Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7952 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/03/2017, (ud. 10/03/2017, dep.28/03/2017),  n. 7952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Avvocato D.R., rappresentato e difeso da se medesimo, con

domicilio eletto nel suo studio in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ LA STELLA di V.M. e C. s.a.s., in liquidazione,

in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa, in

forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avvocato

Dimitri Goggiamani, con domicilio eletto nel suo studio in Roma, via

Trionfale, n. 7032;

– controricorrente –

e contro

R.S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5666/12 in data

13 novembre 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 marzo 2017 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il Tribunale di Roma, con sentenza n. 25309 del 2006, decidendo sulla domanda proposta dall’Avv. D.R. nei confronti di R.S.G. e della società La Stella di V.M. & C. s.a.s. in liquidazione, rigettava la domanda nei confronti della società R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, ex art. 68, (Ordinamento della professione di avvocato), convertito, con modificazioni, nella L. 22 gennaio 1934, n. 36, condannando solo il R.S., suo cliente, al pagamento delle somme da costui dovute per l’attività professionale svolta dal legale in una controversia di lavoro;

che, a tal fine, il Tribunale rilevava che la transazione tra il R.S. e la società La Stella era evento successivo al giudizio al quale aveva partecipato in qualità di difensore l’Avv. D., essendo intervenuta nella pendenza del giudizio di cassazione proposto dalla società La Stella avverso la sentenza della sezione lavoro del Tribunale, giudizio nel quale il R.S. era rimasto intimato;

che la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 13 novembre 2012, ha rigettato il gravame interposto dall’Avv. d.;

che la Corte territoriale ha osservato che, nel giudizio presupposto, sia il procedimento di primo grado che quello di appello si sono conclusi con una sentenza che ha provveduto a compensare le spese di lite tra le parti, e che la transazione intervenuta tra le parti è stata stipulata dopo le due sentenze, quando l’Avv. D. non aveva più alcun mandato per svolgere attività in favore del proprio cliente e pertanto nessun diritto alla solidarietà, mancando del tutto la prova che alla definizione della vertenza abbia contribuito l’attività svolta dall’appellante;

che la Corte d’appello ha altresì sottolineato che il cliente dell’appellante, R.S.G., non solo non si era costituito nel giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione, ma, nella pendenza del giudizio di appello, aveva addirittura revocato il mandato all’Avv. d. con raccomandata del 16 ottobre 1999;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il d. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 e il 30 gennaio 2013, sulla base di due motivi;

che l’intimata società ha resistito con controricorso, mentre il R.S. non ha svolto attività difensiva in questa sede;

che in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Considerato che con il primo motivo (R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 68; violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa motivazione) ci si duole – richiamando anche Corte cost. n. 132 del 1974 – che la Corte d’appello abbia escluso la solidarietà, leggendo restrittivamente il termine giudizio come “grado” dello stesso, senza considerare che la previsione del triennio contenuta nella citata disposizione orienterebbe nel senso che “tutti i difensori delle fasi, dei gradi, delle articolazioni del processo devono ricevere tutela, risalendo di tre anni alla attività giudiziale svolta”;

che il secondo motivo (rubricato “art. 85 c.p.c. – la revoca del mandato – diritto al compenso per le attività successive svolte – artt. 2233 e 2032 c.c. – art. 167 c.p.c. – eccezione svolta dall’obbligato in solido – violazione e falsa applicazione di legge – omessa motivazione”) lamenta che il giudice del merito abbia ritenuto che il R.S. avesse revocato il mandato all’Avv. D. durante il grado di appello, senza tenere conto che la revoca non ha effetto finchè non sia avvenuta la sostituzione del difensore: la lettera in data 2 marzo 2002 integrerebbe l’ipotesi della revoca della revoca, con sopravvivenza dell’originario mandato difensivo;

che i due motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati, anche se la motivazione in diritto della sentenza deve essere corretta;

che nella specie trova applicazione – ratione temporis – il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 68;

che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2^, 13 settembre 2004, n. 18343), ai fini dell’applicazione del citato art. 68, mentre la nozione di transazione della lite deve essere intesa nella più ampia accezione di ogni accordo che abbia l’effetto di estinguere la controversia senza l’intervento del giudice, presupposto ineludibile perchè il difensore possa far valere, per il pagamento degli onorari e per il rimborso delle spese, l’obbligo solidale della parte avversa al proprio cliente è la sussistenza di “un giudizio” nel corso del quale le parti stipulino la transazione che lo definisca, senza soddisfare le competenze del professionista;

che, tanto premesso, ha errato la Corte d’appello ad escludere la ricorrenza di tale presupposto nella transazione stipulata tra il lavoratore, cliente dell’Avv. D., e la società La Stella, datrice di lavoro, dopo che il giudizio tra le parti, nel quale l’Avv. D. aveva svolto il mandato difensivo, si era concluso in appello con sentenza avverso la quale la società datrice di lavoro aveva proposto ricorso per cassazione;

che, infatti, nella specie, al momento della stipula della transazione era in corso un processo effettivo ed attuale, il giudizio di cassazione, promosso su ricorso della società datrice di lavoro notificato il 17 febbraio 2003, a nulla rilevando che in quello il R.S., cliente del professionista, sia rimasto intimato, essendo comunque in atto un valido rapporto processuale ed un rituale contraddittorio;

che, d’altra parte, l’obbligo di pagamento degli onorari che, ai sensi dell’art. 68, della legge professionale, grava in via solidale su tutte le parti che hanno transatto, prescinde dalla persistenza del ministero professionale e sussiste anche nel caso di accordo stipulato senza l’ausilio dei patroni (Cass., Sez. U., 12 novembre 1992, n. 12203; Cass., Sez. 3^, 1 giugno 2006, n. 13135);

che, tuttavia, la sentenza della Corte d’appello fonda il rigetto del gravame e della pretesa di solidarietà anche su un’altra ratio, di per sè sufficiente a sostenere il decisum: sul rilievo, cioè, che all’Avv. d. il mandato era stato revocato con raccomandata del 16 ottobre 1999, ampiamente anteriore al triennio di cui all’art. 68 della legge professionale, essendo la transazione successiva alla notifica del ricorso per cassazione (avvenuta il 17 febbraio 2003);

che questa ulteriore ratio non è idoneamente contestata dal ricorrente;

che per un verso, infatti, si deduce che mancherebbe la prova della ricezione della raccomandata con cui la revoca del mandato è stata trasmessa, ma senza considerare che la lettera raccomandata anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituisce prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c., dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto (Cass., Sez. 1^, 19 agosto 2016, n. 17204);

che, per l’altro verso, si prospetta, genericamente, che vi sarebbe stata una revoca della revoca con la lettera 2 novembre 2002, ma di essa non si riporta il contenuto e neppure si indica l’esatta localizzazione negli atti del processo nel rispetto della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6;

che, infine, si deduce una persistenza del mandato professionale nonostante la revoca, ma senza considerare che il difensore al quale il mandato sia stato revocato dal cliente, mentre conserva, fino alla sua sostituzione, la legittimazione a ricevere gli atti indirizzati dalla controparte al suo assistito, non è più legittimato a compiere atti nell’interesse del mandante, atteso che la revoca ha pieno effetto tra il cliente ed il difensore e determina il venir meno del rapporto di prestazione d’opera intellettuale instauratosi con il cosiddetto contratto di patrocinio (art. 85 c.p.c.) (Cass., Sez. 3^, 13 febbraio 1996, n. 1085; Cass., Sez. 3^, 31 maggio 2013, n. 13858);

che il ricorso è rigettato;

che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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