Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7944 del 20/04/2020

Cassazione civile sez. II, 20/04/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 20/04/2020), n.7944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 380/2016 proposto da:

C.L., e I.A., rappresentati e difesi

dall’Avvocato MARIA GRAZIA MANCINI, ed elettivamente domiciliati

presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Giangiacomo, in ROMA, VIA

AGOSTINO DE PRETIS 86;

– ricorrente –

contro

L.C., L.M. e

L.D., rappresentati e difesi dall’Avvocato GIOVANNI OSVALDO

PICCIRILLI, ed elettivamente domiciliati, presso lo studio dell’Avv.

Francesco A. Caputo, in ROMA, VIA UGOOJETTI 114;

– controricorrenti –

e contro

D.C.A., B.G., D.C.L.,

G.P., GA.SI. e CA.SA., rappresentati e

difesi dall’Avvocato NOBILE RANIERI, ed elettivamente domiciliati,

presso lo studio dell’Avv. Ida Di Domenica, in ROMA, VIA SUSA 1;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 721/2015 della CORTE d’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 28/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avv. MARIA GRAZIA MANCINI per i ricorrenti;

l’Avv. IMMACOLATA CARMELA D’ERRICO per delega dell’Avv. NOBILE

RANIERI per i controricorrenti D.C. e altri; nonchè l’Avv.

GIOVANNI OSVALDO PICCIRILLI per i controricorrenti L., i

quali hanno rispttivamente concluso come in atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 26.2.1999, L.C. (nato nel (OMISSIS)), premesso di essere proprietario del fondo, in Catasto al Foglio (OMISSIS) part. (OMISSIS), confinante con la part. (OMISSIS) di proprietà della IACOV S.R.L. e dei coniugi C. – I. e, sulla scorta di una perizia stragiudiziale giurata, da cui risultava che il muro realizzato a confine delle partt. (OMISSIS) sconfinava da un minimo di m. 0,8 a un massimo di m. 2,88 sulla part. (OMISSIS), dedotta l’incertezza della linea di confine tra i due fondi, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Chieti la IACOV s.r.l., C.L., I.A., L.C. (nato nel (OMISSIS)), D.C.A., B.G., D.C.L., G.P., GA.SI., CA.RE. e D.C.R., gli ultimi due nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore CA.SA. (oggi costituita in proprio), per sentir dichiarare che il muro posto a delimitazione dei fondi non costituiva linea di demarcazione tra gli stessi e veder accertata l’esatta linea di confine a mezzo di CTU, con la condanna dei convenuti Iacov s.r.l. e C. – I., previo arretramento del muro sulla corretta linea di demarcazione, a rilasciare la parte di terreno usurpata oltre la linea, nonchè dichiarare costruita a distanza non legale dal confine della part. (OMISSIS), e quindi abbattere, la gradinata esterna realizzata dai coniugi C. – I., nonchè l’inesistenza di qualsivoglia diritto reale di passaggio di tutti i convenuti sull’area usurpata.

Si costituivano in giudizio i coniugi C. – I. chiedendo il rigetto della domanda in quanto era stato l’attore a invadere la loro proprietà, per cui chiedevano la condanna del medesimo a restituire la porzione di terreno usurpata. In subordine, svolgevano domanda riconvenzionale di usucapione delle porzioni di terreno eventualmente accertate come usurpate sulla part. (OMISSIS), poichè l’area sottostante il muro era rimasta pacificamente nel loro possesso per il tempo utile a tal fine.

Si costituiva la Iacov s.r.l. eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, allegando che nelle more aveva alienato a terzi ogni diritto vantato sul terreno posto a confine con il fondo dell’attore e sui fabbricati che vi aveva realizzato.

Si costituivano in giudizio gli altri convenuti chiedendo il rigetto della domanda attorea. In via riconvenzionale, in caso di accoglimento della domanda stessa, chiedevano la demolizione della gradinata realizzata dai coniugi C. – I., sul rilievo che inibiva a essi condomini il passaggio con mezzi meccanici e sempre in subordine, nei confronti dell’attore, che fosse costituita una servitù coattiva di passaggio, pedonale e carrabile, sulla porzione di terreno dal medesimo reclamata, in favore del Condominio, invitando il Tribunale a quantificare l’indennità.

