Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7958 del 28/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 28/03/2017, (ud. 30/09/2016, dep.28/03/2017),  n. 7958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5387/2015 R.G. proposto da:

D.L.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefania

Votano, con domicilio eletto in Roma, viale Mazzini, n. 123, presso

lo studio dell’avv. Stefania Votano;

– ricorrente –

contro

T.O., ANCHE IN QUALITA’ DI GENITORE DI T.G.

NATA IL (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandra

Rosati e Gianfranco Dosi, ed elettivamente domiciliata in Roma, Via

Nomentana, n. 257, presso lo studio del secondo;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, Sezione per i

Minorenni, n. 4960/2014, depositata in data 25 luglio 2014.

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 30 settembre

2016 dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per il controricorrente l’avv. Alessandra Rosati;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott.Ssa Francesca Ceroni, che ha concluso per l’inammissibilità,

o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata in data 5 giugno 2012 il Tribunale di Roma, accogliendo la domanda proposta da T.O. in rappresentanza della figlia T.G., nata il (OMISSIS), dichiarava che D.L. era il padre della predetta minore.

2. Con la stessa decisione veniva posto a carico del convenuto un contributo mensile di Euro 1.500,00, da rivalutarsi in base agli indici Istat, oltre al 50 % delle spese straordinarie, mentre veniva rilevata l’inammissibilità della domanda relativa al rimborso delle spese sostenute in precedenza per il mantenimento della bambina, in quanto non avanzata direttamente dalla madre, ma in nome e per conto della figlia minore.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe La Corte di appello di Roma ha rigettato le impugnazioni proposte dal D. e, in via incidentale, dalla T., compensando le spese di lite.

4. Per quanto in questa sede rileva, la conferma del giudizio inerente alla sussistenza del rapporto di filiazione è stata fondata essenzialmente sulla valutazione del comportamento processuale del D., il quale, dopo aver dichiarato che intendeva sottoporsi alle prove genetiche, non si era presentato al consulente tecnico d’ufficio all’uopo nominato per consentire il prelievo, facendo pervenire la copia di un’analisi genetica effettuata da un laboratorio di (OMISSIS) su un campione asserita mente prelevato alla presenza di un notaio e di due testimoni, che non veniva utilizzato, anche per l’opposizione del difensore della T., per effettuare la comparazione. A tale riguardo la corte distrettuale ha ritenuto corretta tale scelta, rilevando che mancavano le necessarie garanzie circa la correttezza dell’analisi eseguita e, soprattutto, dell’identità del campione prelevato alla presenza del notaio argentino e quello esaminato nel laboratorio di (OMISSIS).

E’ stata quindi attribuita al comportamento del D. una valenza confermativa della fondatezza della domanda, tenuto altresì conto delle contraddittorie risposte rese dal predetto in merito ai propri rapporti con T.O. e della valutazione complessiva delle deposizioni testimoniali acquisite.

5. Per la cassazione di tale decisione il D. propone ricorso, affidato a due motivi, cui la parte intimata resiste con controricorso.

Sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione degli artt. 269, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente si duole del rilievo attribuito al rifiuto di sottoporsi all’esame genetico, senza considerare che era stato depositato un profilo genetico acquisito con modalità attestanti in maniera attendibile la genuinità dell’acquisizione del campione.

2. Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha esaminato la questione inerente al deposito, nell’interesse del ricorrente, di un profilo genetico indicato come proprio, ed ha considerato tale dato assolutamente inattendibile, sia in assenza di garanzie sulla correttezza dell’analisi eseguita nella città di (OMISSIS), sia in considerazione della mancanza di una prova certa in merito all’identità tra il campione biologico prelevato alla presenza del notaio argentino e quello successivamente esaminato.

Tale aspetto, per altro non adeguatamente censurato (il ricorrente si è limitato ad asserire che il profilo genetico sarebbe stato ottenuto “secondo una rigida catena di custodia”), comporta l’insussistenza del denunciato vizio motivazionale, atteso che nella specie risulta applicabile “ratione temporis” l’art. 360, comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso già chiarito da questa Corte (Cass., Sez. u., n. 8053 del 2014), secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione.

3. Al lume di quanto evidenziato appare evidente come il giudizio circa la ricorrenza nella specie di un rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami biologici sia stato validamente espresso, non potendo il deposito di un profilo genetico estratto, senza alcuna garanzia di veridicità e senza il rispetto del contraddittorio, in ambito extraprocessuale, ricondursi in un atteggiamento collaborativo. La corte territoriale, per altro, ha evidenziato che l’appellante, dopo il rifiuto del consulente di effettuare la comparazione sulla base della documentazione da lui prodotta ed il rinvio per la prosecuzione delle operazioni peritali, ancora una volta non si era reso disponibile per il prelievo.

4. La sentenza impugnata, che per altro ha valutato il rifiuto del ricorrente a sottoporsi agli esami disposti ai fini dell’accertamento in sede peritale della paternità nel contesto delle complessive risultanze probatorie acquisite (la deposizione de relato di un’amica dell’appellata, cui era stata riferito nell’immediatezza l’incontro con il D.; il comportamento processuale dello stesso, che aveva in un primo momento persino negato l’esistenza della relazione sentimentale), appare maggiormente conforme all’orientamento espresso da questa Corte al riguardo, soprattutto laddove si consideri che di recente è stato affermato il principio, che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, secondo cui nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre e della portata delle difese del convenuto. Pertanto, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’accertamento giudiziale della paternità e maternità, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici, considerando il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti (Cass., 24 luglio 2012, n. 12971; Cass. 30 maggio 2014, n. 12194).

5. Il secondo mezzo, con cui la violazione delle norme già indicate nel primo motivo viene prospettata sotto il profilo di un erroneo esame delle risultanze probatorie, anche con riferimento al giudizio di inattendibilità in merito alla testimonianza resa dal fratello del ricorrente, è palesemente inammissibile.

Il ricorrente in effetti non denuncia alcuna violazione del paradigma normativo delle norme di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., apparendo i motivi piuttosto finalizzati ad ottenere una diversa e più favorevole valutazione del materiale probatorio, riservata al giudice del merito.

6 – In realtà, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c.. A tal fine vale bene ribadire che tale norma prescrive che il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti. La sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è concepibile solo se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria, ovvero se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando detta norma (cfr. Cass. n. 13960 del 2014; Cass., 20119 del 2009).

6.1. Il tema, quindi, è sostanzialmente incentrato sul vizio di motivazione, che, come sopra evidenziato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.

Le Sezioni unite, nella decisione sopra indicata, hanno soggiunto che: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. Ne consegue che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo riconducibile nè nel paradigma del n. 5, nè in quello del n. 4, non trova di per sè alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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