Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 794 del 19/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/01/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 19/01/2010), n.794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7107-2006 proposto da:

RUOPPOLO FARMACEUTICI S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66,

presso lo studio dell’avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SPAGNUOLO DOMENICO, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della Società di Cartolarizzazione dei crediti INPS, S.C.CI. S.p.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

E.TR. s.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 319/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/03/2005 R.G.N. 1827/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 9 marzo 2005, la Corte d’appello di Salerno ha confermato integralmente la sentenza 29 ottobre 2002, con la quale il Tribunale della medesima città aveva respinto l’opposizione proposta dalla Ruoppolo Farmaceutici s.r.l. nei confronti di INPS e della concessionaria del servizio di riscossione E.T.R. s.p.a. avverso la cartella esattoriale notificatale il 28 maggio 2001, con la quale le era stato chiesto il pagamento della somma di Euro 96.758.682 per omesso versamento di contributi “prev.li aziende” (e somme aggiuntive) relativamente al periodo da aprile 1994 al 30 novembre 1998.

In proposito, respinto il motivo di appello concernente la nullità della sentenza di primo grado per pretesa carenza assoluta di motivazione, la Corte territoriale ha ritenuto provati i fatti costitutivi del diritto ai contributi aggiuntivi azionato con la cartella esattoriale, in particolare i fatti posti a sostegno dell’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro di alcuni addetti alla “bollinatura dei prodotti” farmaceutici della società, non regolarizzati come tali dalla medesima.

Per la cassazione di tale sentenza propone ora ricorso la società Ruoppolo Farmaceutici s.r.l., affidandolo a cinque motivi.

Resiste alle domande l’INPS, anche per la cessionaria S.C.CI. s.p.a.

con rituale controricorso, mentre la concessionaria E.T.R. s.p.a., regolarmente intimata, non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. e dei principi distintivi della subordinazione, oltre al vizio di motivazione della sentenza.

Ricordati i requisiti distintivi della subordinazione, quali elaborati, in conformità dell’art. 2094 c.c., da una pluriennale giurisprudenza di questa Corte suprema, la società sostiene che i giudici di merito avrebbero errato nella individuazione degli stessi, attribuendo rilievo esclusivo a criteri sussidiari non idonei a connotare la subordinazione e non rispondenti al materiale probatorio raccolto.

2 – Col secondo motivo, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. nonchè il vizio di motivazione in ordine al criterio logico seguito per giungere al convincimento espresso in ordine alle modalità di svolgimento della prestazione saltuaria.

Pur avendo affermato che le risultanze del verbale ispettivo INPS non sono dotate di un valore probatorio precostituito e privilegiato, salvo che per ciò che concerne le dichiarazioni e gli altri fatti che il verbalizzante attesti avvenuti in sua presenza, la Corte territoriale avrebbe poi contraddittoriamente riconosciuto “piena prova” al verbale ispettivo del (OMISSIS) “relativamente a ciò che attiene all’individuazione di alcuni soggetti addetti alla bollinatura prodotti … operata … attraverso l’esame delle dichiarazioni del sostituto di imposta relative agli anni 1994-1997 e dall’analisi delle scritture ausiliarie di contabilità ordinaria dell’anno 1998” e avrebbe rilevato che gli ispettori dell’INPS “non avevano rinvenuto in azienda le persone per le quali era stata accertata l’infrazione, confermando che i rilievi erano scaturiti dall’esame della documentazione fiscale da cui era emersa l’avvenuta corresponsione di compensi a terzi”.

Contraddittorio sarebbe altresì l’aver ritenuto che avverso i verbali ispettivi, in un primo tempo dichiarati privi di valore probatorio, fosse necessaria da parte dell’opponente una prova contraria, affermando poi che tale prova non era stata fornita e anzi non c’era stata contestazione sul quantum debeatur, quasi che la mancata contestazione sul quantum rendesse indiscutibile l’an debeatur.

Sarebbe, infine, assolutamente contraddittorio l’aver ritenuto che collaboratori saltuari e domiciliari, come i bollinatori di prodotti farmaceutici, utilizzati dalla società senza svolgere nei loro confronti alcun controllo siano da qualificare come dipendenti.

3 – Col terzo motivo, la società censura la sentenza per violazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ..

La prova utilizzata dai giudici di merito sarebbe stata infatti rappresentata dal verbale ispettivo (OMISSIS), che conterrebbe peraltro unicamente valutazioni, mentre la Corte d’appello non avrebbe erroneamente attribuito alcuna rilevanza al nomen iuris utilizzato dalle parti nonchè alle dichiarazioni raccolte dagli ispettori in altro procedimento civile per il medesimo fatto.

A ciò conseguirebbe che la decisione contestata era stata adottata in mancanza assoluta di prove di sostegno e con una motivazione viziata.

