Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7947 del 07/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2011, (ud. 20/12/2010, dep. 07/04/2011), n.7947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

GENCO CARMELA AUTOLINEE VIAGGI E TURISMO DITTA, in persona

dell’omonima titolare, Sig.ra G.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA N. 897, presso lo studio

dell’avvocato LICOPOLI TIZIANA, rappresentata e difesa dall’avvocato

RENDA LETIZIA MARIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1574/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 20/11/2006 r.g.n. 251/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato RENDA LETIZIA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

I.N. ha impugnato il licenziamento intimatogli da G.C. quale titolare dell’impresa individuale “Genco Carmela Autolinee Viaggi e Turismo” chiedendo la reintegra nel posto di lavoro e l’accertamento che il rapporto era iniziato nel 1992 e non gia’ nel 1993, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive e di indennita’ varie.

Il Pretore, ha accordato la tutela obbligatoria, in relazione al numero dei dipendenti impiegati dalla convenuta, ritenendo non identificabili in un unico centro di imputazione l’impresa individuale “Genco Carmela Autolinee Viaggi e Turismo” la S.r.l.

G.C. e figli, ed ha liquidato le differenze retributive sulla scorta di una consulenza tecnica.

Lo I. ha proposto appello lamentando l’erroneita’ della consulenza e chiedendo il pagamento delle maggiori somme dovute in relazione al periodo 1 aprile 1992 – 9 febbraio 1993 e delle 15 mensilita’ sostitutive del licenziamento, in applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18.

G.C. ha resistito proponendo appello incidentale sull’illegittimita’ del licenziamento e sull’epoca di inizio dell’attivita’ lavorativa.

Si e’ costituita anche l’appellata Genco Carmela e figli s.r.l ribadendo la propria estraneita’ ai fatti e la conseguente carenza di legittimazione passiva e concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata nella parte che la riguardava.

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza 20 novembre 2006, previo rinnovo della c.t.u., accogliendo per quanto di ragione l’appello principale, ha condannato G.C. quale titolare della “Genco Carmela Autolinee Viaggi e Turismo” al pagamento in favore di I.N. di Euro 9.106,30 oltre agli accessori, ha rigettato l’appello incidentale ed ha confermato nel resto la sentenza del primo giudice.

Per quanto ancora interessa, la Corte d’appello ha ritenuto illegittimo il licenziamento perche’ privo di giustificato motivo risultando smentita documentalmente, dalla nota 20 ottobre 1994 della Regione Calabria, committente del servizio, la circostanza dell’avvenuta soppressione della linea cui era addetto lo I..

In ogni caso, il datore di lavoro, che ne aveva l’onere, non aveva neppure offerto di provare l’impossibilita’ di adibire il lavoratore ad altro settore dell’azienda.

La Corte di merito, sulla base delle prove testimoniali ha poi confermato la decorrenza del rapporto di lavoro dall’aprile 1992 e non dal 10 febbraio 1993, data nella quale il lavoratore era stato regolarizzato.

Infine, la Corte, sulla base della nuova c.t.u. ha riliquidato le somme dovute allo I., tenendo conto anche di tale periodo ed emendando altri errori della ctu e della sentenza di primo grado.

G.C., quale titolare della ditta “Genco Carmela Autolinee Viaggi e turismo” chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

La parte intimata non ha svolto attivita’ difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 nonche’ vizio di motivazione per mancata adeguata valutazione della prova dell’impossibilita’ di una diversa utilizzazione del lavoratore in altre mansioni.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 437 c.p.c. per essere state ammesse solo in appello nuove prove e richieste istruttorie mai avanzate in primo grado, con riferimento alla disposta c.t.u contabile nonche’ vizio di motivazione sulla diversa determinazione delle somme riconosciute al lavoratore rispetto a quella del giudizio di primo grado.

Il terzo motivo di ricorso denunzia omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali dalle quali si e’ fatto discendere l’inizio del rapporto di lavoro del ricorrente dal 1 aprile 1992 anziche’ dal 10 febbraio 1993, come realmente avvenuto, anche alla luce della dichiarazione resa teste C. presso il quale lo I. prestava attivita’ lavorativa nel periodo in contestazione.

Il primo motivo di ricorso si conclude con il seguente quesito di diritto “Sancisca la Corte alla luce dei fatti esposti e delle norme di diritto invocate a quale principio di diritto la Corte d’appello dovra’ uniformarsi, nell’eventualita’ di cassazione con rinvio”. Il secondo motivo di ricorso si conclude con un quesito di diritto dello stesso tenore.

In relazione alla data di pubblicazione della sentenza il ricorso deve essere scrutinato anche alla luce dell’art. 366 bis c.p.c., disposizione successivamente abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 47, art. 47 a decorrere dal 4 luglio 2009, ma senza effetto retroattivo.

L’art. 366 bis, che richiede la formulazione di un quesito di diritto nei casi di ricorso fondato sull’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1 a 4 e’ stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali, che ne hanno definito le linee essenziali nei termini che seguono.

Caratteristica fondamentale del quesito e’ la sua formulazione in termini di sintesi logico-giuridica della questione, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. L’assenza di tale carattere si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneita’ a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie.

Sono pertanto inammissibili quesiti di carattere circolare o tautologico che gia’ presuppongono la risposta, ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso “sub iudice”, o che siano privi di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia.

Del pari inammissibili – ed e’ cio’ che specificamente rileva nel caso di esame- sono i quesiti di carattere generico e limitato alla riproduzione del precetto legislativo, essendo richiesto che nel quesito sia messo in luce l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. Sez. un. 9 luglio 2008, n. 18759; Sez. un. 25 novembre 2008, n. 28054; Sez. un. 18 luglio 2008, n. 19811; Sez. un. 27 marzo 2009, n. 7433).

Il quesito formulato dalla parte ricorrente, il realta’, non propone nessuna soluzione normativa ancorche’ meramente riproduttiva del testo di legge ma si limita a chiedere alla Corte di fare cio’ che essa deve fare comunque ossia di fissare il principio di diritto nel caso concreto, senza pero’ offrire alcuna indicazione su come il principio dovrebbe essere conformato.

La conclusione e’ che i primi due motivi sono palesemente inammissibili.

Il terzo motivo di ricorso indica, testualmente, il “fatto controverso e decisivo nella diversa decorrenza del rapporto di lavoro dello I., che la ditta datoriale ha sempre affermato risalire al 10 febbraio 1993 in perfetta coincidenza con la regolarizzazione dell’assunzione, mentre lo I. lo fa risalire a 10 mesi prima, vale a dire al 1 aprile 1992”.

Va ricordato in proposito che in relazione ai motivi di ricorso contenenti denunzia di vizi motivazionali la giurisprudenza, muovendo dalla constatazione che in tal caso, secondo l’art. 366 bis, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, si e’ orientata nel senso che la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ ossia un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (Cass. Sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 20 febbraio 2008, n. 4309; 7 aprile 2008, n. 8897; 30 dicembre 2009, n. 27680).

Il motivo in esame non contiene questo momento di sintesi, tale non potendo certo considerarsi il mero richiamo del tema del contendere e richiedendosi invece l’indicazione del fatto non valutato o valutato in modo illogico e che, invece, se valutato, o se valutato in modo logicamente soddisfacente, avrebbe con certezza, e non solo in termini probabilistici, portato a conclusione opposta a quella raggiunta dal giudice di merito.

In conclusione anche il motivo in esame e percio’ l’intero ricorso devono esser dichiarati inammissibili.

Non si deve pronunziare sulle spese perche’ l’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2011

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