Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7933 del 20/04/2020

Cassazione civile sez. III, 20/04/2020, (ud. 09/12/2019, dep. 20/04/2020), n.7933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 27612/2017 proposto da:

UNICREDIT LEASING SPA, in persona del suo Amministratore Delegato

Dott. V.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.

GIANTURCO, 6, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CATAVELLO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

LEONESSA INVESTIMENTI SRL, A SOCIO UNICO, nella sua qualità di

assuntore del concordato fallimentare FALLIMENTO (OMISSIS) SRL

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 4, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO SARROCCO che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 718/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 13/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per la rimessione alle SS.UU. su

contrasto applicazione art. 72 quater, in subordine rigetto;

udito l’Avvocato LUANA NANNI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Udine fu adito, con atto di citazione notificato addì 01/08/2013, dal Fallimento della (OMISSIS) srl in liquidazione, già utilizzatrice di un immobile concesso in leasing e sciolto per suo inadempimento prima della dichiarazione di fallimento, affinchè la concedente o locatrice Unicredit Leasing spa (già Locat spa) fosse condannata alla restituzione dei canoni versati dalla fallita ai sensi dell’art. 1526 c.c., comma 1, dedotto l’equo compenso (reclamato dalla convenuta in Euro 1.182.165,94); e tanto sulla premessa della reiezione.

2. L’adito tribunale accolse la domanda per l’importo netto di Euro 849.949,50 (già al netto di Euro 554.986,60 per l’equo compenso per l’utilizzo del bene), pure sul presupposto della tardività dell’eccezione di applicazione dell’art. 1526 c.c., comma 2, formulata dalla locatrice, nonchè all’esito anche di consulenza tecnica di ufficio per la determinazione del valore dell’immobile.

3. In particolare, il contratto di leasing immobiliare intercorso tra la Locat spa e la (OMISSIS) srl era stato risolto addì (OMISSIS) per perdurante inadempimento dell’utilizzatrice e, – questa dichiarata fallita nel successivo mese di (OMISSIS),- era stata dalla locatrice presentata istanza di ammissione al passivo del credito contrattuale maturato (pari ad Euro 1.394.345,41), nonchè istanza di rivendica diretta ad ottenere la restituzione del bene dato in locazione; e, respinta la prima domanda sul presupposto dell’applicabilità in via analogica dell’art. 1526 c.c., la seconda era stata accolta (provvedimento 23/12/2011 del Tribunale).

4. Le parti avevano discusso, sia sull’efficacia del decreto del giudice fallimentare, sostenuta dall’attrice curatela e negata dalla convenuta per la sua tipica limitazione endofallimentare, sia sull’applicabilità del capoverso dell’art. 1526 c.c., eccepita in prima udienza dalla convenuta, che aveva invocato la clausola contrattuale che le riconosceva il diritto ad incamerare i canoni versati, oltre quelli futuri a titolo di penale, salvo l’equo indennizzo in favore dell’utilizzatore.

5. L’appello di Unicredit Leasing spa avverso la sentenza di primo grado, pronunciata all’udienza 07/03/2016, fu articolato su quattro motivi di doglianza, aventi ad oggetto:

– l’applicazione in via analogica dell’art. 1526 c.c., in insanabile contrasto con la L. Fall., art. 72 quater, applicabile anche ai contratti risolti prima del fallimento;

– l’omesso riconoscimento alla concedente del diritto al risarcimento del danno quale effetto predeterminato ex lege;

– la ritenuta tardività della relativa eccezione, scevra da preclusioni per integrare un mero richiamo all’applicazione degli effetti prodotti dell’art. 1526 c.c., comma 2;

– l’iniquità del calcolo dell’equo compenso.

6. La Corte d’appello respinse peraltro il gravame, con sentenza 13/09/2017, n. 718, con cui:

– confermò l’esclusione dell’applicabilità della L. Fall., art. 72 quater, in luogo della L. Fall., art. 72, comma 5, per essere stato risolto il contratto prima della dichiarazione di fallimento;

– dichiarò inammissibile la domanda di applicazione della clausola penale contrattuale, sia per la sua tardività, sia per diversità ed estraneità di quella rispetto a quanto disputato in primo grado;

– dichiarò inammissibili, per genericità, le doglianze sul parametro per il computo dell’equo compenso.

