Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7942 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. I, 31/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 31/03/2010), n.7942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MAXEDIS S.A.S. DI CALVINO SALVATORE E C. (c.f. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, C.S. in

proprio, SEDIS – SERVIZI DI IMMOBILI SOCIALI DI CALVINO SALVATORE

&

C. SAS, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANAPO 29, presso l’avvocato DI GRAVIO DARIO,

che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO MAXEDIS S.A.S. DI CALVINO SALVATORE E C., in persona del

Curatore P.L., FALLIMENTO DI C.S. in

proprio (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso l’avvocato CALDARA GIAN ROBERTO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ZINGARELLI LUIGI, giusta mandato

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 346/2004 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 02/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato DOMENICO TALARICO, per delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato LUIGI ZINGARELLI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Maxedis s.a.s. di Salvatore Calvino e C. proponeva al Tribunale di Terni istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, impegnandosi a pagare per intero i debiti privilegiati e in una percentuale non inferiore al 40% i debiti chirografari, anche con garanzia fideiussoria da parte della Sedis-Servizi di Immobili Sociali di Calvino Salvatore e C. s.a.s.

sino alla concorrenza di L. 700.000.000.

Il Tribunale adito ammetteva detta società alla procedura di concordato preventivo e con successiva sentenza del 24.12.1997 provvedeva alla sua omologazione, fissando per l’adempimento del concordato il termine di un anno dal passaggio in giudicato della sentenza, avvenuto in data 22.1.1998, termine poi più volte prorogato fino al 31.12.99.

A seguito di richiesta in data 1.3,2000 di una ulteriore proroga di detto termine da parte del commissario giudiziale, il giudice delegato fissava udienza di comparizione in camera di consiglio della Maxedis, nonchè di C.S.. Successivamente, con sentenza 17/20-5-00, veniva dichiarata la risoluzione L. Fall., ex artt. 186 e 137, del concordato preventivo e conseguentemente dichiarato il fallimento di detta società e del C. in proprio.

Avverso detta sentenza proponevano opposizione La Maxedis, il C. e la Sedis, quest’ultima in persona D.V.G. quale procuratrice speciale in forza di procura speciale rilasciata dai soci accomandanti C.G.R. e C.M., chiedendo l’annullamento e la revoca di detta sentenza e la riapertura della procedura di concordato preventivo per difetto dei presupposti per la risoluzione dello stesso.

Il Tribunale di Terni accoglieva la eccezione di nullità della opposizione proposta dalla Sedis, in considerazione del fatto che per essa avevano agito, non il socio accomandatario, ma le socie accomandanti; rigettava le opposizioni della Maxedis e del C., disponendo comunque che la garanzia prestata per il concordato dalla Sedis valesse anche per la procedura fallimentare.

Osservava, in particolare, tra l’altro, il primo giudice che sussistevano i presupposti per la risoluzione del concordato: 1) perchè la Maxedis aveva omesso di effettuare per intero il deposito delle spese di procedura, fissato dal Tribunale nell’importo di L. 41.000.000, inadempienza che da sola bastava a giustificare la risoluzione del concordato; 2) perchè la Maxedis aveva omesso di adempiere agli obblighi assunti con il concordato, dato che nessun creditore privilegiato era stato pagato e dalla liquidazione era stata ricavata la irrisoria somma di L. 6.000.000.

Tale sentenza veniva impugnata da tutti gli opponenti dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia, che con sentenza 1.7.2004, depositata il 2.11.2004 dichiarava inammissibile l’appello della Sedis-Servizi di Immobili Sociali di Calvino Salvatore e C. e rigettava l’appello proposto dalla Maxedis s.a.s. di Salvatore Calvino e C. e di C. S. in proprio.

Avverso tale sentenza Maxedis s.a.s. di Calvino Salvatore e C., C.S. in proprio e Sedis-Servizi Immobiliari Sociali di Calvino Salvatore e C. s.a.s., quest’ultima in persona del liquidatore D.V.G., hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi illustrati con memoria. Il Fallimento Maxedis s.a.s. di Calvino Salvatore e C. e il Fallimento di C.S. in proprio hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 137 e 186, artt. 102, 331 e 354 c.p.c., omessa e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Secondo i ricorrenti il Tribunale, ritenuta la nullità della opposizione della Sedis s.a.s. per difetto di rappresentanza, avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio, ex artt. 103 e 331 c.p.c., nei confronti della stessa. In conseguenza di tale omissione la impugnata sentenza dovrebbe ritenersi nulla e la causa dovrebbe essere rimessa al Tribunale ai sensi dell’art. 354 c.p.c., senza possibilità di procedere all’esame del merito della questione relativa alla permanenza, dopo la risoluzione del concordato e la dichiarazione di fallimento, della garanzia fideiussoria prestata dalla Sedis stessa.

