Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7924 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/03/2017, (ud. 30/01/2017, dep.28/03/2017),  n. 7924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8557-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, EMANUELE DE

ROSE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.M., C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

e contro

G.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 357/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/04/2010 R.G.N. 1282/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito l’Avvocato ALESSANDRA VICINANZA per delega verbale Avvocato

BORRI PAOLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.R. e altre lavoratrici chiesero al Tribunale di Arezzo la condanna del Fondo di garanzia dell’Inps a corrispondere loro il trattamento di fine rapporto, dovuto in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro con la Arte Maglia S.r.l. con sede in (OMISSIS) e dell’inadempimento dell’indicata obbligazione da parte della società.

1.1. Precisarono nel ricorso che la società aveva cessato la sua attività d’impresa da oltre un anno, in particolare dal 2003; che sull’istanza di fallimento presentata al Tribunale di Napoli, ove la società si era trasferita, il Tribunale aveva dichiarato la sua incompetenza territoriale; che il tentativo di esperimento di esecuzione forzata era rimasto infruttuoso per irreperibilità della società e dei suoi amministratori.

1.2. Il Tribunale accolse la domanda e la sentenza, impugnata dall’Inps, è stata confermata dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza del 6 aprile 2010. La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, sul rilievo che la società aveva cessato l’attività quanto meno dal 2003, che non risultavano sedi o domicili della società o dei suoi amministratori realmente reperibili, che pertanto era improbabile sia una procedura concorsuale sia una effettiva e fruttuosa esecuzione, attesa la materiale irreperibilità di questi soggetti.

1.3. Contro la sentenza, l’Inps propone ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi, cui resistono le lavoratrici ricorrenti, ad eccezione di G.R., la quale non svolge attività difensiva. L’Inps deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Inps censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, commi 2 e 5, con riferimento all’art. 10 L. Fall. e si duole del fatto che erroneamente la società è stata ritenuta non assoggettabile a fallimento, sì da determinare l’applicabilità dell’art. 2, comma 5, L. cit., dal momento che ancora al 21 maggio 2008 non risultava cancellata dal registro delle imprese, come risultava dal documento dell’agenzia delle entrate prodotto da esso Istituto.

2. Con il secondo motivo l’Inps censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, con riferimento agli artt. 143 e 491 c.p.c. e art. 2456 c.c., e sostiene che gli elementi di fatto addotti dalle ricorrenti (irreperibilità dell’amministratore e chiusura dei locali della società; ignoranza circa la sede successiva della società; mancanza di beni immobili e mancato compimento di operazioni sociali dal 2003) non fossero sufficienti a dimostrare l’impossibilità di far dichiarare il fallimento. Nello stesso motivo, l’istituto rileva che anche il secondo presupposto per l’intervento del fondo di garanzia (inizio o tentativo di procedura esecutiva individuale nei confronti del datore di lavoro) non si era realizzato, dal momento che nessuna procedura esecutiva era stata iniziata e neppure tentata.

3. Il terzo motivo è invece fondato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., nn. 4 e 5, e art. 421 c.p.c., e con esso la parte si duole dell’utilizzazione da parte del giudice di merito dei documenti tardivamente prodotti in giudizio (atti di precetto non notificati), senza che la tardività fosse giustificata dalla formazione dei documenti nel corso del giudizio o dall’evolversi del giudizio medesimo, considerato che essi miravano a provare i fatti che avrebbero dovuto essere allegati e provati fin dal ricorso introduttivo del giudizio.

4. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento delle altre censure.

4.1. La L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, ha istituito presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale un apposito “Fondo di garanzia”, con lo scopo di sostituirlo al datore di lavoro, in caso di insolvenza di quest’ultimo, nel pagamento del trattamento di fine rapporto dovuto ai lavoratori dipendenti. I commi 2, 3, 4 e 5 dell’articolo regolano i presupposti e i termini in base ai quali i lavoratori possono presentare al Fondo la richiesta di pagamento: la legge distingue a seconda che il datore di lavoro sia stato sottoposto a una procedura concorsuale ovvero che il medesimo, non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale.

4.2. Nel primo caso (commi 2, 3 e 4 dell’articolo), relativo a datore di lavoro che sia un imprenditore commerciale soggetto alle procedure esecutive concorsuali, la legge ha subordinato il pagamento da parte del Fondo di garanzia alla esistenza di tre requisiti: a) l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro; b) l’inadempimento del datore di lavoro per l’intero credito inerente al trattamento di fine rapporto o per una sua parte; c) l’insolvenza del medesimo datore di lavoro. Questa Corte ha ripetutamente affermato (v. Cass. 29/5/2012, n. 8529, che richiama Cass. 1/4/2011, n. 7585; Cass. 1/7/2010, n. 15662; Cass. 19/1/2009, n. 1178, non massimata, e Cass. 27/3/2007, n. 7466) che una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987 del 1980 consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di garanzia anche quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942” va quindi interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo. Ove pertanto l’accertamento del credito in sede fallimentare sia stato impedito a causa della chiusura anticipata della procedura per insufficienza dell’attivo, il credito stesso può essere accertato anche in sede diversa da quella fallimentare e il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps alle condizioni previste dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5 (Cass., 8529/2012, cit.).

