzione che la Banca MPS assume rinveniente dalla portata abdicativa implicita da riconnettere ad analoga domanda proposta dal solo Z. in diverso, anteriore processo di opposizione all’esecuzione, il fatto che la ricorrente abbia omesso di trascrivere il contenuto di tale domanda non consente, per difetto di autosufficienza, di ritenere ammissibile la doglianza, stante anche l’assenza di teorici profili di incompatibilità tra l’eventuale adozione delle due iniziative giudiziarie.

L’adozione della misura correttiva non vale, infine, a riaprire i termini di impugnazione della sentenza corretta, essendosi concretata in una semplice integrazione del dispositivo, inidonea per quanto detto, ad alterare la sostanza della pronuncia ed a determinare obiettivo dubbio sull’effettivo contenuto di essa.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della ricorrente soccombente al pagamento in favore del D., della T. e dello Z., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

 

 

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