Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7941 del 21/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, (ud. 07/11/2018, dep. 21/03/2019), n.7941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1455-2013 proposto da:

C.A., A.M., elettivamente domiciliati in ROMA

VIALE PARIOLI 72, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CORRADO

OLIVIERO, che li rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI MILANO (OMISSIS);

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 129/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 05/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso, in subordine

accoglimento per quanto di ragione;

udito per i ricorrenti l’Avvocato OLIVIERO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato MADDALO che ha chiesto il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con avviso di accertamento emesso nei confronti di C.A. nella qualità di cedente e di A.M. nella qualità di cessionario, in relazione alla cessione di azienda avente ad oggetto la vendita al dettaglio di merci comprese nella tabella merceologica “Giochi e generi di monopolio”, l’agenzia delle Entrate rettificava il valore dell’avviamento, dichiarato dalle parti pari a zero, determinandolo in Euro 1.226.682,00 ed utilizzandolo quale base imponibile per il recupero dell’imposta di registro, interessi e sanzioni.

I contribuenti impugnavano l’avviso e il ricorso veniva rigettato dalla CTP di Milano.

Avverso la sentenza proponevano appello i contribuenti.

La CTR della Lombardia con sentenza n. 129/06/12 depositata il 5.6.2012, rigettava il ricorso sul presupposto che l’avviso fosse stato validamente notificato e che il metodo applicato dall’ufficio con riferimento alla media degli agi percepiti nel triennio fosse corretta.

Nei confronti della suddetta pronuncia i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati con memoria.

L’Agenzia delle entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76,comma 1 bis, della L. n. 890 del 1982, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano, in particolare, l’erroneità della sentenza della CTR per non avere ritenuto la invalidità della notifica dell’avviso di accertamento in rettifica perchè effettuato tardivamente al portiere dello stabile non delegato, con conseguente decadenza dell’ufficio per non avere notificato l’atto impositivo nel termine di decadenza biennale fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 1 bis.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, Lamentano che la CTR abbia erroneamente ritenuto applicabile l’istituto del raggiungimento dello scopo previsto dall’art. 156 c.p.c. per la notifica degli atti impositivi e non solo per gli atti del processo.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.., per avere la CTR applicato d’ufficio l’art. 156 c.p.c. non invocato dall’Agenzia.

4. Le censure possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse. Esse non sono fondate.

4.1. E’ incontestato e riferito dagli stessi ricorrenti che l’imposta proporzionale sia stata pagata in data 1.3.2007, mentre l’avviso di accertamento è stato notificato al portiere dello stabile in data 2.3.2009.

Il primo marzo 2009 era domenica. E’ certo, quindi, che l’atto sia stato consegnato per la notifica in data precedente e certamente entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta. In ogni caso, ai sensi dell’art. 155 c.p.c. se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo e quindi la notifica in data 2.3.2009 era tempestiva.

4.2. La natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. (Sez. U, n. 19854/2004).

Correttamente, pertanto, la CTR ha ritenuto che gli eventuali vizi della notifica fossero stati sanati dalla proposizione del ricorso. Invero, mentre in base all’art. 156 c.p.c., comma 2, la nullità per inosservanza di forme di un atto, anche se non prevista dalla legge, può tuttavia “essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”, in virtù del successivo comma 3, la nullità non può invece mai essere pronunciata “se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

L’art. 156 c.p.c. positivizza cioè il principio di “strumentalità delle forme”, in ragione del quale la nullità della notifica non discende di per sè dalla violazione della forma fissata dalla legge, ma soltanto dalle conseguenze che il vizio comporta sull’idoneità della notifica a raggiungere lo scopo cui la stessa è preordinata.

L’applicazione del principio è di carattere officioso e quindi prescinde da un rilievo di parte.

5. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dei diritti del contribuente.

In particolare lamentano che nessuna informazione era stata data loro in relazione all’accertamento autonomamente svolto dall’amministrazione che si era riportata a un listino prezzi della F.I.M.A.A. mai reso noto al contribuente, nè allegato all’atto impositivo.

La censura non è fondata.

Questa Corte in tema di accertamento tributario ha affermato che “la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, (nella specie, relativo all’imposta di registro sulla cessione di azienda), senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2-bis, del dovere di allegazione delle informazioni ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento”. (Cass. n. 22148/17; 25153/2013; n. 14027/2012).

Nella specie, l’avviso di liquidazione (per come trascritto in ricorso) indica il criterio astratto della rettifica e gli elementi valutati (tipologia dell’azienda ceduta, ubicazione della stessa nelle vicinanze del (OMISSIS), elevato numero dei dipendenti, aggi percepiti in relazione alle vendite, risultati economici forniti dal contribuente).Ne deriva che la motivazione dell’avviso era idonea ad assolvere la sua funzione delimitativa, sicchè il giudice d’appello, escludendo la pretesa nullità dell’atto per mancata motivazione non è incorso nella violazione di legge come denunciata.