In corso di causa decedeva l’attore e si costituivano gli eredi L.C. (nato (OMISSIS)) e già costituito come convenuto), T.M.E., L.D., L.S. e CO.DI., gli ultimi due nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore LI.MA..

Con sentenza n. 694/2008 del 20.8.2008 il Tribunale di Chieti, espletata prova testimoniale e CTU, affermava il difetto di legittimazione passiva della Iacov s.r.l.; accertava l’esatta linea di confine tra i due fondi conformandosi alla CTU; verificava che era stata usurpata una porzione di terreno dell’attore e condannava i coniugi C. – I. ad arretrare il muro di contenimento nel rispetto delle distanze prescritte dall’art. 873 c.c., o dalle norme integratici richiamate dall’art. 572 c.c. (strumento urbanistico del Comune di Guardiagrele); ed a restituire la porzione di terreno occupata illegittimamente e ad arretrare la gradinata fino a m. 5 dalla linea di confine accertata.

Contro la sentenza proponevano appello i coniugi C. – I., i quali ribadivano che la linea di confine coincideva con il muro; eccepivano la nullità della CTU di primo grado, contestandola anche nel merito; contestavano l’attendibilità dei testi; eccepivano l’omessa considerazione, quanto alla gradinata esterna, delle deroghe dettate per le distanze dalla L. n. 13 del 1989, per l’accesso ai disabili; eccepivano essere viziata da ultrapetizione la sentenza del Tribunale, che aveva stabilito che il muro di contenimento avrebbe dovuto essere realizzato alla distanza di m. 5 dal confine; lamentavano che il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla loro eccezione di usucapione della striscia di terreno eventualmente usurpata.

Gli appellati, eredi dell’attore ( L.C., Ma., D. e M.) chiedevano il rigetto del gravame con la conferma della sentenza appellata, mentre gli altri appellati (e quindi i condomini D.C.A., B.G., D.C.L., G.P., Ga.Si., Ca.Sa., Ca.Re. e D.C.R.) chiedevano la conferma della sentenza nella parte in cui condannava i coniugi C. – I. all’arretramento della scalinata fino al rispetto delle distanze. Inoltre, con appello incidentale, chiedevano che le spese del primo grado fossero poste a carico dei coniugi C. – I. e con appello incidentale condizionato chiedevano che fosse comunque ordinata la demolizione della scala, per la parte in cui ostruiva il passaggio carrabile sull’area condominiale; in ulteriore subordine reiteravano la domanda di costituzione di una servitù coattiva di passaggio.

Con sentenza n. 721/2015, depositata in data 28.5.2015, la Corte d’Appello di L’Aquila – disposta la rinnovazione della CTU e chiamato l’esperto a rendere chiarimenti – in parziale accoglimento dell’appello principale, individuava la linea di confine come da planimetria che costituisce l’all. c) al supplemento di CTU, condannando le parti a restituire le porzioni di terreno illegittimamente detenute; condannava i coniugi C. – I. ad arretrare la scalinata fino al rispetto della distanza di 5 metri dal confine, individuato dalla CTU, condannando i medesimi al pagamento delle spese delle diverse CTU e, in ragione di 1/2, anche delle spese del doppio grado, liquidate in favore degli eredi del L.; liquidava per l’intero le spese dovute agli altri appellati per i due gradi di giudizio.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione C.L. e I.A. sulla base di quattro motivi; resistono i L. e gli altri condomini con rispettivi controricorsi. Le parti hanno depositati memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione dell’art. 950 c.c., comma 3, “Normale n. 16 del 18.3.1897, D.M. n. 28 del 1998 e C.M. n. 2/1988, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e inosservanza della giurisprudenza di legittimità, nella parte in cui la Corte territoriale non ha applicato il criterio delle tolleranze normative in operazione di riconfinamento catastale – Omessa motivazione – Violazione e falsa applicazione dell’art. 887 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di circostanza decisiva per la controversia””. Osservano i ricorrenti che il CTU, nominato in grado di appello (in sostituzione di quello nominato i pridal Tribunale) aveva concluso di doversi procedere a un riconfinamento catastale, ovvero al riconfinamento residuale previsto dall’art. 950 c.c., comma 3, operazione per la quale è implicito che si debbano considerare le “tolleranze normative”, ovvero le inevitabili imprecisioni cartografiche e strumentali, di cui ha fatto costante applicazione la giurisprudenza di legittimità e di cui anche la Corte territoriale avrebbe dovuto fare applicazione. Si censura inoltre la sentenza impugnata per aver recepito acriticamente le conclusioni del CTU, il quale, su sollecitazione degli appellati, aveva tenuto conto dello spessore del muro solo ipotizzato (ma mai misurato) di cm. 30, così maggiorando la superficie dell’area occupata da mq. 6,04 a mq. 9,53. La Corte territoriale era invece tenuta a correggere l’errore del CTU, in applicazione della norma di cui all’art. 887 c.c., comma 2, che, tra fondi a dislivello, come quello in oggetto, prevede che il muro deve essere costruito per metà sul terreno del fondo inferiore e per metà sul terreno del fondo superiore. Inoltre, la Corte di merito avrebbe dovuto integrare l’indagine del CTU con altre risultanze probatorie, sia documentali (attuale mappa in visura informatizzata) che testimoniali (teste I.E., che riferiva che l’attore era stato sempre presente alla costruzione del muro ed era sempre d’accordo su tutto).

