Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7946 del 07/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 07/04/2011), n.7946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli ll.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MASSAROSA 3,

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO AMICI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato VIERI TOLOMEI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AVENANCE ITALIA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 150/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/07/2008 R.G.N. 506/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato AMICI GIANCARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 14 luglio 2008, la Corte d’Appello di Venezia accoglieva il gravame svolto da Avenance Italia spa contro la sentenza di primo grado, non definitiva, che aveva ritenuto revocato un primo licenziamento intimato a A.E. e illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto con conseguente tutela reale; e contro la sentenza definitiva che, disattesa l’eccezione sull’aliunde perceptum, aveva condannato la societa’ al pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento alla reintegrazione.

2. La Corte territoriale, a sostegno del decisum, riteneva che:

– la signora A. non aveva offerto, in primo grado, prove per dimostrare che il periodo di assenza, dal 1/3/2003 al 4/9/2003, fosse ricollegabile alla malattia che aveva precedentemente contratto per asserite ragioni lavorative;

– risultava, al contrario, dalle dichiarazioni della lavoratrice al giudice, rese in data 21/3/2007, che l’assenza di tale periodo fosse ricollegabile ad infortunio, circostanza assolutamente non chiarita in quel grado e per la quale avrebbe avuto certamente interesse, parte ricorrente, a dimostrare la riferibilita’ dello stesso a situazioni lavorative;

– sotto il profilo della riferibilita’, del periodo di assenza computato come superamento del comporto, a responsabilita’ datoriale ex art. 2087 c.c. nulla aveva offerto in termini probatori la parte che ne aveva l’onere e la certificazione medica in data 14/2/2003 – recante l’invito del medico curante al datore di lavoro ad astenersi dall’adibire la lavoratrice ad incarichi implicanti eccessivi sforzi tisici per l’arto superiore destro indipendentemente dalla ricezione o meno dello stesso, non aveva valenza, neppure indiziaria, indimostrato che la pregressa epicondilite fosse riferibile ad eventuali motivi lavorativi;

– nessun elemento collegava la pregressa epicondilite alla successiva assenza se non il mero ed irrilevante dato temporale del modesto intervallo tra la certificazione medica esibita al datore di lavoro (14/2/2003) e l’assenza (1/3/2003);

– quanto all’intempestivita’ della contestazione del licenziamento per superamento del comporto ed alla pretesa rinuncia derivante dal comportamento concludente del datore di lavoro, alla stregua dei termini indicati dal CCNL, rispetto al termine del 4/9/2003, il licenziamento del 20/11/2003 si collocava in una distanza temporale ragionevole in considerazione della struttura datoriale (occupante, nel territorio nazionale, oltre 4.000 lavoratori subordinati, circostanza incontestata);

superate le contestazioni relative al licenziamento per superamento del comporto e accertatane la legittimita’, dovevano considerarsi risolte le ulteriori e subordinate questioni relative alla permanenza della validita’ del primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, temporalmente anteriore come originaria irrogazione (il primo licenziamento salvo sospensioni e’ del 20/3/2003), ma considerato successivamente nei motivi di impugnativa del licenziamento, questione risolta dal primo giudice sul presupposto che lo stesso fosse stato, in termini impliciti o logici, revocato in quanto incompatibile con l’altro licenziamento per superamento del comporto, circostanza smentita per aver la societa’ attribuito ad un disguido tra diversi uffici l’intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (la cessazione dell’appalto) e l’intimazione del licenziamento per superamento del comporto;

– la legittimita’ del licenziamento per superamento del comporto permetteva di superare le questioni relative al licenziamento per giustificato motivo oggettivo poiche’, pur volendo ritenere implicitamente revocato quel licenziamento, comunque permaneva in vigore l’altro coevo.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la signora A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, illustrato con memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. La societa’ non si e’ costituita e non ha svolto attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia nullita’ della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per aver il giudice del gravame omesso di pronunciarsi sulla validita’ dell’atto di proroga del rapporto di lavoro fino al 31 dicembre 2003, inviato alla lavoratrice nello stesso giorno in cui le veniva intimato il licenziamento. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

5. Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non essere stata espressa in modo univoco e chiara la volonta’ di interrompere il rapporto per la contestuale manifestazione di volonta’ di prorogare il rapporto. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

6. Col terzo motivo la ricorrente denuncia omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in ordine al contraddittorio comportamento della societa’ quale ragione di illegittimita’ del licenziamento. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

7. Col quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non aver la Corte d’appello accertato il mancato rispetto dell’onere della prova previsto, ex lege, a carico del datore di lavoro nel caso in cui venuto a conoscenza delle condizioni di salute della lavoratrice e consapevole dell’incompatibilita’ con le mansioni affidate, non ha dimostrato di aver adottato tutte le misure idonee a tutelare l’integrita’ fisica del lavoratore. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

8. Occorre premettere che i motivi di appello concorrono a determinare l’oggetto del relativo giudizio e, per questo profilo, incidono sullo stesso esercizio del potere d’impugnazione, non potendosi considerare proposti all’esame del giudice del gravame i capi della sentenza di primo grado che non siano stati in concreto oggetto di specifiche censure nell’atto di appello. Nella specie, ai Giudici del gravame e’ stata devoluta l’erronea valutazione del primo Giudice in tema di onere probatorio in ordine alla riconducibilita’ della malattia della lavoratrice a condotta datoriale ex art. 2087 c.c. e, in subordine, la validita’ del primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo comportante in ogni caso la cessazione del rapporto di lavoro al termine dell’ultima proroga, in data 31 dicembre 2003.