4 – Col quarto motivo di ricorso, viene dedotto il vizio di motivazione relativamente al rigetto della deduzione di inesistenza della subordinazione, quale presupposto del rapporto previdenziale.

In proposito sarebbe infatti contraddittorio ritenere necessaria una prova certa di fatti significativi della qualificazione e poi fondare l’accertamento unicamente sul verbale ispettivo, come operato dalla Corte territoriale. Ciò varrebbe anche per il quantum, dato per pacifico dalla sentenza, ma in realtà contestato e comunque non accertato correttamente, ma desunto dal verbale ispettivo.

5 – Infine, con l’ultimo motivo, la società deduce la violazione degli artt. 132 e 100 cod. proc. civ., con riferimento al rigetto da parte della Corte territoriale del motivo di appello relativo alla dedotta nullità della sentenza di primo grado per mancanza assoluta di motivazione e di quello concernente il difetto di legittimazione passiva dell’INPS, “che avendo ceduto il proprio credito alla società di cartolarizzazione S.C.CI. s.p.a. … non poteva iscrivere siffatto credito nel ruolo e invocare tutela per l’adempimento dell’obbligazione che apparteneva ad altro soggetto e di cui non era più portatore di interesse qualificato”.

Il ricorso è infondato.

Appare preliminare l’esame del quinto motivo, col quale la società censura la sentenza della Corte d’appello di Salerno per non aver dichiarato la nullità assoluta della sentenza di primo grado per carenza di motivazione, in quanto erroneamente avrebbe ritenuto sanato tale vizio con la costituzione in appello.

Inoltre l’appellante avrebbe inutilmente denunciato la carenza di legittimazione dell’INPS, in quanto tale ente aveva ceduto il proprio credito alla società di cartolizzazione S.C.C.I. s.p.a., l’unica pertanto abilitata a richiedere l’adempimento dell’obbligazione contributiva.

Il motivo è infondato.

Con riguardo al primo profilo della censura, si ricorda anzitutto che il giudice di appello che rilevi la carenza di motivazione della sentenza di primo grado deve decidere la causa nel merito senza rimetterla al primo giudice, dato che le ipotesi di rimessione tassativamente previste dall’art. 354 c.p.c. non contemplano tale caso, riferendosi unicamente ai casi di vizio nella instaurazione del contraddittorio o di inesistenza di sottoscrizione della sentenza da parte del giudice (cfr., per tutte, Cass. 5 dicembre 2008 n. 28838).

In ogni caso, si rileva che, con valutazione di merito ad essa riservata, censurabile unicamente per carenza di motivazione e in realtà non censurata dalla ricorrente se con contrapponendo alla valutazione dei giudici una propria e diversa, la Corte d’appello ha accertato che la pur scarna sentenza di primo grado contiene, sia sul piano del contenuto che su quello motivazionale, gli elementi minimi sufficienti a dare adeguato conto delle ragioni della soluzione adottata, giusta o sbagliata che questa debba essere ritenuta nel merito.

In ordine poi alla deduzione di carenza di legittimazione passiva dell’INPS, appare sufficiente ricordare, così come argomentato anche dalla sentenza impugnata, che ai sensi della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 13, comma nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale relativa a crediti per contributi obbligatori pretesi dall’INPS sussiste litisconsorzio necessario nel lato passivo tra l’INPS ed il cessionario (cfr., recentemente, Cass. 4 luglio 2007 n. 15041) e che nel caso in esame questa regola è stata pienamente rispettata.

Anche gli altri motivi di ricorso, che conviene esaminare congiuntamente, in quanto sviluppano censure di violazione di legge e di vizi di motivazione tra di loro connesse, sono infondati.

La Corte territoriale muove dalla enunciazione dei principi vigenti in materia di onere della prova nei giudizi di opposizione avverso cartella esattoriale e con riguardo al valore probatorio attribuibile al verbale ispettivo redatto dagli ispettori INPS. Sul primo punto, i giudici di merito hanno affermato correttamente che il suddetto onere della prova, grava, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., ancorchè opposto, sull’ente previdenziale che chiede il pagamento dei contributi.

Sul secondo argomento, la Corte territoriale ha attribuito al verbale ispettivo, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., in quanto atto pubblico valore di piena prova, fino a querela di falso, unicamente quanto alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato nonchè delle dichiarazioni ricevute e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre quanto alla veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese al verbalizzante la Corte territoriale (citando la giurisprudenza uniforme di questa Corte suprema, a partire da Cass. S.U. 25 novembre 1992 n. 12545), ha correttamente affermato che ad esso non può essere attribuita alcuna fede privilegiata sol perchè riportato nel verbale ispettivo, dovendo viceversa essere valutato liberamente dal giudice alla stregua di altri elementi di prova acquisiti al processo, ivi compresa l’assenza di ogni deduzione probatoria contraria.

