Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7962 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. I, 28/03/2017, (ud. 13/10/2016, dep.28/03/2017),  n. 7962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.N., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore

Cinnera Martino, per mandato a margine del ricorso, che indica per

le comunicazioni relative al processo la p.e.c.

salvatore.cinnera.martino-pec.it e il fax 0941/703819;

– ricorrente –

nei confronti di:

N.E., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Di

Pietro (fax 090/774461, p.e.c. avvgiuseppedipietro-stlegdiPietro) e

Alberto Giullino (fax 090/774988, p.e.c. a.gulino-legalmail.it) per

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 333/2012 della Corte d’appello di Messina

emessa in data 8 maggio 2012 e depositata il 30 maggio 2012, R.G. n.

409/96;

sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore

generale dott. CERONI Francesca, che ha concluso per

l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. N.E. ha convenuto, con citazione del 15/17 settembre 1991, davanti al Tribunale di Patti, N.C. e M. e F.N. deducendo che tra le parti era intercorsa una società di fatto per lo sfruttamento di una cava in territorio del Comune di (OMISSIS), venuta a cessare per mutuo consenso il 25 gennaio 1981 ma che aveva continuato a operare sino ad allora. Ha chiesto la divisione dei beni della società di fatto (la cava e le attrezzature comuni) e la condanna di F.N. al rendiconto della gestione (della cava e del cantiere di lavorazione marmi) e al pagamento di quanto dovuto con rivalutazione e interessi.

2. Si sono costituiti F.N. e N.C. e hanno eccepito l’avvenuta definizione dei rapporti relativi alla società di fatto mediante la scrittura privata in possesso dell’attore sottoscritta il 25 gennaio 1981.

3. Espletata C.T.U. e disposto il rendiconto a cura di F.N. il Tribunale di Patti, con sentenza del 4/11 marzo 1996, ha attribuito alle parti in causa le quote individuali formate con il progetto di divisione dei beni comuni predisposto dal C.T.U. Ha respinto le altre domande proposte da N.E. che ha condannato al pagamento delle spese processuali.

4. La Corte di appello di Messina, con sentenza non definitiva del 31 maggio 2005, ha accertato che la società sciolta nel 1981 non era stata ricostituita e, con sentenza definitiva dell’8 maggio – 30 maggio 2012, ha condannato F.N. al pagamento, in favore di N.E., della somma di 17.500 Euro a titolo di quota spettante sugli utili all’esito di CTU espletata in relazione alla mancata presentazione da parte del F.N. del rendiconto della società di fatto per l’attività espletata dal 1967 allo scioglimento del 25 gennaio 1981, oltre interessi da quest’ultima data al saldo. Ha compensato le spese del giudizio di primo grado e ha condannato il F. al pagamento della metà delle spese del giudizio di appello ponendo a suo carico le spese di C.T.U.

5. Ricorre per cassazione F.N. che si affida a quattro motivi di impugnazione.

6. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 263 e 264 c.p.c.; artt. 2260, 2261, 2262 e 2702 c.c., art. 2730 c.c. e segg., artt. 2274, 2275 e 2277 c.c. Difetto assoluto di motivazione. Secondo il ricorrente il rendiconto da recepire nella sentenza definitiva era quello della liquidazione e non dell’intera vita della società. Il ricorrente considera erronea la interpretazione delle statuizioni contenute nella sentenza non definitiva che in realtà si era limitata genericamente a prevedere il rendiconto senza definirne il contenuto.

7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 342, 345, 263 e 264 c.p.c. e artt. 2261 e 2277 c.c. e il difetto di motivazione. Secondo il ricorrente la C.T.U. (con il quesito contestato) poteva essere ammessa solo se egli (nella qualità di liquidatore) non avesse reso il conto.

8. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 342, 345, 263, 264, 194, 196 e 198 c.p.c. e artt. 2261, 2277 c.c. Il ricorrente contesta l’acquisizione di ufficio di documenti e la loro valutazione ai fini del decidere.

9. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., art. 263 c.p.c. e ss. e degli artt. 2261 e 2277 c.c. nonchè il difetto assoluto di motivazione. Il ricorrente critica le due C.T.U. i cui esiti risulterebbero basati su presunzioni quanto mai opinabili se non manifestamente errate.

10. Si difende con controricorso N.E. che eccepisce preliminarmente la inammissibilità del ricorso per mancata riserva di impugnazione della sentenza non definitiva da parte del F..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che:

11. L’eccezione di inammissibilità non appare fondata se si ha presente il contenuto del primo motivo di ricorso che non attiene a una impugnazione della sentenza non definitiva ma all’interpretazione che di essa ha dato la Corte di appello di Messina in sede di pronuncia definitiva. Il primo motivo di ricorso è tuttavia infondato perchè la sentenza non definitiva della Corte distrettuale indica chiaramente, nel suo insieme di motivazione e dispositivo, che il rendiconto doveva riguardare l’intera gestione della cava e del cantiere nel periodo dalla costituzione della società di fatto e sino al suo scioglimento mediante scrittura privata del (OMISSIS). Ciò del resto è la conseguenza dell’accoglimento parziale della domanda introduttiva nel senso della limitazione del periodo cui riferire il rendiconto a quello corrispondente alla accertata durata della società.

12. Il secondo e il terzo motivo sono anch’essi infondati se si ha presente che l’ammissione della CTU con i poteri di acquisizione documentale e di rilevamenti fattuali che ha comportato è avvenuta proprio in considerazione della impossibilità da parte del ricorrente della resa del rendiconto.

13. Infine il quarto motivo di ricorso è inammissibile perchè consiste in una contestazione delle due CTU che non può non ritenersi improntata a una sostanziale richiesta di riedizione del giudizio di merito che rende evidente la non specificità e apoditticità delle censure di violazione di legge e non appare idonea a evidenziare un vizio della motivazione tale da inficiarne la esaustività e congruenza.

14. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 4.200 Euro di cui 200 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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