In ogni caso la garanzia prestata per l’adempimento del concordato preventivo, con la risoluzione del concordato, dovrebbe ritenersi estinta, non essendo applicabile in materia di concordato preventivo la L. Fall., art. 140, dettato in materia di concordato fallimentare.

La sentenza impugnata avrebbe, infine, ingiustamente addebitato alla debitrice ed alla garante una serie di inadempimenti, non avendo tenuto conto del fatto che nel caso di specie si tratterebbe di concordato con cessione di beni (integrata, ai soli fini della ammissibilità, della fideiussione suppletoria) e non di concordato remissorio o dilatorio.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 186 e art. 111 c.p.c., omessa e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Illegittimità costituzionale del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 6, nella parte in cui prevede la dichiarazione di fallimento “d’ufficio” e ciò per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost..

Illegittimità costituzionale del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 186 e 137 (Legge Fallim.) in connessione alle norme sui procedimenti in camera di consiglio per violazione degli artt. 24 Cost. (diritti di azione e di difesa), art. 25 Cost. (precostituzione del giudice naturale) e art. 111 Cost. (sul giusto processo).

Deducono i ricorrenti che il fallimento non avrebbe potuto essere dichiarato d’ufficio, atteso che il Tribunale, giudice terzo ed imparziale, non poteva attivarsi sulla base di una notizia che non fosse stata veicolata da un atto introduttivo del giudizio. La notizia della insolvenza di un debitore non potrebbe essere utilizzata dal Tribunale se non in funzione di una domanda esterna, mai come notizia assunta all’interno dello stesso, come invece avvenuto nel caso concreto. Siccome non potrebbe essere ipotizzato un fallimento d’ufficio senza domanda, nella ipotesi di risoluzione del concordato preventivo al proponente dovrebbe essere contrapposto il pubblico ministero, per cui il tribunale non avrebbe potuto decidere, al fine di garantire la terzietà del giudice ed il principio del giusto processo, senza avere convocato il pubblico ministero.

Conseguentemente l’opposizione dovrebbe essere accolta per il denunciato difetto del contraddittorio e, comunque, la causa dovrebbe essere rimessa alla Corte Costituzionale per la verifica di costituzionalità della L. Fall., art. 186, per il contrasto con l’art. 111 Cost., comma 2.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 18, 137, 186 e art. 111 Cost., omessa e carente motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Deducono i ricorrenti che nel caso di specie doveva essere convocato, almeno notiziato, il pubblico ministero, in via preventiva, trattandosi di intervento obbligatorio; che non sarebbe stata nè verificata nè osservata la integrità del contraddittorio nei confronti del fideiussore; sarebbe mancata la iniziativa del commissario giudiziale, che si sarebbe dovuto attivare per chiedere la risoluzione del concordato; trattandosi di concordato con cessione dei beni, il ritardo nella liquidazione non avrebbe potuto essere posto a carico del debitore, che non avrebbe più in tal caso la disponibilità dei beni.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ulteriore violazione della L. Fall., art. 186, comma 2, motivazione perplessa o carente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Deducono i ricorrenti che, perchè si possa procedere alla risoluzione, dovrebbero prima essere liquidati i beni ceduti. Non essendo avvenuta la liquidazione dei beni ceduti, il Tribunale non avrebbe dovuto determinarsi per la risoluzione del concordato preventivo e, quindi, ritenere applicabile la L. Fall., art. 186, comma 2, secondo cui, nel caso di un concordato mediante cessione dei beni, questo non si risolve se nella liquidazione dei beni si sia ricavata (quindi a liquidazione esaurita) una percentuale per i chirografari inferiore al quaranta per cento.

I primo motivo di ricorso è infondato.

