Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7936 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 19/03/2021), n.7936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19959/2019 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con sede in Roma, in persona

del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per

legge domiciliata;

– ricorrente

contro

S.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Buonanno,

con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in

calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Corte di Appello di Firenze il 2

aprile 2019 n. 896, notificata il 24 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 27 gennaio 2021

dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di Appello di Firenze il 2 aprile 2019 n. 896, notificata il 24 aprile 2019, la quale, in controversia su opposizione avverso ordinanza – ingiunzione per il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 4.000,00, in dipendenza dell’accertamento della presenza di un apparecchio di intrattenimento non collegato alla rete telematica presso un esercizio pubblico, ha accolto l’appello proposto da S.S. nei suoi confronti avverso la sentenza depositata dal Tribunale di Firenze il 26 maggio 2015 n. 1857, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Corte di Appello ha riformato la decisione di prime cure (con l’annullamento dell’ordinanza – ingiunzione) sul presupposto dell’inimputabilità della condotta al gestore dell’apparecchio installato nel pubblico esercizio. S.S. si è costituito con controricorso, eccependo, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso per cassazione. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110 (c.d. “Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza”) e della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3 (con riguardo ai principi in materia di colpa negli illeciti amministrativi), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente escluso la ricorrenza dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo, sul presupposto che il gestore non sarebbe più stato nella materiale disponibilità dell’apparecchio di intrattenimento in seguito all’installazione presso l’esercizio pubblico.

RITENUTO CHE:

1. Preliminarmente, si deve disattendere l’eccezione del controricorrente circa l’inammissibilità del ricorso per cassazione sotto vari profili (carenza di autosufficienza con riguardo all’omessa produzione o indicazione dei documenti richiamati, nonchè con riguardo all’omessa trascrizione del contenuto dei documenti richiamati; omessa deduzione delle affermazioni o statuizioni della sentenza impugnata in contrasto con le norme asseritamente violate; conformità della sentenza impugnata alla giurisprudenza di legittimità).

1.1 Anzitutto, si deve escludere che il ricorso sia deficitario di autosufficienza per non aver prodotto, individuato o riprodotto i documenti richiamati.

E’ orientamento consolidato di questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (tra le altre: Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34469).

Ciò non di meno, il ricorrente può considerarsi esonerato dall’assolvimento dei predetti adempimenti nel caso in cui come nella fattispecie – i motivi di doglianza non ineriscano al contenuto o alla rilevanza di specifici documenti, ma attengano alla sussunzione e alla qualificazione della fattispecie accertata dal giudice di merito (nella specie, la riconduzione del fatto nelle sue componenti soggettive ed oggettive – al paradigma dell’illecito sanzionato dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 9, lett. c), in modo che gli elementi significativi per la decisione siano desumibili dal contenuto stesso della sentenza impugnata e non abbisognino di verifiche ab extrinseco.

1.2 Altrettanto dicasi in ordine alla contestazione sulla idonea deduzione del vizio di violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Nella specie, la ricorrente ha sufficientemente assolto l’onere di indicare le norme di legge di cui si intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che sono state richiamate al fine di dimostrare il contrasto col precetto normativo, pur non trascrivendone i passi testuali, ma sintetizzandone e vagliandone le argomentazioni pertinenti (in linea con l’orientamento di questa Corte – da ultime: Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745).

1.3 Parimenti, non può dirsi che la sentenza impugnata sia conforme alla giurisprudenza di legittimità (nella specie, il precedente richiamato dal controricorrente nemmeno risulta nella banca dati della Corte), tenendo conto, come si vedrà in appresso, degli orientamenti più recenti sulla questione controversa.

1.4 Per il resto, il motivo è fondato.

1.5 Il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 9, lett. c, dispone che: “Chiunque sul territorio nazionale distribuisce od installa o comunque consente l’uso in luoghi pubblici od aperti al pubblico od in circoli ed associazioni di qualunque specie di apparecchi o congegni non rispondenti alle caratteristiche ed alle prescrizioni indicate nei commi 6 o 7 e nelle disposizioni di legge ed amministrative attuative di detti commi, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di 4.000 Euro per ciascun apparecchio”.

Il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 6, prescrive, tra le condizioni che consentono di considerare idonea gli apparecchi per il gioco lecito, il collegamento alla rete telematica di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, art. 14-bis, comma 4, e successive modificazioni.

Ora, è vero che a seguito del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 39, convertito, con modificazioni, nella Legge 24 novembre 2003 n. 326, è venuta meno la possibilità di una forma di gestione del gioco lecito diversa da quella telematica, sicchè: 1) gli esercenti non possono gestire gli apparecchi da gioco in forza del solo nulla osta di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 22, essendo stata eliminata qualsiasi gestione del gioco che non sia quella telematica; 2) è riconosciuta unicamente al concessionario per la rete telematica la possibilità di richiedere l’autorizzazione per la gestione del gioco di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 6; 3) il concessionario è responsabile del gioco verso l’amministrazione concedente e provvede al controllo sui gestori delle apparecchiature, adempiendo all’obbligo del collegamento in rete (Cass., Sez. 2, 28 dicembre 2020, n. 29647).

