Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7962 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 22/11/2018, dep. 21/03/2019), n.7962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24946-2013 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PREFETTI 26, presso lo studio dell’avvocato O.S.,

rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOACCHINO

ROSSINI 18, presso lo studio dell’avvocato GIOIA VACCARI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, UFFICIO DI ROMA (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 450/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 03/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/11/2018 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA.

Fatto

RITENUTO

che:

O.S. impugnava la cartella esattoriale n. (OMISSIS), con cui veniva richiesto il pagamento della somma di Euro 124.732,31, per IRPEF ed IRAP, add.le Regionale all’IRPEF ed IVA, riguardante l’anno di imposta 2001.L’atto impositivo era stata emesso, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, a seguito di sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 124/20/08, relativa alla impugnazione della cartella di pagamento n. (OMISSIS), che aveva accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la decisione n. 401/46/06 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Il contribuente eccepiva la prescrizione della pretesa erariale e del conseguente diritto alla riscossione, vizi per invalidità derivante dalla precedenti cartelle di pagamento, difetto di motivazione e, con riferimento all’IRAP, l’insussistenza del presupposto impositivo. L’adita Commissione respingeva il ricorso. Il contribuente spiegava appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con sentenza n. 450/14/13, respingeva il gravame. O.S. ricorre per la cassazione della pronuncia, svolgendo quattro motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione della causa. Equitalia Sud S.p.A. si è costituita con controricorso. O.S. ha depositato, in data 16 novembre 2017, copia dell’ordinanza n. 25851 del 2016 di questa Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che il giudice di secondo grado, non pronunciandosi sul merito delle questioni, avrebbe palesemente violato le norme indicate nella rubrica giudicando il profilo della totale inesistenza della cartella di pagamento impugnata in primo grado, per omessa notificazione nelle forme e nei modi ex lege previsti. Parte ricorrente lamenta che l’atto impositivo gli è stato semplicemente inviato a mezzo di servizio postale, senza la fondamentale compilazione della relata di notificazione, con la conseguenza che sarebbe mancato del tutto un momento fondamentale del procedimento notificatorio, non surrogabile in alcun modo dall’ufficiale postale.

1.1. Il motivo è infondato. Questa Corte ha precisato che: In tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo provi di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione” (Cass. n. 15795 del 2016). Con riferimento alla necessità di redigere una relata di notificazione, è stato chiarito che: “La notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal cit. art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. n. 6395 del 2014; Cass. n. 4567 del 2015; Cass. n. 20918 del 2016).

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione delle norme concernenti la prescrizione del diritto alla riscossione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che il giudice di secondo grado, non pronunciandosi sul merito della vicenda, le ha violate. Parte ricorrente argomenta che la pendenza del processo tributario, per espressa previsione, non ha alcun effetto sospensivo ovvero interruttivo, e che pertanto, l’Amministrazione finanziaria non poteva rimanere inerte ed aveva l’obbligo precipuo di notificare, anche nelle more dei giudizi, un atto interruttivo del termine prescrizionale. L’efficacia esecutiva della prima cartella di pagamento (n. (OMISSIS) per cui penderebbe ricorso per cassazione), notificata in data 13 settembre 2005 al contribuente, non è stata mai sospesa, sicchè era onere dell’Amministrazione finanziaria ed, in particolare, del concessionario, nelle more dei giudizi, provvedere alla notificazione di un ulteriore atto interruttivo.

2.1. Il motivo è infondato.

O.S. ha impugnato la cartella di pagamento n. (OMISSIS), notificata il 28 gennaio 2011, relativa ad un ruolo iscritto dall’Agenzia delle entrate D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, a seguito di sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 124/20/08, favorevole all’Ufficio, emessa con riferimento alla cartella n. (OMISSIS) (anno di imposta 2001) ed avverso tale pronuncia, al momento della proposizione del ricorso, pendeva ricorso per cassazione n. 24421 del 2009successivamente definito con sentenza di questa Corte n. 2621 del 2016. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1, prevede la riscossione frazionata del tributo solo per le somme determinate a seguito di una sentenza tributaria di merito in pendenza del processo, presupponendo l’intervento di una sentenza non ancora definitiva (Cass. n. 17904 del 2013). Questa Corte ha affermato il principio, secondo cui: “La riscossione frazionata dei tributi in pendenza del processo, prevista dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, presuppone che sia intervenuta una sentenza non definitiva ed è possibile anche se non consentita dalle singole leggi di imposta, in quanto la norma, per la collocazione all’interno del capo VI) ed il tenore della rubrica, disciplina in modo esaustivo l’esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie, con la conseguenza che il divieto di riscossione frazionata, previsto dalla normativa di settore, opera soltanto fino al momento della pronuncia.”(Cass. n. 7831 del 2010). Trattandosi perciò di un sistema a sè stante di riscossione (appunto “frazionata”), non è chi non veda che è infondato l’assunto di parte ricorrente che presuppone una sorta di commistione di termini, in ragione del quale il dies a quo per l’esercizio del potere riscossivo dovrebbe fissarsi comunque in correlazione con il provvedimento impositivo, per quanto l’esecuzione trovi titolo nell’emissione della sentenza giudiziale, quindi non vi è neppure ragione di ancorare cronologicamente detta potestà esecutiva con la vicenda connessa alla dichiarazione ed all’accertamento della consistenza degli obblighi impositivi (ex art. 36 bis).

Ne consegue che nessun termine prescrizionale e/o decadenziale deve ritenersi maturato, tenuto conto che la pretesa fiscale si fonda sulla sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 124/20/2008, e la notifica di una cartella di pagamento (o di una ingiunzione fiscale) è causa di interruzione della prescrizione, mentre l’impugnazione del ruolo o della cartella di pagamento o dell’ingiunzione fiscale è causa di sospensione.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata, con riferimento alla pretesa impositiva avente ad oggetto l’Irap, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, nonchè degli artt. 3,23,53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, atteso che i giudici di appello, non pronunciandosi sul merito delle questioni avrebbero, altresì, violato la normativa sopra indicata sotto il profilo dell’erronea ritenuta sussistenza del presupposto impositivo per cui è causa, il quale è costituito dalla presenza di una autonoma organizzazione. Parte ricorrente eccepisce, inoltre, che il cit. D.Lgs. n. 446 del 1997, istitutivo dell’IRAP, sarebbe violativo dei precetti contenuti negli artt. 3,23 e 53 Cost..

4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata denunciando omessa motivazione circa punti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 65. Parte ricorrente sostiene l’evidente erroneità della impugnata sentenza nella parte in cui non avrebbe affrontato l’esame delle questioni di merito sottoposte allo scrutinio della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, ritenendole esse oggetto della futura disamina da parte della Corte di Cassazione, in tal modo incorrendo sia nel vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia nella violazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 65.

5. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.

La cartella di pagamento oggetto del presente giudizio è relativa ad un ruolo iscritto dall’Agenzia delle entrate del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, a seguito di sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 124 del 2008, pubblicata il 17 settembre 2008, che il contribuente ha impugnato con ricorso per cassazione n. 24421 del 2009, rigettato da questa Corte con sentenza n. 2621 del 2016. Ne consegue che le doglianze proposte con riferimento alla pretesa tributaria sono coperte dal predetto giudicato. Infine, con riferimento alla controversia in esame, nessuna rilevanza può avere l’ordinanza n. 25851 del 2016 di questa Corte, riferita ad altra fattispecie ed altra annualità di imposta.

6. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite a favore della parte costituita, che liquida in complessivi Euro 5600,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 1992, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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