Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7921 del 28/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 28/03/2017, (ud. 21/12/2016, dep.28/03/2017),  n. 7921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1369-2011 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA BOLOGNINI (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA UDINE 6, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO LUCERI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO ZAMBELLI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

F.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER

NIUTTA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA

MORONE, FRANCO TOFFOLETTO, FEDERICA PATERNO’, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA BOLOGNINI (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA UDINE 6, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO LUCERI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO ZAMBELLI,

giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 312/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/07/2010 R.G.N. 526/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato SAITA MARCO per delega Avvocato ZAMBELLI MARCO;

udito l’Avvocato PATERNO’ FEDERICA per delega orale TOFFOLETTO

FRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale inammissibilità o rigetto dell’incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva condannato la Azienda Ospedaliera “Bolognini” di (OMISSIS) a corrispondere al dirigente medico F.D. la somma di Euro 12.849,28, a titolo di retribuzione per ore di lavoro straordinario, nonchè l’ulteriore importo di Euro 951,80 per differenze sul trattamento di fine rapporto ed aveva, invece, respinto la domanda di risarcimento del danno da usura psicofisica.

2. La Corte territoriale ha ritenuto inammissibili i primi due motivi di appello con i quali la Azienda Ospedaliera aveva denunciato la violazione dell’art. 65, comma 3 C.C.N.L. 5 dicembre 1996 per l’area della dirigenza medica e veterinaria del comparto sanità e ha rilevato che il Tribunale non aveva interpretato la disposizione contrattuale, bensì aveva escluso che la stessa potesse trovare applicazione in quanto il rapporto fra le parti si era svolto secondo un’organizzazione del lavoro del tutto diversa, senza alcuna valorizzazione degli obiettivi. Detta ratio della decisione non era stata censurata in modo specifico dall’appellante, che si era limitato ad estrapolare brani dalle deposizioni testimoniali, senza nemmeno organizzare le censure in un ragionamento compiuto.

3. Il giudice di appello ha escluso, poi, la fondatezza del terzo motivo, perchè la base di calcolo del trattamento di fine rapporto è determinata dalla contrattazione collettiva e la appellante aveva invocato, senza produrlo, l’accordo integrativo del 10 febbraio 2004, non applicabile alla fattispecie in quanto il rapporto di lavoro era cessato per dimissioni il 31 luglio 2002.

4. La Corte territoriale ha respinto, infine, anche l’appello incidentale, evidenziando che dalla sola protrazione dell’orario di lavoro e dalla mancata concessione, in alcuni casi, dei giorni di ferie richiesti, non si poteva desumere l’asserito pregiudizio alla salute che, invece, doveva essere dimostrato dal F..

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Azienda Ospedaliera “Bolognini” di (OMISSIS) sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. F.D. ha resistito con controricorso ed ha proposto un unico motivo di ricorso incidentale avverso il capo della sentenza che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ” violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c.; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa la dichiarata inammissibilità dei primi due motivi dell’appello principale”.

La Azienda, dopo avere trascritto integralmente i motivi di appello, richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che l’onere di specificità dei motivi è soddisfatto anche nel caso in cui vengano riproposte in appello le stesse argomentazioni disattese dal primo giudice, quando il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza. Aggiunge che erano state contestate in modo specifico le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado in merito alla rilevanza della predisposizione di un rigido sistema di rilevazione degli orari, alla mancata assegnazione degli obiettivi, alla equiparazione fra straordinario autorizzato e non autorizzato.

Nel merito richiama le deduzioni svolte dinanzi alla Corte territoriale ed insiste per la infondatezza della domanda proposta dal F., sollecitando una pronuncia ex art. 384 c.p.c., comma 2, e facendo leva sulla disciplina dettata dal CCNL per l’area della dirigenza medica e veterinaria del comparto sanità.

2. La seconda censura lamenta “violazione e/o falsa applicazione dela L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2 D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 2 e ss., artt. 2120 e 2697 c.c., art. 414 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la confermata condanna al pagamento della differenza per TFR”. Sostiene la Azienda Ospedaliera che la Corte territoriale non poteva respingere il motivo di appello a causa della mancata produzione del contratto integrativo del 10 febbraio 2004, perchè detto onere gravava sulla parte ricorrente.