Nessun obbligo aveva l’amministrazione di allegare i listini FIMAA, liberamente reperibili, come i valori OMI, sul sito dell’agenzia delle Entrate

6. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52. In particolare deducono che l’Ufficio non avrebbe tenuto conto dei dati dichiarati dal contribuente, soprattutto le attività e le passività risultanti dall’atto di cessione di azienda.

La censura è inammissibile.

“Ai fini del calcolo del valore dell’avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione d’azienda, per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro secondo il disposto del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, e del D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, art. 2, comma 4, quest’ultima avente la funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo, dovrà applicarsi la percentuale di redditività, nella misura ritenuta congrua dal giudice del merito, parametrata alla media dei ricavi (e non degli utili operativi) accertati, o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dal citato art. 2, comma 4” (Cass. n. 7324/2014; n. 9115/2012);

I criteri di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, determinano valori minimali d’avviamento, in funzione dell’accertamento con adesione, sicchè la loro applicazione integra un indizio a favore dell’Amministrazione (Cass. n. 9089/2017, 27 luglio 2007, che richiama Cass. n. 16705/2007), tanto che questa può impiegare un criterio diverso solo dando conto della maggiore affidabilità specifica (Cass. n. 4931/2012); e il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, secondo il quale il valore dichiarato “è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda”, “al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie”, non pone deroghe al criterio, dettato in generale allo stesso art., comma 2, dell’accertamento del valore secondo il parametro del “valore venale in comune commercio”, nel senso che non sussiste al riguardo il vincolo delle scritture contabili, se non con riferimento alle eventuali passività di cui l’Ufficio deve tenere conto (Cass. n. 10341/2007).

Nella specie i contribuenti lamentano che l’Ufficio non avrebbe tenuto conto dei dati da essi dichiarati, soprattutto le passività, senza riprodurre in violazione del principio di autosufficienza i dati relativi a dette passività, nè indicare in quali atti processuali sarebbero stati documentati e quando e dove sarebbero stati prodotti.

Secondo l’insegnamento costantemente impartito da questa Corte, nel ricorso devono essere presenti tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 15952 del 2007), imponendosi al ricorrente per cassazione di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, “gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso si fonda mediante riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura, oppure attraverso una riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (cfr. Cass. n. 1142 del 2014);

6. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono illogica e incoerente motivazione su un punto decisivo e controverso in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Lamentano, in particolare che la CTR ha ritenuto corretto e fondato l’utilizzo dell’accertamento tributario del listino FIMAA ed ha considerato congruo il valore imponibile accertato dall’ufficio senza motivare adeguatamente.

La censura è fondata.

Questa Corte ha affermato che “Ai fini del calcolo del valore dell’avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione d’azienda, per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro secondo il disposto del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 51, e art. 2, comma 4, quest’ultima avente funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo, dovrà applicarsi la percentuale di redditività nella misura ritenuta congrua dal giudice del merito alla media dei ricavi (e non degli utili operativi) accertati, o, in mancanza dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dalla norma”(Cass. 18941/2018).

La CTR ha ritenuto applicabile alla cessione in oggetto e attendibile il listino FIMAA, al quale l’Amministrazione finanziaria ha fatto riferimento per la stima della percentuale di redditività nella misura del 315%, ai fini del calcolo del valore dell’avviamento.

Posto che detto listino è basato su rilevazioni di mercato da un’associazione di agenzie che gestiscono il mercato delle aziende in Milano e provincia e che è ovviamente incontestato che a tali rilevazioni non sia attribuita certificazione di legge, la decisione impugnata effettivamente incorre nel vizio d’insufficiente motivazione, non fornendo adeguata spiegazione della ritenuta applicabilità del listino alle ricevitorie del lotto e della attendibilità dei valori in esso esposti.

Si tratta, evidentemente, della dilatazione del ricorso al fatto notorio oltre i limiti entro i quali esso è idoneo a derogare al principio dispositivo delle prove, quale fatto acquisito alle conoscenze della collettività secondo la comune esperienza di questa (si vedano, in proposito, oltre a Cass. civ. sez. trib. 28 febbraio 2008, n. 5232, in senso conforme, più di recente, Cass. civ. sez. 2 31 maggio 2010, n. 13234; Cass. civ. sez. trib. 5 ottobre 2012, n. 16959), venendo a fondarsi sulla circostanza sopra indicata elementi inerenti alla valutazione dei complessi immobiliari e aziendali esistenti nella zona, che richiedono il previo accertamento dei rispettivi valori di stima, secondo il comune valore di mercato. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla CTR della Lombardia, che pronuncerà, uniformandosi al principio di diritto sopra richiamato, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla CTR della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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