Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7953 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. I, 31/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 31/03/2010), n.7953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6062/2008 proposto da:

PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL

TRIBUNALE DI ROMA;

– ricorrente –

contro

M.R., G.E., LIQUIDAZIONE FEDERCONSORZI;

– intimati –

sul ricorso 9313/2008 proposto da:

M.R. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 29, presso l’avvocato DI GRAVIO DARIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIPRIANI FRANCO,

giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale

condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA, G.

E., LIQUIDAZIONE FEDERCONSORZI;

– intimati –

sul ricorso 11129/2008 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso l’avvocato SASSANI BRUNO NICOLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VACCARELLA ROMANO,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale

condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA, M.

R., LIQUIDAZIONE FEDERCONSORZI;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 28/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

uditi, per il controricorrente e ricorrente incidentale, gli Avvocati

BRUNO SASSANI e ROMANO VACCARELLA che ha chiesto l’infondatezza del

ricorso principale o l’accoglimento dell’incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale M.

R., l’Avvocato BRUNO SASSANI, con delega, che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale o l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per, previa riunione,

declaratoria di inammissibilità per carenza di legittimazione attiva

di parte ricorrente ovvero rigetto del ricorso principale con

assorbimento dei ricorsi incidentali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 10.7.2006 la società Proppy s.r.l. chiese al Tribunale fallimentare di Roma la risoluzione del concordato preventivo Federconsorzi.

Costituitisi la procedura, a ministero dell’Avv. G.E., ed il liquidatore, assistito dall’Avv. M., ma non il P.M. al cui ufficio era stata data comunicazione del procedimento, la domanda venne respinta con decreto 7-16.112006 che condannò la Proppy s.r.l.

al pagamento delle spese di lite in Euro 150.000, somma indi ridotta ad Euro 50.000 dalla Corte d’appello in sede di reclamo proposto dall’anzidetta società ai sensi della L. Fall., art. 22, avverso il decreto che aveva respinto la sua istanza di risoluzione.

Il giudice delegato, con decreto del 19.12.2006, determinò la misura delle competenze professionali spettanti ai detti professionisti in Euro 500.000 ciascuno per l’opera prestata nel procedimento di risoluzione della procedura.

Il P.M. presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma impugnò il decreto con reclamo proposto a mente della L. Fall., art. 26, innanzi al Tribunale di Roma che, con decreto depositato il 28.1.2008, lo ha dichiarato inammissibile, rilevando il difetto della legittimazione attiva dell’organo reclamante. Ha sostenuto che la sua partecipazione necessaria alla procedura di concordato non implica il potere d’agire ed impugnare tutti gli atti, anche liquidatori ed autorizzatoli, emessi dal g.d. nel corso di essa. La legittimazione è limitata all’impugnazione dei provvedimenti di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice previsto dalla L. n. 319 del 1990, cui non è omologabile il decreto in discussione.

Il P.M. presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ricorre per cassazione avverso tale provvedimento con unico articolato motivo.

Hanno resistito con controricorso entrambi gli intimati i quali hanno proposto a loro volta ricorso incidentale condizionato non resistito dal ricorrente principale e depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Gli altri intimati non hanno invece spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si dispone la riunione del procedimenti in quanto i ricorsi si riferiscono al medesimo provvedimento. Il ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 161, 162 e 179, ed errata interpretazione della L. n. 319 del 1980. Premessa l’ammissibilità del ricorso in ragione degli effetti che il decreto impugnato dispiega su diritti soggettivi di ordine patrimoniale, sostiene che, attesa la natura del proprio intervento nella procedura di concordato, sicuramente necessario alla luce del quadro normativo in rubrica, non può dubitarsi della sua legittimazione attiva a reclamare avverso il decreto in discussione a mente dell’art. 72 c.p.c., comma 2. L’impugnazione nella specie ha ad oggetto la misura delle spese liquidate in favore dei professionisti indicati, ed è perciò destinata ad incidere sulla massa, alla cui tutela è preordinato il proprio intervento nella procedura. In altra prospettiva l’impugnazione è comunque ammissibile essendo la legittimazione all’impugnazione attribuita all’ufficio del P.M. in linea generale nei procedimenti camerali – art. 742 c.p.c.. La legittimazione del proprio ufficio, che il tribunale fallimentare ha ammesso in materia di liquidazione del compenso agli ausiliari effettuata dal giudice ai sensi della L. n. 319 del 1980, art. 11, stante l’identità delle sottostanti situazioni, va estesa in ogni altro caso in cui il giudice delegato liquidi competenze spettanti ad altri soggetti a mente della L. fall., art. 25, n. 7. Ciascuno dei resistenti ha replicato deducendo l’inammissibilità del ricorso in plurimi profili, ribadita anche nei ricorsi incidentali.

In ordine logico:

1.- Si sostiene anzitutto che la natura ordinatoria e non decisoria del provvedimento impugnato, che avrebbe esaurito la sua efficacia all’interno della relazione fra la procedura liquidatoria ed il professionista e sarebbe insuscettibile di acquistare carattere di definitività, non ne ammette l’impugnazione in questa sede.