7. Per la cassazione della sentenza di appello, nel frattempo pure omologato il concordato fallimentare proposto da Leonessa Investimenti srl a s.u. con conseguente chiusura (provvedimento del 12/10/2017) del fallimento, ha proposto ricorso la Unicredit Leasing spa, con atto notificato il 20/11/2017: al quale resiste con controricorso la sola proponente o assuntrice del concordato.

8. Il ricorso, dapprima trattato all’adunanza camerale del di 11/06/2019, è stato poi rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 21313 del 10/08/2019 per la peculiare rilevanza e novità della questione dell’incidenza dello ius superveniens – di cui della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi da 136 a 140 – sul contratto di leasing risolto prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatrice, con conseguente alternativa tra l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. e della L. Fall., art. 72 quater, questione pure già affrontata dalla recente Cass. 14/02/2019, n. 8980.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Come già rilevato nell’ordinanza interlocutoria, la ricorrente articola quattro motivi e, in particolare, col primo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,1526 e 1458 c.c., nonchè della L. Fall., art. 72 quater, nella parte in cui la Corte territoriale ha: da un lato, escluso l’applicabilità di detta ultima disposizione sul presupposto che la stessa sia applicabile soltanto con riferimento all’ipotesi di scioglimento del contratto ad opera del curatore; dall’altro lato, ritenuto applicabile l’art. 1526 c.c., anche nell’ipotesi di fallimento dell’utilizzatore ove il credito del concedente sia conseguente alla risoluzione del contratto (intervenuta prima dell’apertura della procedura).

2. Al riguardo, rileva la ricorrente che la sopravvenuta L. n. 124 del 2017, nel porre al comma 137, la disciplina della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento, ha reso irrilevante la distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, in quanto, per entrambi, l’assoggettabilità del contratto alla nuova disciplina normativa dipende unicamente dal fatto che all’utilizzatore venga o no attribuito il diritto di riscatto (a prescindere dunque dai profili economici delle condizioni pattuite); ricorda che, in epoca anteriore all’entrata in vigore della novella, era stato sostenuto che la determinazione del credito contrattuale doveva avvenire previa quantificazione del valore del bene al momento della restituzione dello stesso da parte dell’utilizzatore; mentre, per effetto della tipizzazione normativa, il parametro di calcolo è espressamente indicato in “quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato”; e sostiene infine che, a seguito della novella, nel caso di fallimento dell’utilizzatore, non è più applicabile in via analogica l’art. 1526 c.c., dovendosi invece applicare la L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 140 e, per esso, la L. Fall., art. 72 quater; sicchè, in definitiva, la sua condanna alla restituzione dei canoni di locazione, già riscossi dalla fallita, costituisce il risultato di un’interpretazione oramai incompatibile con l’attuale complesso normativo.

3. Col secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la società ricorrente denuncia omessa valutazione del fatto, decisivo e controverso, costituito dalla natura del contratto di leasing, nonchè l’erroneità della qualificazione del leasing per cui era causa quale traslativo, per un’evidente carenza motivazionale, dovuta all’omissione di ogni valutazione sul contenuto degli atti difensivi e sulla volontà delle parti, come trasfusa nel regolamento negoziale.

4. Con il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Unicredit Leasing spa denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 167 c.p.c., nella parte in cui entrambi i giudici di merito – dopo aver qualificato come penale la clausola di non ripetibilità dei canoni riscossi dalla concedente – hanno ritenuto che detta clausola, essendo la sua operatività rimessa esclusivamente all’iniziativa di parte, doveva essere considerata eccezione in senso stretto, con la conseguenza che non poteva essere sollevata dalla società convenuta che si era costituita soltanto in sede di prima udienza. Sostiene, ancora, che il giudice di primo grado avrebbe dovuto comunque esaminare d’ufficio la regolamentazione pattizia, la cui non applicabilità era stato un presupposto per l’accoglimento della domanda del fallimento; e che, contrariamente a quanto ritenuto da entrambi i giudici, la sua eccezione, avendo una funzione meramente difensiva, avrebbe dovuto essere considerata un’eccezione in senso lato, con conseguente tempestività e ritualità della sua proposizione.