1.1. – Il motivo non trova accoglimento.

1.2. – Va, innanzitutto rigettata l’eccezione, sollevata dai controricorrenti L., di inammissibilità del motivo medesimo, in ragione della sua formulazione generica e cumulativa, riferita contestualmente a presunte violazioni di legge, vizio di omessa motivazione, erronea valutazione delle risultanze processuali e omesso esame di circostanza decisiva per la controversia.

Ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. L’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, ma deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che (non tanto nella sintetica intestazione dei medesimi, quanto nella loro parte motivazionale) i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata posseggano (come risulta nella specie) i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). Ne consegue (altra essendo la valutazione, nel merito, della ammissibilità e fondatezza della singola censura) che si configurano argomentazioni sufficientemente intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015), che nel presente motivo di ricorso sottendono alla formulazione delle singole censure.

1.3. – Così, riguardo ai dedotti profili di omessa motivazione, ovvero di omesso esame, in ordine a circostanza decisiva per la controversia, ne va dichiarata la inammissibilità, giacchè la loro formulazione generica non consente di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde poter consentire un esame separato delle distinte presunte violazioni, senza peraltro considerare che la violazione per “omessa motivazione” non è più esistente, nè tanto meno ricorrono i profili di vizio assoluto di motivazione o di violazione di norme costituzionali (Cass. sez. un. 8053 del 2014). Peraltro, sul prospettato vizio per omesso esame di circostanza decisiva (rectius per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, applicabile ratione temporis) i ricorrenti non hanno indicato nè quale sarebbe stato il fatto decisivo non esaminato e la sede processuale in cui sarebbe stato introdotto, nè la sua incidenza risolutiva ai fini della causa. Laddove, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il sindacato sulla motivazione in sede di legittimità deve essere ridotto al minimo costituzionale e si deve trattare di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, in quanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame se il fatto storico rilevante sia stato comunque preso in considerazione dal Giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 19881 del 2014).

1.4. – Tuttavia, anche nel merito, non si configura alcuna violazione dell’art. 950 c.c., in quanto la Corte territoriale, in mancanza di altri validi elementi probatori, ha fatto appunto correttamente riferimento alle risultanze catastali e ai frazionamenti in atti, con l’ausilio della CTU rinnovata in appello e la motivazione della sentenza (che ne ha fatte proprie le condivise affermazioni) è logica ed esauriente (sentenza impugnata, pagg. 7-9). Laddove è, d’altronde, consolidato il principio per cui, nell’azione di regolamento di confini, la quale si configura come una vindicatio incertae partis, incombe sia sull’attore che sul convenuto l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all’individuazione dell’esatta linea di confine, mentre il giudice, del tutto svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur, deve determinare il confine in relazione agli elementi che gli sembrano più attendibili, ricorrendo solo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario (Cass. n. 10062 del 2018; Cass. n. 14993 del 2012).

Peraltro, va rilevato che nel ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve (come è dato rilevare nella specie) nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). Sicchè le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonchè la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013).

Nella specie, però, i ricorrenti non hanno specificato nel ricorso almeno detti punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, offrendo viceversa – nel contesto di un magmatico richiamo ai fatti di causa, tra cui anche quelli relativi ai molteplici accertamenti peritali susseguitisi nelle fasi del giudizio di merito – solo detta mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, che si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito (a tesi contrapposte) inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 24948 del 2018).

