Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7941 del 30/03/2018

Civile Ord. Sez. 3 Num. 7941 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23607/2015 R.G. proposto da
S.S.
– ricorrente contro
A.A.
– controricorrenti nonché contro

Data pubblicazione: 30/03/2018

Allianz S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio Spadafora e
dal Prof. Avv. Antonio Spadafora, con domicilio eletto in Roma, via
Panama, n. 88, presso lo studio legale Spadafora;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 3896/2015

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio
2018 dal Consigliere Emilio Iannello.
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Corrado Mistri, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Rilevato in fatto
1. S.S. conveniva in giudizio avanti il Tribunale di
Roma A.A. chiedendone la
condanna al risarcimento dei danni ad essa derivati a seguito di due
interventi di chirurgia estetica (addominoplastica), eseguiti dal
A.A. con l’assistenza della Maciel, rispettivamente il 13/2/2001 e
il 15/10/2001: il primo per risolvere l’inestetismo del rilassamento
della parete addominale e delle smagliature cutanee; il secondo per la
revisione chirurgica della cicatrice addominale che ne era residuata
(sortendone però l’effetto opposto di aggiungere una seconda
cicatrice perpendicolare alla prima).
Espletata c.t.u. e riunito il procedimento con quello promosso dal
A.A. nei confronti della propria compagnia assicuratrice Allianz
Subalpina S.p.A., per esserne manlevato, il tribunale rigettava la
domanda proposta nei confronti della Maciel, poiché mera assistente
in sala operatoria, e accoglieva parzialmente quella proposta nei
confronti del A.A., ritenuto responsabile solo in relazione al
secondo intervento chirurgico, di ritocco della prima cicatrice (in sé
considerata normale conseguenza della prima operazione).
Lo condannava pertanto al risarcimento del danno non patrimoniale

2

depositata il 24 giugno 2015;

derivato all’attrice, liquidato in C 13.712,00, dichiarando la società
assicuratrice tenuta alla manleva.
2. L’appello interposto dalla S.S. è stato parzialmente accolto,
con la sentenza in epigrafe, dalla Corte d’appello di Roma, che ha
determinato il risarcimento dovuto nel maggiore importo di C

ritenuta sussistenza di colpa medica anche in relazione al primo
intervento e alla prima cicatrice da esso derivata, cui è stata
attribuita una percentuale invalidante del 7% pari a quella
determinata dal primo giudice per la seconda cicatrice.
La Corte di merito ha invece ritenuto inammissibili perché generici
o comunque infondati gli altri motivi di gravame con i quali si
censurava (per quel che ancora in questa sede rileva): il mancato
riconoscimento da parte del primo giudice del danno psichico (da
sindrome depressiva) pur rilevato dal c.t.u. (ma negato dal tribunale
«non emergendo in atti elementi adeguati, in particolare le terapie
mediche continuative, che anzi la paziente non ha assunto, ovvero
psicoanalitiche che attestino l’esistenza di una sindrome
depressiva»); l’esclusione del danno patrimoniale da incapacità
lavorativa specifica correlata all’attività di ballerina; l’inadeguata
personalizzazione del danno; il rigetto della domanda proposta nei
confronti di Maria Augusta Maciel (rilevando al riguardo la Corte che
l’appellante non aveva precisato quale fosse il ruolo della Maciel,
limitandosi a un generico e non pertinente richiamo giurisprudenziale,
e che inoltre «dalle cartelle cliniche in atti, non risulta nemmeno il
nominativo della Maciel tra i medici dell’equipe operatoria, mentre,
per il secondo intervento, manca anche l’indicazione dei nominativi,
salvo quella del dott. A.A.»).
3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la
S.S., con tre mezzi, cui resistono gli intimati tutti, depositando
controricorsi.
3

70.942,00, oltre interessi legali secondo il calcolo ivi precisato, per la

La ricorrente e la Allianz S.p.a. hanno depositato memorie memorie
ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..

Considerato in diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione degli
articoli 1176 e 2043 cod. civ.».

liquidazione del danno; l’ingiustificata esclusione della componente
psichica del danno biologico subìto pur rilevata dal c.t.u. e delle
ripercussioni sul reddito.
2. Con il secondo motivo denuncia «ulteriore profilo di violazione
degli artt. 1176 e 2043 cod. civ.» in relazione al mancato
riconoscimento del dedotto danno patrimoniale, nonché ancora alla
liquidazione del danno non patrimoniale, ritenuta irrisoria se
confrontata con la giovane età della danneggiata e alla gravità delle
lesioni subite.
3. Con il terzo motivo denuncia «ulteriore profilo di violazione
dell’art. 2043 cod. civ.» per avere la Corte d’appello escluso la
responsabilità professionale, nell’occorso, della dott.ssa B.B..
Rileva che la Corte territoriale ha omesso di valutare che i due
professionisti hanno eseguito gli interventi al di fuori di qualsiasi
rapporto di preminenza professionale dell’uno rispetto all’altro e
tantomeno di gerarchia; che «è indubitabile che essi hanno agito in
equipe, condividendo le scelte operative sulla base di una pari
professionalità»; che, anche ammesso che la predetta abbia svolto il
ruolo di assistente, «Ella ha di fatto avallato e condiviso le nefaste
scelte terapeutiche del dott. A.A.».
4. Tutte le censure sono inammissibili.
Risulta invero inosservato l’onere della specificità ex art. 366,
comma primo, num. 4, cod. proc. civ. secondo cui il ricorso deve
indicare «i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione
4

Lamenta l’esiguità della stima della percentuale invalidante e della

delle norme di diritto su cui si fondano».
Come affermato da Cass. Sez. U. n. 17931 del 2013, tale
requisito comporta l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito
del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e
del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consenta al

stabilire se la stessa, così come esposto nel mezzo di impugnazione,
abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma
inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui
all’art. 360 citato.
Ben diversamente ciascuna delle tre censure si risolve, come reso
evidente dalla sintesi sopra riferita, nella prospettazione di generiche
argomentazioni difensive a carattere meramente assertivo, senza
peraltro in alcun modo confrontarsi con la decisione adottata in
relazione a ciascuno dei punti cui si riferiscono le doglianze e senza in
particolare precisare se e per quale ragione la stessa debba ritenersi
errata, in diritto o in fatto.
5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la
conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dei
controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da
dispositivo.
Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo
unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi
liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

5

giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso

Così deciso il 14/2/2018

articolo 13.

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