Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7943 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/03/2017, (ud. 09/02/2017, dep.28/03/2017),  n. 7943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28576-2013 proposto da:

D.B.T., (OMISSIS), D.B.L. (OMISSIS),

D.B.P. (OMISSIS), D.B.C. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E GIANTURCO 1, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO LORIA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARDEA 27 C/O

ST. POMPONI, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MECHELLI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4708/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata il 13.9.1999, C.S. convenne T., P., L. e D.B.C. innanzi al Tribunale di Roma, per sentir dichiarare risolto il contratto preliminare di vendita di un terreno con annesso fabbricato in (OMISSIS), concluso il (OMISSIS) con la loro dante causa R.R., poi deceduta. Al riguardo, l’attore espose che all’atto del preliminare la R. era stata immessa nel possesso del fondo ma era rimasta inadempiente all’obbligo di pagamento del prezzo nelle forme stabilite dal contratto; e che, dopo la sua morte, neppure gli eredi vi avevano adempiuto, per contro realizzando una serie di opere modificative dello stato dei luoghi, difformi rispetto alla normativa edilizia ed urbanistica. Il C. concluse pertanto perchè, risolto il contratto, il Tribunale condannasse i convenuti alla restituzione dell’immobile, alla riduzione in pristino ed al risarcimento del danno. Si costituirono T., P., L. e D.B.C. e sostennero che il C. si era determinato a vendere il terreno per procurarsi parte della provvista necessaria ad estinguere numerosi debiti, garantiti da ipoteche sull’immobile, il quale era anche sottoposto a procedura esecutiva. Per tale ragione, la loro dante causa si era obbligata a pagare il prezzo in parte per contanti, in parte con compensazione di un proprio credito verso il C., in parte mediante accollo di una quota del debito di quest’ultimo verso una banca e per il resto mediante estinzione diretta di debiti vari verso terzi (al fine di provvedere alla definizione delle procedure esecutive ed alla cancellazione dei pignoramenti). I convenuti esposero, quindi, che la loro dante causa aveva interamente estinto il debito pecuniario, pagato pressochè per intero il debito verso la banca e soddisfatto alcuni terzi creditori; ma aveva successivamente interrotto i pagamenti in quanto il C. non comunicava ai creditori di averla autorizzata ad estinguere i suoi debiti nè l’aveva informata della situazione del suo residuo debito verso la banca, cosicchè la R. si sarebbe potuta trovare nella condizione di aver pagato il prezzo ma di aver comunque l’immobile sottoposto ad ipoteca. I convenuti rilevarono, infine, che con una seconda scrittura privata il C. aveva promesso in vendita una porzione di terreno della stessa proprietà, dietro integrale pagamento del prezzo. T., P., L. e D.B.C. conclusero chiedendo il rigetto della domanda e spiegando riconvenzionale onde ottenere il risarcimento del danno, l’esecuzione di entrambi i preliminari e la purgazione dell’immobile dalle ipoteche.

Con sentenza del 16.2.2006 il Tribunale di Roma rigettò tutte le domande proposte, dichiarando la nullità del preliminare, sia per l’indeterminatezza dell’oggetto (per ciò inteso tanto l’immobile promesso in vendita quanto il corrispettivo), sia, in ogni caso, perchè la promessa di vendita riguardava una costruzione edilizia abusiva.