4.3. Il comma 5 dell’art. 2 regola una fattispecie diversa, perchè si applica qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare: ricorrendo questa situazione e sussistendo le altre due condizioni di cui si è sopra detto (la cessazione del rapporto di lavoro e l’inadempimento, in tutto o in parte, del datore di lavoro), il lavoratore o i suoi aventi causa possono fare domanda di pagamento del trattamento di fine rapporto al Fondo di garanzia, “semprechè, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti”.

In tal caso, in luogo della prova dell’insolvenza del datore di lavoro, la legge richiede due diversi requisiti: c) la dimostrazione che il datore di lavoro “non è soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267”; d) la prova che le garanzie patrimoniali del medesimo datore di lavoro sono risultate in tutto o in parte insufficienti. In altre parole, riguardo a quest’ultimo requisito, poichè il lavoratore non può ottenere nei confronti del proprio datore di lavoro, per dimostrarne l’insolvenza, l’apertura di uno dei procedimenti esecutivi concorsuali fra quelli indicati, deve almeno provare che non sussiste, anche solo in parte, la garanzia patrimoniale generica dell’art. 2740 c.c.; e tale prova, secondo il dettato della legge, viene pure desunta, in base all’utilizzazione di una diversa presunzione legale, da un altro fatto (inequivocabilmente certo), essendo necessario (ma in tal caso anche sufficiente) che il lavoratore dimostri di avere proceduto – in modo serio e adeguato, ancorchè, eventualmente, infruttuoso all’esperimento dell’esecuzione forzata individuale (v., in tal senso, Cass. 27/10/2009, n. 22647; Cass. 16/6/1998, n. 6004; Cass. 9/3/2001, n. 3511; Cass. 26/2/2004, n. 3939).

4.4. Riassumendo, secondo il meccanismo configurato dalla L. n. 297 del 1982, la dichiarazione di insolvenza e la verifica sulla esistenza e misura del credito in sede fallimentare fungono da presupposti del diritto verso il Fondo di garanzia, (Cass. 26/2/2004, n. 3939; Cass. 22647/2009, cit.). Solo nel caso in cui l’imprenditore non sia assoggettabile alla procedura concorsuale, è possibile l’intervento del fondo di garanzia a patto che il lavoratore dimostri, attraverso l’esperimento di “un’azione esecutiva, che deve conformarsi all’ordinaria diligenza e che sia esercitata in modo serio ed adeguato”, l’insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente, coerentemente con il disposto dell’art. 2740 c.c. (ex plurimis, da ultimo, Cass. 5/09/2016, n. 17593; Cass. 7/7/2005, n. 14282; Cass. 11/7/2003 n. 10953). Ed anche i precedenti citati in sentenza convergono nella stessa interpretazione, giacchè in essi si conferma che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive (ad esempio, piccolo imprenditore) vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo (ad esempio, trattandosi di ditta individuale cessata da oltre un anno), il che non equivale a dire che la parte può optare per la dichiarazione di fallimento o per l’esperimento di una procedura di esecuzione, nè che questa possa essere preferita quante volte la dichiarazione di fallimento sia resa difficoltosa dalla mancata individuazione della sede sociale dell’impresa.

5. Ora, sulla base dei dati di fatto emergenti dalla sentenza impugnata e non più oggetto di contestazione, alla data di presentazione della domanda all’Inps da parte delle lavoratrici, la società risultava ancora iscritta al registro delle imprese, ed era pertanto assoggettabile al fallimento, giacchè ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento di un’impresa svolta in forma societaria, secondo l’art. 10 L. Fall., anche nel testo anteriore alle modifiche apportategli con il D.Lgs. n. 5 del 2006, occorre far riferimento solo alla data di cancellazione dal registro delle imprese (Cass. 7/3/2016, n. 4409; Cass. 25/07/2016, n. 15346; Cass. 1/12/2016, n. 24549).

5.1. Nè può dirsi esclusa l’assoggettabilità a fallimento per il sol fatto che la società era sconosciuta alla sede risultante dai pubblici registri, ben avendo potuto la procedura fallimentare avviarsi, attraverso la notifica della convocazione del fallendo con il rito degli irreperibili, ex art. 143 c.p.c., ovvero attraverso la notifica sussidiaria al legale rappresentante presso la residenza anagrafica (Cass. ord. 8/02/2011, n. 3062; Cass. 7/1/2008, n. 32). Parimenti, non può dirsi sufficiente, ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza e, quindi, dell’intervento del Fondo di garanzia, la sentenza declinatoria della competenza pronunciata dal Tribunale di Napoli, contro la quale i lavoratori avrebbero potuto proporre impugnazione oppure riassumere in giudizio dinanzi al tribunale indicato come competente e qui ottenere la sentenza dichiarativa di fallimento o la sua chiusura per assoluta insufficienza dell’attivo.

6. Consegue da ciò l’erroneità della sentenza che ha ritenuto la società non assoggettabile in concreto a procedura fallimentare, giacchè tanto la difficoltà di individuare la sede effettiva della società quanto la pronuncia declinatoria della competenza resa dal tribunale fallimentare di Napoli non impedivano l’attivazione della procedura concorsuale e l’emanazione di un provvedimento del giudice del fallimento.

7. In definitiva, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda delle originarie ricorrenti. In considerazione della peculiarità dei fatti di causa, attestata dal conforme giudizio reso dai giudici di merito, ricorrono i presupposti per compensare interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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