5. Con il quarto ed ultimo motivo, la società ricorrente lamenta infine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.c., in ragione dell’errata individuazione del metodo di calcolo dell’equo compenso. Ricorda che con l’appello aveva protestato per l’iniquità del metodo di calcolo della misura dell’equo compenso, parametrato alla perdita del valore del bene pari alla differenza tra il prezzo d’acquisto ed il valore del bene alla data della restituzione. Si duole che la Corte territoriale non ha indicato in motivazione,nè le ragioni per le quali il riferimento alla vendita dell’immobile costituirebbe un dato generico e neppure l’atto processuale con il quale essa avrebbe individuato nel momento della restituzione il corretto parametro di riferimento per il calcolo dell’equo compenso. Sostiene che fissare il momento temporale della determinazione del valore dell’immobile alla data di restituzione dello stesso significa trasferire sulla società di leasing tutte le conseguenze pregiudizievoli collegate alla anticipata risoluzione del contratto ed alla necessità di provvedere all’esercizio di un’attività (la commercializzazione del bene) che non rientra nelle attività istituzionali di una società di leasing. Al contrario, sarebbe stato da assumere a parametro temporale il momento della presumibile vendita del bene stesso, ponendo se del caso un termine congruo per portare a compimento il processo di commercializzazione.

6. Deve accantonarsi la problematica della rituale instaurazione del contraddittorio sul ricorso nei confronti della curatela, che si lascia pertanto impregiudicata, per l’eventualità che la questione di merito per la quale il ricorso è stato rinviato alla pubblica udienza non sia poi decisa in senso sfavorevole a quella specifica parte processuale: eventualità che, peraltro, va verificata all’esito della disamina della questione di cui appresso, sulla quale questa sezione ritiene di non potersi pronunciare, almeno allo stato.

7. Al riguardo, va invero rilevato che in materia di leasing è intervenuta, in corso di causa e nell’imminenza della pubblicazione della sentenza oggi gravata, una significativa innovazione legislativa, secondo quanto disposto dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, commi 136 a 140; e che, di questi, i commi dal 138 recitano: “(138) In caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonchè le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente.

(139) Ai fini di cui al comma 138, il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati. Quando non è possibile far riferimento ai predetti valori, procede alla vendita sulla base di una stima effettuata da un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro dieci giorni dal ricevimento della predetta comunicazione. Il perito è indipendente quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio. Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore.

(140) Restano ferme le previsioni di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 72-quater…”.

8. In materia, la prima sezione di questa Corte, con sentenza 29/03/2019, n. 8980 (seguita, ad oggi, almeno da Cass. 10/05/2019, n. 12552), ha, in modo altrettanto significativo, innovato i precedenti approdi ermeneutici di legittimità sugli effetti del fallimento dell’utilizzatore sul contratto di leasing già risolto, argomentando che:

– a seguito all’entrata in vigore della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, commi da 136 a 140, gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore, devono essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti;

– la nuova disciplina si pone in linea di continuità appunto con l’art. 72 quater, che, dettando un paradigma unitario, è applicabile pure ad una fattispecie come quella in esame, in conformità ad un indirizzo interpretativo che, disatteso da questa Corte in coerenza con la precedente ricostruzione indotta dalla carenza di una disciplina positiva, era stato seguito dalla prevalente giurisprudenza di merito;

– tale norma, benchè dettata per l’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing dipenda da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la peculiare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo qualificarsi allora in via definitiva superato il ricorso in via analogica alla disciplina dell’art. 1526 c.c.;

– tanto non implica l’attribuzione di un carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina recata dalla L. n. 124 del 2017, ma l’applicazione di un criterio ermeneutico storico-evolutivo, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica deve dispiegarsi solo nell’attualità;

– e ciò a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo tipo negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nella specie, locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale;

– tale pregresso indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.

9. Le conseguenze dell’innovativa pronuncia sono sensibili ed in modo sensibili divergono dai precedenti approdi ermeneutici, poichè:

– gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della L. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140), vanno regolati dalla disciplina della L. Fall., art. 72 quater, da reputarsi applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore;

– pertanto, in caso di fallimento dell’utilizzatore il concedente ha diritto alla restituzione del bene e deve insinuarsi al passivo per poter vendere il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato;

– la vendita avviene a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo;

– sulla base di tale valutazione va determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o quello, in moneta fallimentare, del concedente stesso, da quantificarsi in misura corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, derivante dai canoni scaduti e non pagati anteriormente al fallimento ed i canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione;

– eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, vanno fatte valere in sede di riparto.