Costituisce infatti orientamento giurisprudenziale consolidato, fondato sulla disciplina di cui all’art. 2699 e ss. c.c. l’affermazione secondo la quale i verbali redatti dal pubblico ufficiale incaricato di ispezioni, anche per l’accertamento di eventuali infrazioni amministrative, fanno piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento da colui che lo ha formato nonchè dei fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti mentre non hanno alcun valore probatorio precostituito, ma sono liberamente apprezzate dal giudice nel contesto del complessivo materiale raccolto (pertanto mai quali fonti esclusive del proprio convincimento), le circostanze che il pubblico ufficiale indichi di avere appreso dalle dichiarazioni altrui o che siano il frutto di sue deduzioni (cfr., per tutte, Cass. 25 giugno 2003 n. 10128 e 10 dicembre 2002 n. 17555) Sulla base di tali premesse e senza contraddizione rispetto ad esse, la Corte territoriale ha rilevato che, essendo pacificamente ammessa dalla società l’utilizzazione di alcuni collaboratori per la bollinatura dei medicinali in deposito presso di essa per l’adeguamento dei prezzi, l’individuazione dei nominativi di questi era stata incontestabilmente desunta dagli ispettori dalla documentazione esistente in azienda proveniente dalla società e relativa agli anni in questione.

Quanto poi alla natura giuridica di tali collaborazioni, considerate dalla società come autonome e occasionali, la Corte territoriale, premessa l’enunciazione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte da utilizzare per la qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, da adattare peraltro anche alla specificità del lavoro esaminato, ha desunto dai connotati descritti dagli ispettori, anche alla luce delle dichiarazioni di uno di tali collaboratori rese in occasione dell’accertamento, la natura subordinata del rapporto dedotto.

La Corte ha anzitutto evidenziato il livello professionale molto modesto dell’attività svolta (trattasi della elementare operazione di incollaggio di bollini autoadesivi sul prodotto in deposito) che non richiede normalmente direttive e controlli continui da parte del committente, sicchè la sua qualificazione si apprezza maggiormente attraverso la considerazione dei cd. elementi sussidiari.

Inoltre i giudici di merito hanno posto in evidenza il fatto che tale attività, svolta senza contratto scritto che ne circoscrivesse con esattezza il perimetro, era stata prestata con continuità per un arco di tempo di oltre quattro anni e nell’ambito della organizzazione aziendale disciplinata dal responsabile del magazzino, senza assunzione di rischi per i lavoratori e per la realizzazione di un risultato essenziale per l’impresa. Hanno infine rilevato che, a fronte di tali significativi connotatala società non aveva ritenuto di dedurre a prova elementi di sostegno di un diverso dispiegarsi del rapporto, salvo produrre verbali di testimonianze rese in un giudizio diverso tra essa società e l’INAIL, che i giudici di merito hanno ritenuto, con giudizio loro riservate), ininfluenti.

Trattasi di una valutazione che, scontata la natura banale dell’attività considerata, correttamente appare adattare alle particolarità conseguenti di essa i criteri valutativi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, ravvisando nel complesso dei dati acquisiti un significato fortemente indiziario nel senso della subordinazione, non contraddetto da ulteriori indizi ed elementi di prova provenienti dallàattività processuale della società.

La quale col ricorso contesta altresì genericamente in molti punti che i fatti e le circostanze assunte dalla Corte territoriale ad elementi di prova della subordinazione siano effettivamente emersi in giudizio, ad essi contrapponendo caratteristiche di pretesa autonomia della collaborazione, che peraltro non afferma di aver dedotto a prova e provato in giudizio per contrastare gli elementi indiziari dedotti dall’INPS, così rafforzando il convincimento dei giudici in ordine alla significatività degli elementi di prova raccolti.

Infine, quanto alla valutazione della Corte relativamente alla non contestazione del quantum debeatur, essa nella sentenza non appare utilizzata, contrariamente all’assunto difensivo della ricorrente, anche a sostegno dell’an debeatur. Inoltre, essa non risulta smentita dalle obiezioni, del tutto generiche (nei riguardi di un conteggio effettuato, con i criteri di legge, sulla base del rilievo dei nominativi dei lavoratori interessati, dei periodi di riferimento e del compenso erogato per ciascun periodo), che la società riferisce – riproducendole – di avere formulato in proposito già nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado.

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso è infondato e va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, come operato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a rimborsare all’INPS le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10,00 per spese ed Euro 5.000,00, oltre Iva e C.P.A. e spese generali del 12,50%, per onorari di avvocato. Nulla per le spese di ETR s.p.a..

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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