T., P., L. e D.B.C. appellarono la sentenza; C.S. si costituì proponendo appello incidentale per l’accoglimento delle conclusioni formulate in primo grado. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4708 del 12 settembre 2013, respinse l’impugnazione principale ed accolse quella incidentale. A sostegno della loro decisione i giudici d’appello rilevarono anzitutto che il contratto preliminare (del quale la seconda scrittura costituiva mera integrazione) non era nullo, in quanto erano sufficientemente individuabili l’immobile promesso in vendita ed il relativo corrispettivo (ancorchè il versamento di quest’ultimo fosse stato previsto attraverso diverse ed articolate modalità esecutive) e la costruzione presente sul terreno era solo parzialmente difforme dalla concessione edilizia. Quanto alle rispettive contestazioni di inadempimento, poi, la Corte di Roma osservò che i convenuti avevano sospeso i pagamenti verso i terzi finalizzati all’estinzione delle procedure esecutive in corso, e ciò quantunque fosse dimostrata la disponibilità dei creditori a consentire l’estinzione del debito liberando l’immobile dalle formalità pregiudizievoli. La Corte d’Appello aggiunse che gli stessi promissari acquirenti avevano effettivamente realizzato ingenti opere edificatorie sul fabbricato preesistente – la cui costruzione era limitata alla struttura portante – in parte abusive e comunque senza alcuna autorizzazione da parte del C.. Ciò premesso, la Corte di Roma ritenne che tali condotte fossero contrarie al dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, e significative del fatto che i convenuti godevano pienamente del bene pur avendo versato una sola parte del corrispettivo, senza offrirne il saldo. Queste condotte, dunque, rivestivano un ruolo prevalente nel contesto delle prestazioni corrispettive e giustificavano la domanda di risoluzione del contratto, con conseguente ordine di liberazione dell’immobile e condanna dei promissari acquirenti alla riduzione in pristino delle opere realizzate.

Avverso tale decisione della Corte d’Appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione T., P., L. e D.B.C. sulla base di tre motivi. Resiste l’intimato C.S. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 1481 c.c., dolendosi del fatto che la Corte d’appello di Roma abbia attribuito importanza prevalente al loro inadempimento consistito nella sospensione del pagamento dei debiti del C. verso terzi. Tale condotta si giustificava invece, a dire dei ricorrenti, perchè il C. non aveva provveduto contemporaneamente ad estinguere il proprio debito, e perciò a collaborare per la liberazione dell’immobile; in tal senso i ricorrenti invocano la mancata applicazione della citata disposizione, che consente al compratore di sospendere le rate del prezzo quando abbia ragione di ritenere che la cosa possa essere anche in parte rivendicata da terzi.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 1455 c.c., assumendo che la Corte d’appello avrebbe in ogni caso errato nel ritenere la non scarsa importanza del loro inadempimento.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto la seconda scrittura privata come una mera integrazione del preliminare, così pronunziandone la risoluzione insieme a quest’ultimo, ancorchè R.R., loro dante causa, avesse interamente versato il corrispettivo della porzione di terreno che la riguardava.

I tre motivi di ricorso, per la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente e si rivelano infondati.

La Corte d’Appello di Roma ha stimato, nella comparazione delle reciproche inadempienze, prevalente quella della promissaria acquirente R.R. e dei suoi aventi causa T., P., L. e D.B.C. e ha perciò dichiarato risolto per colpa di costoro il contratto preliminare di vendita del (OMISSIS). A tal fine, i giudici dell’appello hanno ritenuto dimostrato che, a fronte degli obblighi assunti nella scrittura, la promissaria acquirente e i suoi aventi causa avessero: 1) versato soltanto nove rate di Lire 4.000.000 della porzione di mutuo accollatasi, pari a Lire 40.000.000; 2) solo parzialmente versato gli importi dovuti alla banche per procedere all’estinzione delle procedure esecutive ed alla cancellazione dei pignoramenti (Lire 6.000.000 alla BNA, Lire 6.000.000 alla BNL, Lire 1.633.004 alla Banca Nazionale delle Comunicazioni, a fronte di una complessiva esposizione debitoria di Lire 65.000.000, oltre interessi), senza offrire il pagamento del residuo; 3) realizzato varie opere di sbancamento e di costruzione, anche abusive, sull’immobile oggetto del preliminare.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la facoltà del compratore di sospendere il pagamento del prezzo, a norma dell’art. 1481 c.c., costituisce applicazione alla compravendita del principio generale “inadimplenti non est adimplendum”, di cui all’art. 1460 c.c., e perciò postula che l’esercizio dell’autotutela sia conforme a buona fede, dovendosi connotare il pericolo di perdere la proprietà per serietà e concretezza e risultare attuale, e non già soltanto come rischio ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo. Non ha rilievo, agli effetti dell’art. 1481 c.c., distinguere tra contratto di vendita, con immediato effetto traslativo, e contratto preliminare, atteso che la garanzia ivi prevista si correla al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato dal compratore, sì da comportare l’alterazione del sinallagma contrattuale. Tale garanzia opera indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione (Cass. 11/06/2013, n. 14648; Cass. 18/11/2011, n. 24340).