I ricorrenti, sul presupposto che la Sedis fosse un litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione, avevano dedotto in sede di appello che il giudice di primo grado – ritenuta sussistente la nullità della opposizione della Sedis stessa per difetto di rappresentanza, perchè per essa, anzichè il socio accomandatario, avevano agito in giudizio le socie accomandanti – avrebbe dovuto rilevare il difetto di integrità del contraddittorio e rimediarvi con l’ordine di integrazione; in conseguenza di tale omissione il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c..

La Corte d’Appello ha ritenuto infondato il motivo osservando che il Tribunale, come previsto dalla L. Fall., art. 137, applicabile anche al concordato preventivo L. Fall., ex art. 186, prima di pronunciarsi sulla risoluzione del concordato, aveva ordinato la comparizione del fideiussore e che, effettuato tale adempimento, non era ulteriormente tenuto ad ordinare, in sede di opposizione alla risoluzione del concordato e conseguente dichiarazione del Fallimento della Maxedis e di C.S. in proprio, anche la integrazione del contraddittorio nei confronti del fideiussore Sedis. La Corte di merito è pervenuta a tale conclusione osservando che la previsione dell’obbligo di convocazione dei fideiussori previsto dalla citata normativa non vale a rendere i fideiussori parti necessarie della procedura di concordato e dell’eventuale giudizio di opposizione alla risoluzione dello stesso, atteso che le garanzie prestate nel concordato rilevano solo come oggetto di un impegno del debitore, per cui i fideiussori non sono parti del concordato, come si ricava dalla L. Fall., art. 160, secondo cui è il debitore a fare la proposta di concordato, offrendo, in virtù della previsione del comma 2, n. 1, “serie garanzie reali o personali” di pagare una certa percentuale dei crediti chirografari. La corte di merito ha ritenuto, pertanto, l’appello della Sedis – cui soltanto doveva ritenersi riferito il motivo di appello, essendo questa l’unico soggetto interessato a contrastare le suddette affermazioni – inammissibile, osservando che, una volta riconosciuto che la Sedis non era litisconsorte necessaria nel giudizio di opposizione, il fatto di aver prestato acquiescenza al capo della sentenza del giudizio di primo grado, con cui è stata dichiarata la nullità della sua opposizione, portava ad escludere che essa fosse legittimata a proporre appello per altre ragioni.

Con il primo motivo di ricorso, in sintesi, si sostiene nuovamente la tesi della necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti della Sedis per essere questa un litisconsorte necessario del presente giudizio di opposizione.

La tesi non può essere condivisa.

Per il disposto della L. Fall., art. 186, che richiama la citata legge, art. 137, sicchè tale disposizione deve ritenersi applicabile anche al concordato preventivo, il Tribunale, prima di procedere alla risoluzione del concordato ed alla conseguente dichiarazione del fallimento del debitore, deve ordinare la comparizione del debitore ” e dei fideiussori, se ve ne sono” e ciò all’evidente scopo di consentire loro di esercitare il diritto di difesa. La legge prevede soltanto che l’eventuale fideiussore deve essere convocato, al fine di essere sentito, ma non vi è nessuna specifica disposizione che preveda che, se il debitore, dichiarato fallito, propone opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, anche il fideiussore debba essere chiamato a partecipare necessariamente a tale giudizio. La sentenza di dichiarazione di fallimento produce determinati effetti nei confronti dell’imprenditore in stato di insolvenza, ma non produce gli stessi effetti nei confronti del fideiussore, per cui non potrebbe seriamente sostenersi che, se il fideiussore non partecipa di sua iniziativa o non è chiamato a partecipare al giudizio di opposizione, mediante un ordine di integrazione del contraddittorio, la sentenza che risolve il concordato e dichiara il fallimento devesi ritenere inutiliter data perchè non pronunciata nei confronti di tutti i soggetti che avrebbero avuto interesse ad impugnarla.