1.5. – Ciò vale anche riguardo alla dedotta violazione dell’art. 887 c.c., comma 2, che risulta infondata, in quanto nel ricorso non si evidenziano con la necessaria chiarezza le asserite ragioni per le quali avrebbe tale norma dovuto essere applicata e le modalità di applicazione della stessa, nel contesto del giudizio di regolamento di confini, che ha per oggetto l’accertamento quantitativo del diritto di proprietà con effetto recuperatorio della porzione di immobile posseduta illegittimamente dal confinante (Cass. n. 5603 del 2014).

Pertanto, le censure contenute nel motivo si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta al giudice di legittimità di una complessiva (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua delle sentenza impugnate (Cass. n. 1885 del 2018), mediante specificamente un riesame pressochè generale degli esiti delle indagini peritali svolte. Ciò, tuttavia, trascurando il fatto che rientra nelle prerogative del giudice del merito – nell’ambito dell’esame del materiale istruttorio acquisito nell’incarto processuale – selezionare le prove ritenute pertinenti e rilevanti ai fini del decidere.

Costituisce infatti principio consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova (quale è la relazione peritale, cui il giudicante può operare integrale riferimento ove ritenuta esente da censure) con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016; nonchè, in tal senso, Cass. n. 15927 del 2016).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 195 c.p.c. e art. 90 disp. att. c.p.c., u.c. e dell’art. 101 c.p.c., nonchè violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa disamina e motivazione di fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti”. I ricorrenti deducono di avere depositato le proprie osservazioni alla CTU, così mettendole a disposizione delle altre parti, mentre le parti appellate L. e il loro CTP, al contrario, avevano presentato osservazioni alla CTU inviandole esclusivamente all’Ausiliario del Giudice e omettendone la trasmissione alle altre parti del giudizio tramite pec o deposito in cancelleria. Viene richiamato l’art. 90 disp. att. c.p.c., in base al quale deve essere comunicata alle parti avverse copia degli scritti difensionali (tra i quali rientrano le osservazioni al CTU, come risulta dal combinato disposto dell’art. 194 c.p.c. e artt. 90,91 e 92 disp. att. c.p.c.). La grave omissione non avrebbe posto i ricorrenti e il loro CTP nelle condizioni di conoscere ogni richiesta e deduzione dell’altra parte e di formulare le proprie controdeduzioni, così violando il contraddittorio e le garanzie di cui all’art. 111 Cost.. Alla violazione commessa dalla parte appellata si aggiunge quella, anche in base al novellato art. 195 c.p.c., comma 3, del CTU, che ha dato risposta alle osservazioni senza verificare se fossero state portate a conoscenza delle altre parti, piuttosto che non tenerne conto come avrebbe dovuto fare.

2.1. – Il motivo non può essere accolto.

2.2. – Oltre a quanto affermato in ordine ai medesimi profili di inammissibilità già esaminati con riguardo alla formulazione del precedente motivo (v. sub 1.2. e 1.3.), il presente motivo è altresì inammissibile non risultando specificamente indicati gli atti processuali in cui sarebbe stata eccepita la pretesa nullità della CTU, e se essa sia stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, avendo tutte le nullità riguardanti l’espletamento della CTU carattere relativo e dovendo essere fatte valere nella prima udienza successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate. Questa Corte ha, infatti, affermato che le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicchè sono soggette al termine di preclusione di cui dell’art. 157 c.p.c., comma 2, dovendo, pertanto, essere denunciate – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass. n. 4448 del 2014; conf. Cass. n. 19427 del 2017).

Nel merito, poi, la contestazione della violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è infondata, poichè i ricorrenti censurano la condotta del CTU, asseritamente lesiva del contraddittorio, muovendo dalla evocazione dei principi sottesi al dato normativo del nuovo testo del predetto articolo, trascurando di considerare che il richiamato dell’art. 195 c.p.c., comma 3 (novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 5, in vigore dal 4.7.2009) si applica (ai sensi dell’art. 58 stessa legge) ai giudizi instaurati successivamente a tale data; e che, in precedenza, detto comma (applicabile ratione temporis nel giudizio de quo instaurato con atto di citazione notificato in data 26.2.1999) prevedeva esclusivamente che “La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa”.