Tuttavia, nel contratto di compravendita, come in generale nei contratti con prestazioni corrispettive, ove attore e convenuto deducano in giudizio la sussistenza di inadempienze reciproche, in particolare ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio – incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato – di comparazione del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e dell’incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. Il giudice non deve, quindi, isolare singole condotte di una delle parti, per stabilire se costituiscano motivo di inadempimento, a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti (Cass. 09/01/2013, n. 336; Cass. 18/09/2015, n. 18320). Non è quindi consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche del venditore e del compratore, di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell’art. 1460 c.c. o dell’art. 1481 c.c., in favore di entrambe le parti, dovendo comunque addebitarsi l’inadempimento esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto (Cass. 11/06/2013, n. 14648).

Ai fini del primo motivo di ricorso, non è quindi decisivo criticare la motivazione della Corte d’Appello di Roma rammentando l’esistenza dell’art. 1481 c.c., in quanto la facoltà data al compratore, dal citato art. 1481, comma 1 di sospendere il pagamento del prezzo in relazione al timore che la cosa venduta possa essere rivendicata da terzi, comunque non sottrae il giudice dall’obbligo di pronunciare la risoluzione valutando quale contraente abbia dato causa con il proprio comportamento al giustificato inadempimento dell’altra parte.

Sono, peraltro gli stessi ricorrenti a ricordare come il pericolo di rivendica a terzi era “conosciuto in precedenza”, aggiungendo l’art. 1481 c.c., comma 2 che il pagamento del prezzo non possa essere sospeso se il pericolo era noto al compratore al tempo della vendita.

La Corte di Roma ha poi accertato l’inadempimento dei promissari acquirenti non soltanto sulla base della sospensione del pagamento del corrispettivo, ma anche in relazione alle alterazioni e modifiche abusive del bene.

E, come detto, il giudizio di comparazione tra le inadempienze reciproche, al fine di stabilire quale dei due contraenti si sia reso responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti, dà luogo ad un accertamento riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo di ricorso critica, ancora, la valutazione di gravità dell’inadempimento dei promissari acquirenti, per non aver pagato circa Lire 50.000.000 di debiti del C. verso istituti bancari. E’ però anche qui evidente che la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti del mancato esame di fatti decisivi e controversi (Cass. 30/03/2015, n. 6401).

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis, consente la denuncia per cassazione dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). I ricorrenti si dolgono della circostanza che la Corte d’Appello abbia qualificato il secondo compromesso per un ulteriore appezzamento di terreno come un’integrazione del precedente. Ora, proporre una diversa interpretazione di un documento contrattuale, ovvero del collegamento tra lo stesso ed altro contratto dedotto in lite, non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in quanto il fatto storico, rilevante in causa, è stato o comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053). Lo stesso terzo motivo, sempre sub specie di vizio della motivazione, si duole impropriamente anche del fatto che non vi fosse “richiesta” del C. di risoluzione della seconda scrittura, ma con ciò intende contrapporre la propria interpretazione all’accertamento di fatto, compiuto dalla Corte d’appello nell’ambito degli apprezzamenti spettanti al giudice del merito, circa la natura meramente integrativa della scrittura del (OMISSIS) rispetto a quella del (OMISSIS).

Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, in favore del controricorrente.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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