Debitore e fideiussore sono portatori di interessi diversi ed autonomi, e hanno, quindi, posizioni tra loro scindibili, per l’ovvia considerazione che la sentenza dichiarativa di fallimento produce determinati effetti esclusivamente nei confronti del solo debitore ed effetti ulteriori e diversi nei confronti del fideiussore del concordato preventivo, costituiti dal rendere permanente, nonostante la risoluzione del concordato e la dichiarazione del fallimento del debitore, la garanzia fideiussoria offerta dal debitore per l’ammissione alla procedura di concordato. Si ha, infatti, che le garanzie offerte dal debitore ai sensi della L. Fall., art. 160, comma 2, n. 1, come condizione per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, non perdono efficacia, negli stretti limiti della percentuale concordataria per cui sono state offerte, nella ipotesi di risoluzione del concordato preventivo dovuta all’inadempimento del debitore (cfr. in tal senso cass. n. 1482 del 1997 resa a sezioni unite, che ha ritenuto applicabile la L. Fall., art. 140, dettato in materia di concordato fallimentare, anche in materia di concordato preventivo). In tal caso, però, la legittimazione ad agire nei confronti del garante non compete al curatore del fallimento, bensì individualmente ai creditori che risultino tali sin dall’atto della procedura concordataria (cfr. in tal senso cass. n. 11396 del 2009 resa a sezioni unite). La evidenziata diversità degli effetti per il debitore e per l’eventuale fideiussore ed il fatto che la legittimazione per far valere la garanzia non compete al curatore del fallimento, ma ai singoli creditori portano ragionevolmente ad escludere che debitore ed eventuale fideiussore siano legati da una situazione sostanziale o processuale che richiede la necessaria partecipazione di entrambi al giudizio di opposizione, ragion per cui il fideiussore potrebbe non avere un qualche personale interesse ad impugnare la sentenza di risoluzione del concordato e la sentenza dichiarativa di fallimento, data la diversità di effetti che a lui ne derivano, oppure, data la esclusività degli effetti che lo riguardano, anche se abbia un interesse giuridico attuale e concreto alla impugnazione di detta sentenza, potrebbe decidere, nella sua autonomia, di astenersi dal farlo.

Alla luce delle osservazioni che precedono appare del tutto infondata la ulteriore censura mossa alla sentenza impugnata, con la quale si sostiene la estinzione della garanzia fideiussoria, assumendo la inapplicabilità al concordato preventivo della L. Fall., art. 140, dettato per il concordato fallimentare.

Nè è fondata la ulteriore censura con la quale si lamenta che siano stati addebitati ingiustamente alla debitrice inadempimenti senza tener conto che il concordato in questione era un concordato mediante cessione di beni, atteso che, indipendentemente dagli ulteriori inadempimenti, il giudice a quo ha accertato che il debitore non ha depositato le somme necessarie per la procedura stabilite nel decreto di ammissione alla procedura, fatto questo di per sè solo sufficiente a determinare la risoluzione del concordato.

Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui si muovono censure di incostituzionalità alla L. Fall., artt. 6, 137, 186, in relazione agli artt. 3, 24, 25, 111 Cost., per violazione dei diritti di azione e difesa, del principio della precostituzione del giudice naturale, dei principi relativi al giusto processo.

Secondo i ricorrenti le norme fallimentari di cui in epigrafe violerebbero le menzionate norme della Costituzione perchè consentirebbero al Tribunale di attivarsi d’ufficio e di pronunciarsi senza assumere una posizione di terzietà e a seguito di un effettivo contraddittorio tra le parti, di cui una dovrebbe essere rappresentata dal pubblico ministero.

Il Collegio osserva che le norme che vengono in considerazione nel caso di specie, con riferimento alla possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio, già sono state sottoposte al vaglio di Costituzionalità e la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 240 del 2003, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità, sollevate al riguardo. La Corte Costituzionale ha affermato che si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale ogni ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento intervenga a conclusione di un procedimento comunque avviato da soggetto diverso dal giudice decidente. Nel caso che ne occupa la risoluzione del concordato si pone come possibile esito di un procedimento avviato dal debitore con la proposta di concordato preventivo ai sensi della L. Fall., art. 160 ed il Tribunale si attiva per la dichiarazione di risoluzione del concordato a seguito di una relazione del commissario giudiziale con la quale costui informa il Tribunale del fatto che le garanzie promesse non sono state costituite in conformità del concordato oppure del fatto che il debitore non adempie gli obblighi derivanti dal concordato e dalla sentenza di omologazione (L. Fall., artt. 137 e 186).

