Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7937 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.28/03/2017),  n. 7937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11165-2012 proposto da:

D.A.T., (OMISSIS), R.M., (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI MONSERRATO 25, presso lo

studio dell’avvocato RICCARDO DELLI SANTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DANIELA VIVA;

– ricorrenti –

contro

N.R., (OMISSIS), S.S.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUTEZIA 8, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO ROSI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITO DE VITO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 389/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato CARLO ALBINI, con delega

dell’Avvocato RICCARDO DELLI SANTI difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VITO DE VITO, difensore dei controricorrenti, che si

è riportato agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pratis, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.A.T. e R.M., con ricorso notificato il 4 maggio 2012 hanno chiesto a questa Corte di Cassazione l’annullamento della sentenza n. 389 del 2012, con la quale la Corte di Appello di Milano in riforma della sentenza n. 404 del Tribunale di Milano accoglieva la domanda, avanzata dai sigg. N.R. e S.S., di condanna degli attuali ricorrenti alla riduzione del loro fabbricato realizzato nel cortile dello stabile di via Buschi n. 25, fino all’altezza massima di mt 4,80. Secondo la Corte di Milano, i sigg. D.A.T. e R.M. non avevano rispettato la clausola n. 2 della convenzione di comunione di cortile del 3 febbraio 1960 la quale stabiliva che la superficie dei cortili convenzionati avrebbe dovuto essere “resa e mantenuta libera da costruzioni, che si elevano sul piano del cortile stesso a quota superiore a quella del pavimento più basso dei locali di abitazione, non seminterrati, avente necessario prospettato sul cortile comune “, e poneva talune eccezioni fra le quali era indicata la costruzione ad un piano fuori terra sull’area indicata nell’allegato tipo della linea tratteggiata e con le cifre 1.2.3, costruzione vincolata con servitus altius non tollendi oltre i mt 4,80 (quattro metri e ottanta centimetri)”. La costruzione sopra descritta era proprio quella dei sigg. D.A. – R., i quali con le opere di manutenzione avevano elevato l’altezza fin a mt. 6,75 a seguito della realizzazione di un nuovo tetto a doppia falda.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.A. e R. con ricorso affidato a tre motivi. I Sigg. N. e S. hanno resistito con controricorso. In data 21 ottobre 2016, D.A. e R. hanno depositato sentenza del Tribunale penale di Milano, con la quale il Giudice delle indagini preliminari ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale che vedeva coinvolte le parti interessate nel presente procedimento, rispettivamente come persona offesa ( N.N.) e parte imputata. Il 21 ottobre 2016 D.A. e R. hanno depositato n. 10 Ordine di archiviazione del GIP n. 229487/14 depositato in cancelleria il 15 luglio 2013. In prossimità dell’udienza pubblica N. e S. hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= I sigg. D.A. e R. lamentano:

a) Con il primo motivo del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 149 c.p.c. nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 nullità assoluta della sentenza e del procedimento di secondo grado per inesistenza della notificazione dell’atto di citazione in appello. I ricorrenti sostengono che l’intero giudizio di secondo grado e la stessa sentenza d’appello sarebbero nulli, perchè non sarebbe stato notificato l’atto di citazione in appello. La parte appellante, in verità, secondo i ricorrenti, non avrebbe prodotto la ricevuta di ritorno, e neppure un’eventuale duplicato della ricevuta di ritorno, della raccomandata con la quale è stato spedito l’atto di appello.

B) Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per vizio di motivazione per insufficienza della stessa circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale: a) non avrebbe interpretato correttamente il contenuto della convenzione ritenendo che le parti con l’art. 2 della convenzione avesse costituito una servitù altius non tollendi, non considerando, invece, che così come aveva detto il Tribunale, le parti con quella convenzione volevano considerare i loro rispettivi cortili come unico alla cui area proporzionare la complessiva superficie delle prospicienti pareti secondo le prescrizioni di cui all’art. 44 del Regolamento di igiene del Comune di Milano (che stabiliva la proporzione di 1/5. b) La Corte di prossimità non avrebbe tenuto conto dell’errore di calcolo in cui è incorso il CTU, posto che il CTU avrebbe misurato l’altezza dell’edificio dei ricorrenti non la quota della gronda, come avrebbe dovuto fare, coincidente con la precedente copertura piana ma al colmo del nuovo tetto a falde attribuendo quindi rilevanza alla porzione triangolare delimitata dalle falde stesse.

C) Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa motivazione circa un fatto decisivo ai fini del decidere sulla richiesta di risarcimento del danno e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 1226 c.c.. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale non avrebbe indicato le ragioni per le quali la sussistenza dei danni da minor godimento di aria luce e veduta a far tempo dal 2003 fosse in re ipsa, non tenendo conto che per costante orientamento della Corte di Cassazione, anche il danno di cui si dice andava dimostrato. Non solo, ma la domanda di risarcimento del danno in forma specifica non esimerebbe l’interessato dall’onere di offrire gli elementi probatori in ordine alla sussistenza del danno.

1.1.= Il primo motivo è fondato.

Va anzitutto evidenziato che, ai fini del giudizio, irrilevante è la produzione dei documenti effettuata dalla parte ricorrente per la ragione assorbente che i ricorrenti, con tale documentazione, chiederebbero a questa Corte, in forma diretta od indiretta, di valutare documenti, comunque, valutati dalla Corte distrettuale.

La censura è fondata essenzialmente perchè dalla documentazione risulta depositato un avviso di ricevimento del plico contenente l’atto di appello, senza la firma del soggetto cui il plico è stato consegnato.

Vero è che la Corte di Appello di Milano all’udienza del 16 settembre 2008 attestava, come risulta dal relativo verbale: Il procuratore degli appellanti deposita duplicati delle r/r di notifica agli appellati D.A.T. e R.M.. La Corte rileva la ritualità delle notifiche agli appellati ne dichiara la contumacia e, su istanza del proc. degli appellanti, rinvia per la pc. all’udienza del 15 gennaio 2011, h. 9,30″. Tuttavia, come ha già affermato questa Corte, in altra occasione, (Cass. 14030 del 2004) la prova della notificazione è data solo dalla relazione di notifica, unico atto idoneo a fornire la certificazione dell’avvenuta notifica, della data di questa e della persona cui la copia è stata consegnata; a tal fine non è sufficiente che il primo giudice abbia attestato nel verbale di udienza l’avvenuta produzione e verifica della relata, perchè il verbale di udienza fa piena prova (art. 2700 c.c.) dei fatti (la produzione e la verifica) che il pubblico ufficiale attesta di avere compiuto, ma non della validità del documento, trattandosi di un mero giudizio che come ogni altra valutazione del primo giudice, deve poter essere vagliato dal giudice d’appello.

Piuttosto, nel caso in esame, il Giudice di appello verificato che la cartolina di ritorno era, insufficiente a dimostrare l’avvenuta notifica, per mancanza della firma del soggetto cui il plico era stato consegnato, un’ipotesi, questa, di nullità della notifica, avrebbe dovuto disporre la remissione in termini per produrre il corretto avviso di notifica e in caso di impossibilità dovuta all’Ufficio postale, su richiesta della parte interessata, avrebbe potuto disporre il rinnovo della notifica dell’atto di appello.

2.= L’accoglimento di questo primo motivo assorbe ogni altra questione prospettata con gli altri motivi.

In definitiva, va accolto il primo motivo, vanno dichiarati assorbiti gli altri. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Milano altra sezione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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