Questa eccezione è infondata.

La statuizione assunta col provvedimento impugnato investe il decreto emesso dal giudice delegato nell’esercizio della competenza esclusiva che la L. fall., art. 25, n. 7, nel precedente regime attribuisce a suddetto organo laddove ne prevede la competenza a liquidare i compensi per l’opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, che rappresenta esplicazione di potere che, come si afferma con orientamento consolidato cui s’intende dare continuità, “lungi dall’assumere carattere meramente ricognitivo, si concreta attraverso un provvedimento di natura giurisdizionale destinato a statuire sul diritto soggettivo dell’incaricato alla determinazione del suo compenso in maniera irretrattabile e con gli effetti propri della cosa giudicata”. Il corollario rende impugnabile suddetto provvedimento nell’ambito della procedura attraverso il rimedio endofallimentare del reclamo previsto dalla L. Fall., art. 26 (Cfr.

nn. 19888/2005, 13482/2002 e più di recente Cass. n. 15671/2007), e la conseguente decisione mediante il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., attesa l’indubbia natura d’accertamento del credito, già sorto per effetto dell’atto di nomina, nella parte in cui determina la misura del compenso, che è quella ora in discussione, sia per ciò che riguarda il corrispettivo delle prestazioni sia per quanto attiene alle spese da rimborsarsi.

2.- Si sostiene che il P.M. non ha legittimazione ad interloquire nella fase di amministrazione del concordato preventivo, in quanto, come si assume nel provvedimento impugnato, non esiste una sua legittimazione immanente all’intera procedura. L’obbligo di trasmettere la domanda di concordato all’ufficio del P.M. previsto dalla L. Fall., art. 162, nel testo ante-riforma, contrariamente all’assunto del ricorrente, che spende tale previsione quale argomento decisivo per affermare la propria legittimazione, impone la partecipazione dell’organo pubblico alla mera fase giudiziale, entro il cui ambito si esaurisce, ma non anche all’amministrazione della procedura. Si soggiunge che peraltro il decreto del giudice delegato venne assunto non all’interno, ma al di fuori della procedura di concordato, nei confronti di parti diverse da quelle confliggenti.

S’intende così contrastare la tesi del ricorrente che ha prospettato il nodo controverso innestando il decreto del giudice delegato di cui si discute nell’alveo della procedura di concordato preventivo, e, in logica coerenza, occorrendo far riferimento alla condivisa precedente disciplina benchè suddetto decreto sia stato assunto in data 9.12.2006 nel vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006, giusta il disposto della norma transitoria contenuta nell’art. 150 del menzionato D.Lgs. n. 5 del 2006 che esclude l’applicabilità del nuovo tessuto normativo alle procedure di fallimento e di concordato pendenti alla data del 16.6.2006 in cui è entrato in vigore, ne individua la soluzione correlando lo scrutinio sulla sua legittimazione a proporre il reclamo innanzi al tribunale fallimentare alla natura del suo intervento nella procedura considerata. Pacifico che tale partecipazione è necessaria, a pena di nullità, il ricorrente sostiene che il suo potere d’impugnazione trova la sua fonte nella tutela dell’interesse della massa, e non può quindi ricondursi ai limiti di cui alle disposizioni del codice di rito.

L’eccezione merita accoglimento con le precisazioni che seguono.

Certamente è corretto assumere che fonte pacifica della natura obbligatoria della partecipazione del P.M. alla procedura di concordato è la disposizione dell’art. 162, che nel testo previsto dal R.D. n. 267 del 1942, ne disponeva l’acquisizione del parere sulla domanda di concordato rendendone necessaria la partecipazione, testualmente in tale fase d’ingresso alla procedura e per le successive fasi fino all’omologazione, seppur a seguito di comunicazione dei singoli atti d’impulso delle parti (Cass. nn. 4699/1992, 11439/1992, da ultimo Cass. n. 13357/2007 che ha però escluso che fosse litisconsorte necessario nel giudizio di risoluzione del concordato). Tanto a fine di giustizia, per concretizzare la garanzia dell’interesse generale al corretto ingresso ed al conseguente corretto svolgimento della procedura esdebitatoria, fine che è comunque rimasto immanente al sistema concorsuale anche dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 169 del 2007, che tuttora consacra la partecipazione del P.M. alla procedura in discorso, seppur “facoltativa”, scandendola in ben diverso assetto che ne delinea, nei casi indicati – artt. 162, 173 e 180 – un ruolo propulsore esplicantesi nell’iniziativa necessaria a provocare l’intervento non più ufficioso del tribunale.

E’ invece errata l’enucleazione di tale forma d’intervento dal contesto sistematico del codice di rito, che il ricorrente propugna in ragione della peculiarità dell’interesse che lo sottende, dal momento che le disposizioni processuali ordinarie prevedono attribuzioni e funzioni che il P.M. può esercitare nel “processo”, e non può dubitarsi che la procedura fallimentare rappresenti un processo esecutivo.

