Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7929 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/03/2017, (ud. 12/01/2017, dep.28/03/2017),  n. 7929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17761/2015 proposto da:

R.B.A., (OMISSIS), rappresentato e difeso da se

medesimo unitamente all’avvocato SILVANA LOMBARDI, presso il cui

studio in ROMA, CIRC.NE CLODIA 165, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

F.P.E.M., (OMISSIS) e F.E. (OMISSIS)

in qualità di eredi testamentari della propria madre

O.D.M.G., deceduta, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO PREVOSTO;

– controricorrenti –

e contro

IMMOBILIARE VIA NUVOLONI S.r.l. in persona del legale rappresentante

pro tempore, già IMMOBILIARE VIA NUVOLONI s.a.s. di

V.R. & C., già IMMOBILIARE VIA NUVOLONI s.a.s. di VA.FA.

& C;

– intimate –

avverso la sentenza n. 108/2015 del TRIBUNALE di IMPERIA, depositata

il 10/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

uditi gli Avvocati R.B.A. e SILVANA LOMBARDI,

difensore del ricorrente, che hanno chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato ALDO PREVOSTO, difensore dei controricorrenti, che

ha chiesto l’accoglimento delle difese in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha depositato conclusioni scritte, qui

di seguito trascritte ed allegate al verbale d’udienza:

1. Inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso anche ex

art. 360 bis c.p.c., n. 1; condanna aggravata di parte ricorrente

alle spese sia per la temerarietà delle pretese azionate in

contrasto con consolidati orientamenti della Suprema Corte, sia

perchè parte ricorrente ha abusivamente frazionato l’asserito

credito; statuizione sul contributo unificato;

2. in subordine, rimessione alle Sezioni Unite affinchè statuiscano

lambito di applicazione, anche ratione temporis, dell’art. 385

c.p.c., comma 4 e art. 96 c.p.c., comma 3, atteso che:

2.1. a fronte di talune sporadiche decisioni della Suprema Corte

(così Sez. 6-3, Ordinanza n. 3376 del 22/02/2016, Rv. 638887, che

ha motivatamente applicato l’art. 385 c.p.c., comma 4), le

argomentate domande di condanna aggravata alle spese proposte da

parecchi anni dalla Procura Generale sono state (implicitamente)

disattese dalla Suprema Corte, omettendo per altro qualunque

motivazione al riguardo (v. ex multis Cass. n. 23865/2015 e

3349/2016);

2.2. da accertamenti eseguiti dall’Ufficio statistico della

Cassazione emerge che, nel periodo 2006 2015, si registrano soltanto

sei condanne aggravate alle spese ex art. 385, comma 4, a fronte

delle migliaia di ricorsi dichiarati inammissibili o manifestamente

infondati soprattutto dalla Sesta Sezione (deputata per l’appunto al

c.d. filtro);

2.3. in sede penale la condanna all’ammenda è adottata normalmente

nei casi previsti (art. 616 c.p.p. e Corte Costituzionale sent.

186/2000);

2.4. la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima

la previsione del novellato art. 96 c.p.c. (sent. 152/2016), sicchè

a fortiori deve ritenersi immune da qualunque illegittimità

costituzionale anche il più rigoroso precetto dell’art. 385 c.p.c.,

comma 4;

2.5. anche nella common law è sanzionato l’abuso del processo,

essendo prescritto che ogni atto non deve essere mai strumentale a

scopi impropri, come ad esempio per molestare o provocare inutili

ritardi o aumento inutile dei costi del contenzioso (any improper

purpose, such as to harass or to cause unnecessary increase in the

cost of litigation (Rule 11 b) 1) delle Federal Rules of civil

Procedure));

2.6. la doverosa applicazione della condanna aggravata, potrebbe

indurre molti Avvocati a desistere da un ricorso frettolosamente o

incautamente proposto (anche per evitare la duplicazione del

contributo unificato), così contribuendo efficacemente alla

riduzione del contenzioso pendente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Imperia, con sentenza depositata il 10.3.2015, ha accolto l’appello proposto da O.d.M.G. nei confronti di R.B.A. e della sas Immobiliare via Nuvoloni di Va.Fa. & C contro la sentenza 98/09 del Giudice di Pace di Sanremo e, in riforma della stessa, ha revocato il Decreto Ingiuntivo n. 06 del 2008, emesso dal Giudice di Pace (per Euro 1.375,00 a titolo di spese condominiali oltre interessi e spese legali), condannando il R.B. alla restituzione in favore della O.d.M. della somma di Euro 3.459,36 oltre interessi.

Il Tribunale ha motivato la sua decisione osservando, per quanto di stretto interesse in questa sede:

– che il titolo posto a base del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del R.B. era rappresentato da una Delib. condominiale affetta da nullità (e come tale sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c.), perchè, vertendosi in ipotesi di condominio cd. minimo (in quanto composto solo dal R.B. e dalla O.d.M.) occorreva necessariamente l’unanimità mentre nel caso di specie era stata adottata, in carenza di potere deliberativo da uno solo dei partecipanti (il R.B., stante l’assenza dell’altra);

– che era da considerarsi nuova, e dunque inammissibile, la richiesta, avanzata dall’appellato, di poter ripetere ex art. 1134 c.c., le somme anticipate in via di urgenza;

2. Contro tale pronuncia ricorre per cassazione il R.B. con due motivi a cui resistono con controricorso F.P.E.M. ed E., in qualità di eredi della O.d.M. (nelle more deceduta).

La società Immobiliare non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorrente e gli eredi della O.d.M. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1136, 1139, 1105 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudicante in grado di appello ritenuto nulla se non inesistente la delibera del Condominio di (OMISSIS).

