Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7942 del 20/04/2020

Cassazione civile sez. II, 20/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 20/04/2020), n.7942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 643/2016 proposto da:

SICOT SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRIA 119, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO CICCHIELLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato VALENTINA FERRO;

– ricorrente –

contro

SARMO COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 57, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO TOMASSINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato SALVATORE PAOLO SATTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 813/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 21/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Cagliari revocò il decreto con il quale era stato ingiunto alla Sicot s.r.l. il pagamento della somma di Euro 31.509,60 in favore della Sarmo Costruzioni s.r.l., a titolo di saldo di lavori edili, affermando che la pretesa non era rimasta corroborata da prova;

– la Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza di cui in epigrafe, ammessa prova per testi, riformata la decisione di primo grado, condannò la Sicot al pagamento dell’anzidetta somma;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre la Sicot sulla base di cinque motivi e che la controparte resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte di Cagliari preso in considerazione il documento dal quale risultava che i lavori, a riguardo dei quali era stata avanzata la pretesa, erano stati pagati, per un complessivo ammontare di Euro 33.989,19;

considerato che la doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento: la Corte locale, lungi dal non avere preso in considerazione il documento in parola, ammessa prova per testi (negata dal primo Giudice ai sensi dell’art. 2723 c.c.), all’esito della stessa, dandone compiuta motivazione, aveva reputato sussistere patto successivo allo scritto;

ritenuto che con il secondo motivo la ricorrente allega nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, assumendo che la sentenza aveva riconosciuto un credito per un importo superiore alla domanda, che non poteva superare l’ammontare di Euro 9.811,02, sulla base del seguente ragionamento:

– la stessa Sarmo aveva computato, nel conteggio finale, un credito di Euro 43.800,21, di talchè, da esso scomputata la somma di Euro 33.989,19, oltre IVA, indicata nel documento differenze sul preventivo, il saldo in favore della controparte non poteva superare Euro 10.901,14, che, decurtato del convenuto sconto del 10%, si riduceva ad Euro 9.811,02;

considerato che il motivo è manifestamente infondato, poichè la domanda della quale tener conto è quella prospettata con il ricorso per decreto ingiuntivo e coltivata in primo grado, non constando rinunce in appello, nel resto la doglianza investe inammissibilmente il merito;

ritenuto che con il terzo motivo viene allegata ulteriore nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, assumendosi che:

– la sentenza aveva omesso di pronunziarsi su un motivo d’appello “relativo all’esistenza di un patto in virtù del quale le parti avrebbero concordato di pagare le opere contestate e stornate dal computo finale in un successivo momento, dopo la verifica in contraddittorio delle lavorazioni stornate dal conteggio finale”;

– l’appellata aveva contestato “una tale eccezione”, che era stata formulata tardivamente, e la Corte d’appello non si era pronunciata sulla contestazione;

considerato che il motivo, contorto, confuso e contraddittorio, non supera il vaglio d’ammissibilità:

a) l’appellata si duole per la pretesa omessa pronunzia su un motivo d’appello della controparte, che, peraltro, non si rileva dalla stessa riproduzione della ricorrente dell’atto d’appello sul punto (all’evidenza si tratta di una parte del narrato della vicenda e la Sarmo non aveva chiesto, per quel che qui viene evidenziato, alla Corte d’appello la riforma della sentenza di primo grado, perchè fosse affermata la sussistenza del patto nei termini sopra enunciati);

b) la mancanza di qualsivoglia statuizione sul punto rendeva irrilevante l’esame dell’eccezione di tardività proposta dalla Sicot;

ritenuto che con il quarto motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè nullità del procedimento per violazione dell’art. 183, comma 7, in relazione all’art. 360, n. 4, assumendo che la Corte locale aveva ammesso la prova per testi, che viene riportata in ricorso, senza cogliere che la stessa risultava scollegata “rispetto all’allegazione contenuta nei motivi d’appello e in particolare del primo”, nel quale si faceva riferimento alla circostanza che i rivendicati lavori avrebbero dovuto essere pagati solo previa verifica in contraddittorio;

considerato che il motivo non merita accoglimento:

– la evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talchè, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage (che per vero qui neppure è stato sperimentato) del richiamo agli artt. 115 e 116, c.p.c.;

ritenuto che con il quinto motivo, denunziante l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la sentenza considerato che la Sarmo pretendeva “di ottenere il pagamento di somme ad essa non spettanti”, siccome constava dalla diffida inoltrata da quest’ultima, posta a confronto con la fattura, in relazione alla quale aveva chiesto il decreto ingiuntivo, che aveva la medesima causale, non potendo convincere l’affermazione della controparte con la quale si pretendeva che la diffida si riferisse solo a una parte dei lavori;

considerato che il motivo è inammissibile per il convergere di più ragioni:

– l’asserto pecca d’irriducibile aspecificità, sotto il profilo del difetto di autosufficienza, in quanto la Corte non conosce il contenuto dell’evocato documento;

– è evidente che non si tratta di un omesso esame, ma di una impropria richiesta di riesame;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore della controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

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