L’intervento di cui si discute rientra(perciò, quanto alla sua natura nel paradigma dell’art. 70 c.p.c., comma 1, che prevede al n. 5 tra i casi tassativi d’intervento necessario del P.M. quelli previsti dalla legge, e in materia d’impugnazione, nel disposto dell’art. 72 c.p.c., commi 1 e 3, che non legittima il predicato automatismo, fonte d’indiscriminata legittimazione del detto organo all’impugnazione, ma circoscrive l’esercizio di tale potere, per quel che rileva, entro il limite della materia in cui può esercitarsi il diritto d’azione del P.M., sicuramente insussistente nel concordato preventivo. La L. Fall., art. 160, nella sua originaria così come nell’attuale formulazione non attribuisce al P.M. il potere d’attivare la procedura, nè, in un sistema, quale quello previgente, in cui era previsto il fallimento d’ufficio nei casi di infausto esito della procedura, l’eventuale segnalazione da parte del P.M. al tribunale fallimentare, seppur fosse stata ritenuta ammissibile, avrebbe potuto qualificarsi atto d’impulso espressione di un potere d’azione.

La disposizione contenuta nella L. Fall., art. 26, espressamente richiamata dalla L. Fall., art. 164, nell’ambito della procedura di concordato preventivo, che legittima al reclamo “chiunque vi abbia interesse”, deve pertanto essere letta in coerenza con il sistema ordinario, alla cui regola non può derogare. La legittimazione dell’organo pubblico non può dunque trarre titolo dalla predicata sussistenza di un interesse generale immanente alla procedura. Questo interesse è un “quid pluris” rispetto a quello della massa che ha invece titolo a reclamare se ritiene che il provvedimento del giudice delegato arrechi pregiudizio ai suoi interessi.

Si rileva a conforto che il P.M. non rientra nel novero dei soggetti legittimati a proporre opposizione all’omologazione del concordato, tassativamente indicati nella L. Fall., art. 80, nè tra i soggetti legittimati all’appello contro la sentenza di omologazione di cui al successivo art. 183.

Ancora improprio è il richiamo al disposto dell’art. 740 c.p.c., che prevede la legittimazione del P.M. al reclamo contro i provvedimenti in cui è necessario il suo parere, che il successivo art. 742 bis c.p.c., estende a tutti i procedimenti camerali. Il reclamo ha avuto ad oggetto decreto monocratico, che non è stato emesso a conclusione di un siffatto tipo di procedimento; alla sua dialettica, articolatasi esclusivamente tra gli organi della procedura assistiti dai difensori officiati e questi ultimi, è rimasta estranea, perchè non prevista, ogni interlocuzione del P.M, il cui parere non è stato chiesto perchè non espressamente previsto. Coesistono nel suddetto decreto la natura giurisdizionale, di cui si è detto in premessa, nella parte in cui accerta il credito del difensore, e la natura esecutiva, espressione dell’espletamento della funzione di amministrazione della procedura tutta interna alla dinamica giudice delegato-liquidatore, in cui è entrato il solo difensore, in quanto direttamente interessato.

Il decreto impugnato, la cui conclusione si pone in tale tracciato, è dunque immune da critica. Risulta parimenti corretto laddove esclude l’applicabilità al caso di specie del disposto della L. n. 319 del 1980, art. 11, che disciplina la liquidazione dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice ovvero del P.M. che ne ha disposto la nomina ed al comma 5 ammette il P.M. a proporre ricorso innanzi agli organi previsti. Le fattispecie divergono ontologicamente in quanto non sono riconducibili a medesimo standard strutturale. Il c.t.u., il perito, il traduttore o l’interprete, categorie considerate dalla L. n. 319 del 1980, sono ausiliari del giudice; pur non facendo parte dell’ufficio giudiziario, lo coadiuvano fornendogli la competenza tecnica opportuna ai fini della decisione, in funzione di terzietà, la stessa che giustifica l’applicazione della ricusazione ex art. 63 c.p.c..

Il difensore non opera in tale ambito, nè la sua mera designazione da parte del giudice delegato incide, snaturandola, sulla natura giuridica del suo rapporto con l’organo cui presta la propria assistenza tecnica. Non può pertanto trarsi alcuno spunto critico dall’enunciato di questa Corte n. 16396/2007 richiamato a conforto dal ricorrente che afferma la legittimazione del P.M., nell’ambito di un concordato preventivo, a reclamare il decreto del giudice delegato che abbia però pur sempre ad oggetto la liquidazione delle competenze spettanti a perito, c.t.u. ovvero ad altro ausiliare.

Resta assorbita ogni altra indagine introdotta con i ricorsi incidentali.

Tutto ciò premesso, il ricorso principale deve essere rigettato senza farsi luogo a pronuncia sul governo delle spese processuali non potendo l’ufficio del P.M. essere destinatario di pronuncia di condanna in caso di soccombenza (Cass. S.U. n. 5165/2004).

P.Q.M.

LA CORTE Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbiti i ricorsi incidentali.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

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