Tali restrizioni del legislatore italiano all’attività d’impresa esercente il gioco lecito mediante apparecchi e congegni elettronici, necessariamente connessi alla rete telematica pubblica, affidata in concessione ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, art. 14-bis, comma 4, sono state già ritenute da questa Corte compatibili con il diritto dell’Unione Europea e con i principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di libertà di stabilimento (Cass., Sez. Un., 29 maggio 2019, n. 14697).

La richiamata disciplina normativa (corredata da quella in tema di responsabilità solidale per le obbligazioni tributarie inerenti al c.d. “prelievo erariale unico” – tra le altre: Cass., Sez. 5, 28 maggio 2019, n. 14535) delinea, pertanto, a carico dei soggetti gestori ed installatori degli apparecchi da gioco, come anche di coloro che concedano i locali per l’utilizzo degli stessi, obblighi concorrenti di verifica del loro utilizzo lecito, cioè in connessione continua alla rete telematica gestita dal soggetto concessionario.

In tal senso, il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 9, lett. c, prevede, sia in capo al concessionario del servizio telematico per la raccolta e la gestione del gioco lecito, sia in capo ai gestori ed agli stessi esercenti, gli adempimenti connessi al funzionamento degli apparecchi e congegni di intrattenimento da gioco (quali l’attivazione della procedura di blocco e di collocazione in magazzino delle apparecchiature non collegate alla rete telematica), legittimando la punizione di tutti coloro che consentono o, comunque, non impediscono l’uso delle macchine non rispondenti alle prescrizioni di legge ed amministrative (Cass., Sez. 2, 28 dicembre 2020, n. 29647). In proposito, è sufficiente richiamare l’insegnamento di questa Corte, a tenore del quale, in materia di adempimenti connessi al funzionamento di apparecchi e congegni di intrattenimento da gioco, la mancata attivazione della procedura di blocco e di collocazione in magazzino delle apparecchiature non collegate alla rete telematica, giustifica la legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.), per violazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 9, lett. c, anche a carico del concessionario del servizio telematico per la raccolta e la gestione del gioco lecito, in quanto, al di là degli adempimenti che ricadono sui gestori e sugli esercenti, la norma prevede altresì la punizione di coloro che consentono l’uso delle macchine non rispondenti alle prescrizioni legali ed amministrative, con obbligo di impedire l’utilizzo irregolare in qualsivoglia ipotesi di funzionamento difforme dalle disposte prescrizioni (ex plurimis: Cass., Sez. 6-2, 11 gennaio 2012, n. 175; Cass., Sez. 6-2, 6 marzo 2013, n. 5590; Cass., Sez. 2″, 27 ottobre 2017, n. 25614).

Peraltro, un recente arresto di questa Corte ha ravvisato un obbligo proprio per l’esercente di controllare la regolarità degli apparecchi di gioco ed accertare l’eventuale mancanza del loro collegamento alla rete tramite il punto di accesso internet/intranet situato nel proprio locale commerciale (Cass., Sez. 5, 4 novembre 2020, n. 24616).

Certamente gestori, installatori ed esercenti che consentano l’utilizzo degli apparecchi da gioco non possono essere chiamati a rispondere, agli effetti del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 9, lett. c, del fatto del concessionario dell’attività di gestione della rete telematica, il quale è tenuto ad effettuare tutte le attività strumentali e funzionali alla corretta ed efficace gestione telematica. Tuttavia, ai fini dell’esclusione della responsabilità amministrativa, in forza della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, occorre altresì accertare che dall’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso quanto alle verifiche attestanti l’avvenuta attivazione del collegamento dei dispositivi del singolo apparecchio di gioco alla rete telematica, ovvero l’eventuale distacco successivo di detto collegamento avvenuto per fatto proprio del concessionario ed in modo del tutto ignoto all’esercente (Cass., Sez. 2, 28 dicembre 2020, n. 29647).

1.2 Nella fattispecie, è stato accertato il mancato collegamento alla rete telematica di un apparecchio da intrattenimento installato dal controricorrente presso l’esercizio pubblico. Ciò non di meno, il giudice di appello ha contraddetto il principio enunciato, ritenendo di escludere a priori la responsabilità del gestore per la custodia, la verifica e la denuncia di eventuali anomalie sui punti di accesso e sugli apparecchi di gioco ad essi collegati, senza accertare se la sua condotta avesse o meno contribuito alla consumazione dell’infrazione addebitatagli.

Nè rileva – come è stato dedotto in memoria dal controricorrente – che l’esercente sia stato autonomamente sanzionato per la medesima violazione, tenendo conto che la norma delinea un eventuale concorso di responsabilità del concessionario, del gestore e dell’esercente per l’illecito amministrativo in questione.

2. Stante la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

 

 

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