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione della L. n. 13 del 1989, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e inosservanza della giurisprudenza di legittimità”. La Corte territoriale ha condannato i ricorrenti ad arretrare la gradinata fino al rispetto della distanza di m. 5 dal confine individuato, poichè che gli appellanti avrebbero dovuto dimostrare il consenso scritto prestato dagli altri convenuti condomini alla realizzazione della scala, avendo ad oggetto la rinuncia alla proprietà di un’area condominiale. Invece, i ricorrenti non erano tenuti a dare prova in quanto risulta pacifico che i D.C., B., G., Ga. e Ca. non sono proprietari dell’area interessata dalla gradinata, ma titolari del diritto di servitù di passaggio (lo stesso attore nell’atto di citazione riconosce la circostanza). La Corte di merito, inoltre, ha ritenuto che gli appellanti non avessero dimostrato di avere diritto a usufruire delle agevolazioni spettanti ai portatori di handicap. Anche in questo caso, i ricorrenti non erano tenuti a fornire la prova. Infatti, la gradinata era stata realizzata, su invito del Comune e in base a DIA n. 306/1998, per l’adeguamento dell’alloggio dei ricorrenti alla L. n. 13 del 1989 (art. 3) e in tal modo predisposta in base ai parametri stabiliti dalla legge per accogliere l’allocazione di qualsiasi macchinario utile all’accessibilità dei diversamente abili.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – La Corte distrettuale, nel rigettare le richieste per difetto di prova da parte degli appellanti di avere diritto alle agevolazioni spettanti ai portatori di handicap (sentenza impugnata, pag. 9), ha ritenuto assorbito il presupposto dell’idoneità dell’innovazione a eliminare le barriere architettoniche e non ha affermato, come erroneamente ritenuto dai ricorrenti, che una normale gradinata di accesso alle abitazioni dei condomini assolva a tale funzione e che essa possa rientrare nella fattispecie innovativa invocata erroneamente da controparte.

In sostanza, le opere funzionali all’eliminazione delle barriere architettoniche sono solo quelle tecnicamente necessarie a garantire l’accessibilità degli edifici privati e tali presupposti non ricorrono nella fattispecie, perchè, appunto ritenuti dalla Corte stessa come non provati (senza che ciò ridondi in termini di inversione dell’onere della prova). La qual cosa porta altresì ad escludere che la distanza da rispettare fosse di tre metri, anzichè di cinque metri, giacchè anche tale affermazione si fonda sul non provato presupposto che la scala in oggetto sia opera idonea a eliminare le barriere architettoniche.

4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione degli artt. 91,92 e 96 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla regolazione delle spese di lite”, lamentando che la Corte d’Appello abbia posto a loro carico le spese di CTU del doppio grado, per avere dato causa al giudizio. Invero, l’azione era stata promossa da L.C., tra l’altro, sulla base di una perizia stragiudiziale che veniva contraddetta da altri elaborati tecnici successivi ed i ricorrenti erano stati costretti a resistere in giudizio. Stante la reciproca soccombenza delle parti, accertata dallo stesso Giudice di secondo grado, tutte le spese di lite, incluse quelle di CTU, avrebbero dovuto essere compensate. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la condotta processualmente incoerente degli appellati.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – Quello della “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” è vizio non più denunciabile, in ragione della interventa novellazione del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con la formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 28 maggio 2015) che consente di denunciare in cassazione solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Inoltre, va rilevato che il giudizio de quo è stato introdotto con atto di citazione notificato il 26.2.1999, trovando quindi applicazione l’art. 92 c.p.c., nella sua formulazione all’epoca vigente, secondo cui: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti”. La giurisprudenza di legittimità è pacifica nell’affermare che la facoltà di compensare le spese di lite rientrava nel potere discrezionale del Giudice di merito, il quale non era tenuto a dare ragione con espressa motivazione, del mancato uso di tale facoltà.

Peraltro, sotto altro e generale profilo, va ribadito che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in sede di legittimità, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. n. 10681 del 2002), salva l’applicazione del principio della soccombenza, che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (fenomeno che non si è verificato nel caso in esame) (Cass. n. 22872 del 2018; Cass. n. 19613 del 2017).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore delle due parti controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida per ciascuna in complessivi Euro 3.000,00 oltre a Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario a ciascuna delle spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

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