La Corte Costituzionale ha affermato altresì che anche l’iniziativa officiosa – prevista dal legislatore in ragione di peculiari esigenza di effettività della tutela giurisdizionale – non lede il fondamentale principio di imparzialità-terzietà del giudice, quando il procedimento è strutturato in modo che, ad onta dell’officiosità dell’iniziativa, il giudice conservi il fondamentale requisito di soggetto super partes ed equidistante rispetto agli interessi coinvolti; che tale fondamentale requisito non può dirsi compromesso ove la conoscenza di una situazione di fatto in ipotesi riconducibile allo stato di insolvenza derivi non già da quella che per l’informalità della fonte può dirsi scienza privata del giudice, ma da una fonte qualificata, perchè formalmente acquisita nel corso di un procedimento, del quale il giudice sia, come tale, investito. In tale ipotesi il giudice investito di un procedimento, del quale sia parte l’imprenditore, può legittimamente acquisire la conoscenza di una situazione di fatto, delibata positivamente, la quale deve avviare la procedura fallimentare, e giudicare, dopo avere consentito all’imprenditore il pieno esercizio di difesa in relazione ai fatti delibati, della fondatezza della notizia legittimamente acquisita. Le prevalenti finalità pubblicistiche che caratterizzano la procedura fallimentare impongono al Tribunale di attivarsi anche in assenza di una iniziativa di parte, dando così attuazione alla volontà della legge, che ha già valutato, preventivamente e una volta per tutte, l’interesse pubblico sotteso; di tal che non può dubitarsi che il Tribunale, procedendo d’ufficio, agisca non come attore, ma nella sua veste giurisdizionale e quindi super partes.

Quanto su detto porta ad escludere che la risoluzione del concordato e la dichiarazione di fallimento debba essere pronunciata a seguito di iniziativa del pubblico ministero, la cui partecipazione al giudizio, non prevista espressamente dalla legge fallimentare, non si palesa necessaria nè per garantire la terzietà del giudice nè per garantire l’effettività del contraddittorio.

Infondato è altresì il terzo motivo.

Da nessuna disposizione si ricava che, prima di procedere alla risoluzione del concordato ed alla conseguente dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, il Tribunale debba notiziare il pubblico ministero; nessuna disposizione prevede che la risoluzione del concordato debba essere pronunciata a seguito di domanda del commissario giudiziale, che è tenuto soltanto ad informare il Tribunale dei fatti che potrebbero portare alla risoluzione del concordato, cosa che nel caso di specie è stata fatta; che, infondata, per quanto sopra si è detto, è la riproposta doglianza circa la integrità del contraddittorio del fideiussore; che i ricorrenti non hanno alcun interesse a denunciare la erroneità della decisione per avere questa imputato, in un concordato con cessione dei beni, il ritardo nella liquidazione all’imprenditore anzichè al liquidatore, una volta accertato che la società dichiarata fallita non aveva provveduto al deposito delle spese di giustizia, essendo tale omissione sufficiente di per sè sola a determinare la risoluzione del concordato.

Il quarto motivo è inammissibile per difetto di interesse per quanto in precedenza si è detto con riferimento all’accertata omissione del deposito delle spese giudiziali.

In ogni caso è errata la affermazione dei ricorrenti che non si potrebbe procedere alla risoluzione di un concordato per cessione dei beni prima che sia stata effettuata la liquidazione di tutti i beni ceduti.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, che il collegio condivide, il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori deve essere risolto per inadempimento, ai sensi della L. Fall., art. 186 (con la conseguente apertura della procedura fallimentare), qualora, anche prima della liquidazione dei beni, emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione, in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavate dalla vendita dei beni ceduti, si rivelino insufficienti, in base ad una ragionevole previsione, a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati (cfr. cass. n. 709 del 1993).

Nel caso di specie è stato accertato dal giudice di merito che “non erano stati adempiuti gli obblighi derivanti dal concordato, per non essere stati pagati neanche i creditori privilegiati e che era impossibile provvedervi per la modestia dell’attivo realizzato (L. 6.000.000) e l’assoggettamento ad espropriazione dei beni del fideiussore”.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto ed i ricorrenti debbono essere condannati, in solido tra loro, a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di Cassazione, che appare giusto liquidare, tenuto conto dell’oggetto della controversia, in complessivi Euro 7.200,00 (settemiladuecento), di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00 (settemiladuecento), di cui Euro 7.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

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