Secondo il ricorrente il Tribunale ha errato nel ritenere la Delib. nulla o addirittura inesistente, avendo fatto confusione tra il concetto di unanimità e quello di totalità: rileva in particolare che l’unanimità richiesta dalla giurisprudenza ai fini della validità delle delibere del condominio minimo può validamente formarsi non solo nel caso di concordanza di opinioni espresse dai due partecipanti, ma anche nell’ipotesi – verificatasi nel caso di specie – di decisione assunta dall’unico condominio comparso all’assemblea regolarmente convocata. Ritiene che nel condominio minimo l’assemblea possa ritenersi validamente costituita anche nel caso in cui compaia uno solo dei partecipanti ed in tal caso la delibera debba ritenersi adottata all’unanimità degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dall’art. 1136 c.c..

In ogni caso il ricorrente osserva che si tratterebbe al più di delibere annullabili perchè affette da vizi attinenti alla regolare costituzione dell’assemblea o adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale. Di conseguenza, occorreva una tempestiva impugnazione della delibera nei termini di legge, ma a tanto la condomina assente non ha provveduto.

Il motivo è infondato.

Le sezioni unite hanno affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, “a fortiori”, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006 Rv. 586562; v. anche Sez. 6-2, Ordinanza n. 5288 del 03/04/2012).

Altra e più recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale (v. Sez. 2, Sentenza n. 7457 del 14/04/2015 Rv. 635000-01 ma evidentemente sempre con riferimento all’ipotesi di mancanza di accordo tra le parti).

Da tali principi discende dunque che nel condominio cd. minimo (formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorchè l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione (decisione unanime) quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all’unanimità).

Ed è proprio questo il senso della pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006 ove in motivazione testualmente si afferma: “nessuna norma impedisce che l’assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decida validamente”. Si rivela così infondata la tesi formalistica del ricorrente secondo cui, se la Corte Suprema avesse voluto richiedere sempre la presenza di entrambi e la votazione unanime, avrebbe detto espressamente che in un condominio minimo ci vuole sempre il consenso di entrambi senza approfondire l’applicabilità dell’art. 1136 c.c..

Nella diversa ipotesi in cui non si raggiunga l’unanimità e non si decida, poichè la maggioranza non può formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 c.c. (v. sez. unite cit. in motivazione).

Volendo esemplificare, si tratta del caso in cui decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione – benchè regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che il ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 c.c..

Ora, nel caso di specie, l’avvocato R.B. fu certamente diligente nel tentare la prima e più semplice soluzione, convocare la zia condomina per discutere dei lavori al fabbricato, ma avrebbe dovuto poi prendere atto, proprio perchè si trattava di un “condominio minimo”, della impossibilità di costituire l’assemblea per assenza dell’altra partecipante e quindi per l’impossibilità di pervenire ad una decisione unanime (nel senso sopra inteso), condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge; e, posto di fronte ad una tale situazione di impasse, aveva l’onere di azionare il procedimento camerale previsto dall’art. 1105 c.c., lasciando poi che fosse l’autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, non esclusa la nomina di un amministratore.

La diversa scelta di decidere da solo si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volontà proprio perchè – lo si ripete – mancava l’unanimità della decisione e quindi la condizione essenziale per l’applicabilità al condominio minimo di (OMISSIS) delle regole codicistiche.

Non merita pertanto nessuna censura la sentenza impugnata che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullità o addirittura l’inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso (v. al riguardo Sez. 2, Sentenza n. 305 del 12/01/2016 Rv. 638022).

2. Col secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 345, 645 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto come domanda nuova la prospettazione delle spese come necessarie ed urgenti.

Anche tale censura è infondata.

Il procedimento monitorio per ottenere il pagamento della quota di spettanza della zia in relazione ai lavori di sistemazione della villa somme palla è) stato azionato da R.B. in veste di “coammministratore” del bene comune sulla base di una delibera condominiale di approvazione della relativa spesa. Nessun riferimento dunque in quella sede, neanche in via subordinata, ad una domanda di rimborso per spese urgenti in veste di condomino ai sensi dell’art. 1134 c.c..

La decisione del Tribunale è giuridicamente corretta perchè la domanda di rimborso ex art. 1334 c.c., contiene una causa petendi completamente diversa rispetto a quella di pagamento avanzata dall’amministratore (nel primo caso, urgenza delle spese per le cose comuni sostenute dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea nel quadro di una tipica attività gestoria; nel secondo caso, esistenza di una valida autorizzazione dell’assemblea condominiale).

3. Il rigetto del ricorso (e quindi la conferma della revoca dell’ingiunzione di pagamento) assorbe logicamente la questione del frazionamento del credito unitario, richiamata nel controricorso e di cui pure si era doluta l’appellante e l’altra appellata.

4. La soccombenza del ricorrente comporta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente.

La richiesta di condanna aggravata avanzata in udienza dal Procuratore Generale non può trovare accoglimento.

Nel caso in esame, infatti, il ricorso non è stato ritenuto nè inammissibile, nè manifestamente infondato e non si ravvisano profili di colpa grave nel comportamento del ricorrente perchè il nucleo centrale della lite condominiale, sfociata in sede di legittimità, è costituito da una questione di diritto (la disciplina giuridica del condominio minimo) di elaborazione giurisprudenziale e di non semplice soluzione.

Non si ravvisano pertanto le condizioni per la rimessione della questione alle sezioni unite, pure in subordine domandata dalla parte pubblica.

Considerato, infine, che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 1.600,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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