9. I primi tre motivi di ricorso sono tutti incentrati, con profili diversi, sull’asserita contestuale e contraddittoria manifestazione di volonta’ del datore di lavoro di recedere o di dar seguito al rapporto. Invero, la sentenza impugnata non tratta della questione, se non in un mero passaggio motivazionale. La ricorrente, al fine d’evitare una declaratoria d’inammissibilita’ della questione in quanto non trattata nella fase di merito, avrebbe dovuto, da un lato, dimostrare di aver rivolto, al giudice del merito, una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, si’ da rendere necessaria ed ineludibile la pronunzia; dall’altro, riportare puntualmente, nel ricorso per cassazione, la domanda o eccezione, negli esatti termini e non con un generico ed indeterminato richiamo, indicando specificamente l’atto difensivo o il verbale d’udienza ove l’una o l’altra siano state trasfuse o proposte, onde consentire al giudice di verificarne ritualita’, tempestivita’ e decisivita’ delle questioni ivi prospettatevi.

10. La narrazione sviluppata nei motivi in esame accenna, con solo generici riferimenti, alle censure assertivamente mosse alla sentenza dei Giudici del gravame, senza alcun puntuale riferimento ai termini esatti della relativa deduzione in quel giudizio, onde il dedotto vizio di omessa pronuncia risulta del tutto inadeguato all’onere di specificita’ sopra richiamato, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, in relazione al principio d’autosufficienza del ricorso e, pertanto, sotto il profilo in esame, evidentemente inammissibile.

11. La deduzione dell’omessa pronuncia, configurando un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte e’ giudice anche del fatto, comporta che il potere-dovere del giudice di legittimita’ di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento, da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita alla Corte una loro autonoma ricerca, ma solo una loro verifica (ex multis, Cass. 21226/2010, Cass. 6361/2007).

12. Inammissibili sono, altresi’, le censure prospettate per i diversi profili dell’error in iudicando, per la violazione di norme di diritto sostanziale (art. 360 c.p.c., n. 3) e vizi della motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la prospettazione di tali vizi presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto.

13. Il quarto motivo di ricorso non merita accoglimento. Invero, la fattispecie del recesso del datore di lavoro – per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (c.d. eccessiva morbilita’) – si inquadra nello schema previsto ed e’ soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 c.c., che prevalgono – per la loro specialita’ – sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilita’ parziale della prestazione lavorativa (art. 1256 c.c., comma 2, e art. 1464 c.c.), sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali (L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970 e successive modifiche), con la conseguenza che, in dipendenza della prospettata specialita’ e del contenuto derogatorio di dette regole, il datore di lavoro, da un lato, non puo’ unilateralmente recedere o comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilita’ dell’assenza (c.d. periodo comporto) – predeterminato dalla legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi oppure, nel difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa – e, dall’altro, che il superamento di quel limite e’ condizione sufficiente di legittimita’ del recesso, nel senso che non e’ all’uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo (L. n. 604 del 1966, art. 3), ne’ della sopravvenuta impossibilita’ della prestazione lavorativa (art. 1256 c.c., comma 2, e art. 1464 c.c.), ne’ della correlata impossibilita’ di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (v., ex multis, Cass. 5413/2003).

14. Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro – in ipotesi di superamento del periodo di comporto – ove l’infermita’ sia, comunque, imputabile a responsabilita’ dello stesso datore di lavoro – in dipendenza della nocivita’ delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, che abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) o di specifiche norme, incombendo al lavoratore l’onere di provare il collegamento causale fra la malattia che ha determinato l’assenza e il superamento del periodo di comporto, e le mansioni espletate.

15. In applicazione degli esposti principi di diritto, la Corte territoriale ha ritenuto non imputabile a responsabilita’ del datore di lavoro la malattia della lavoratrice – che aveva determinato il non contestato superamento del periodo di comporto – essenzialmente in base al rilievo secondo cui non era risultato provato, dalla lavoratrice medesima, che il periodo di assenza dal 1 marzo al 4 settembre 2003 fosse ricollegabile alla malattia precedentemente contratta per asserite ragioni lavorative, essendo piuttosto emersa, in sede di interrogatorio libero, la riferibilita’ dell’assenza ad un non meglio precisato infortunio. Quest’ultima circostanza, come correttamente ritenuto dai Giudici del gravame, non solo non era stata chiarita in giudizio, ma la stessa parte ricorrente avrebbe avuto interesse a dimostrarne la riferibilita’ a situazioni lavorative, mentre nulla aveva offerto di provare. Inoltre, era risultata del tutto indimostrata la riferibilita’ a motivi lavorativi della pregressa epicondilite e correttamente la Corte territoriale ha escluso qualsivoglia valenza alla certificazione medica del 14 febbraio 2003, di cui si e’ detto nella parte narrativa.

16. Il ricorso, pertanto, va integralmente rigettato. Nulla per le spese non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2011

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