10. Eppure, l’orientamento tradizionale sull’inestensibilità della L. Fall., art. 72 quater (siccome specificamente dettato per lo scioglimento del contratto per determinazione del curatore) al contratto di locazione finanziaria di natura traslativa e, comunque, della persistente applicabilità dell’art. 1526 c.c., in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore risulta invece tuttora presupposto quanto meno da Cass. ord. 31/10/2019, n. 27999, nonchè da Cass. 08/10/2019, n. 25031, per limitarsi alle pronunce successive al revirement di cui a Cass. n. 8980/19, ma era stato ribadito fino a poco tempo prima con convinzione.

11. A questo riguardo, basti un richiamo, tra tutte, a Cass. ord. 12/02/2019, n. 3965, ovvero da Cass. 13/11/2018, n. 29020; mentre ancora pochi mesi prima del revirement, Cass. ord. 13/09/2018, n. 22276, ribadiva:

– da un lato, che la L. Fall., art. 72 quater, trovava circoscritta applicazione al solo caso di pendenza del contratto di leasing al momento del fallimento dell’utilizzatore, mentre, ove si fosse anteriormente risolto, occorreva distinguere a seconda che si trattasse di leasing finanziario o traslativo, per quest’ultimo potendosi utilizzare, in via analogica, l’art. 1526 c.c. (con richiamo a: Cass. 09/02/2016, n. 2538; Cass., 13/02/2017, n. 3750; Cass. 07/09/2017, n. 20890; Cass. 15/09/2017, n. 21476);

– d’altro lato, che al leasing traslativo si applicava la disciplina della vendita con riserva della proprietà, sicchè, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo aveva diritto alla restituzione delle rate riscosse solo dopo la restituzione della cosa, mentre il concedente aveva diritto, oltre al risarcimento del danno, a un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto.

12. L’indubbia evoluzione del quadro normativo, che ha affrancato il leasing dal limbo giuridico in cui si era trovato fin dalla sua tipizzazione sociale prima te giurisprudenziale poi, per erigerlo a tipo contrattuale positivo, ha peraltro elementi di sensibile discontinuità con l’elaborazione degli istituti ad opera della giurisprudenza (assolutamente consolidata, almeno a livello di quella di legittimità), insostituibile fino ad allora proprio in carenza di un testo normativo.

13. Tanto induce però la necessità di un’attenta ricostruzione, non solo dei contenuti della nuova disciplina de futuro, ma pure delle ricadute di questa de praeteritu, potendo comunque occorrere un’attenta considerazione degli effetti innovativi sui contratti non solo e non tanto già pattuiti, ma perfino su quelli già risolti in tempo anteriore, comunque in tempo in cui la volontà dei paciscenti avrebbe dovuto ritenersi fare compiuto affidamento appunto sui principi come consacrati quanto meno nell’elaborazione giurisprudenziale, mancando qualunque disciplina transitoria; e salva la verifica della congruenza della predicata applicazione analogica di norme, quale la L. Fall., art. 72 quater, a fattispecie connotate da presupposti obiettivamente di non immediata ed agevole comparabilità, ad iniziare dal rilievo che si applicherebbe la disciplina sui rapporti pendenti al momento del fallimento anche ai rapporti già esauriti.

14. Ritiene in definitiva il Collegio, condividendo la prospettazione del Pubblico Ministero, che ricorrono le condizioni per rimettere gli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite, in quanto implicante una questione di massima di particolare importanza, se non pure integrante un contrasto giurisprudenziale in senso tecnico, quale quella degli effetti della sopravvenuta introduzione della disciplina positiva della locazione finanziaria o leasing – di cui della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, commi da 136 a 140 – sulla disciplina del contratto in caso di suo scioglimento per inadempimento dell’utilizzatore prima della dichiarazione del suo fallimento e, tra l’altro, della correttezza o meno di una eventualmente persistente applicabilità dell’art. 1526 c.c., in luogo della L. Fall., art. 72-quater.

P.Q.M.

La Corte trasmette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza indicata in motivazione.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

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