3. Il ricorso incidentale denuncia, con un unico motivo, “violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., comma 2, e degli artt. 1226 e 2087 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”. Il ricorrente incidentale richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che in caso di mancata fruizione del riposo il danno da usura psico-fisica deve ritenersi presunto. Aggiunge che il superlavoro emergeva già dalla entità del lavoro straordinario e non poteva non essere causa di stress. Fa leva, infine, sull’obbligo posto a carico del datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., dal quale discende la necessità di organizzare la attività ed i turni di lavoro in modo da salvaguardare la integrità fisica e psichica dei dipendenti.

4. Il primo motivo è fondato.

Occorre premettere che allorquando, come nella fattispecie, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione fornita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (in tal senso fra le più recenti Cass. 30.7.2015 n. 16164).

Detto principio è stato ribadito da questa Corte in tema di denunciata violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., ed è stato rilevato che, allorquando si contesti con il ricorso per cassazione la ritenuta specificità dei motivi di appello, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione alla completezza ed alla coerenza delle ragioni per le quali l’eccezione è stata disattesa nel giudizio di merito, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti sui quali il ricorso si fonda, potendo ritenere assolto l’onere di specificazione qualora il gravame contenga una espressa censura delle argomentazioni poste a fondamento della decisione di primo grado (Cass. 28.11.2014 n. 25308 e con riferimento all’art. 434 c.p.c. Cass. 5.2.2015 n. 2143).

4.1. Nel caso di specie la Corte territoriale ha escluso la necessaria specificità dei motivi di appello perchè il Tribunale non aveva fondato la decisione su una interpretazione dell’art. 65 del CCNL 5/12/1996, area dirigenza medica e veterinaria, diversa da quella sostenuta dall’Azienda, bensì aveva ritenuto che il rapporto si fosse svolto secondo un’organizzazione diversa, ossia senza predeterminazione degli obiettivi e con imposizione di un rigido orario di lavoro. L’appellante non aveva colto la effettiva ratio della pronuncia ed aveva fatto leva solo sulla previsione contrattuale, senza svolgere alcuna censura specifica ” nè alla ricostruzione in fatto delle modalità di svolgimento del rapporto nè al significato attribuito sul piano negoziale alla condotta delle parti”.

4.2. Le conclusioni alle quali la Corte territoriale è pervenuta non sono condivisibili perchè i motivi di appello, che la ricorrente ha trascritto alle pagine da 8 a 15 del ricorso, oltre a fare leva sulla disciplina contrattuale e sulla avvenuta corresponsione della retribuzione di risultato, censurano in modo specifico la decisione di primo grado nella parte in cui aveva attribuito rilievo al rigido rispetto dell’orario di lavoro ed alla asserita mancata predeterminazione degli obiettivi. In particolare il secondo motivo di gravame (pag. 12 e seguenti del ricorso) fa riferimento sia al significato da attribuire alla predisposizione di un sistema di rilevamento del servizio prestato (nel motivo viene richiamato l’obbligo imposto alle pubbliche amministrazioni dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724), sia alla previa individuazione degli obiettivi, che secondo l’appellante sarebbe stata esclusa dal Tribunale nonostante che alla stessa avessero fatto riferimento i testi escussi.

Si fa leva, inoltre, sulla mancata autorizzazione del lavoro straordinario, sulla non necessità delle ore eccedenti l’orario normale, sul potere-dovere del dirigente di autogestire il proprio tempo lavorativo in modo da garantire flessibilità ed elasticità della struttura.

Dette argomentazioni, seppure espresse con una tecnica espositiva particolare (caratterizzata dalla formulazione di periodi brevi che richiamano in nota le deposizioni testimoniali, le decisioni e i documenti dai quali le frasi risultano estrapolate), sono idonee a confutare le ragioni per le quali il Tribunale aveva ritenuto fondata la domanda, sicchè ha errato la Corte territoriale nel ritenere che l’impugnazione fosse priva del requisito della specificità.

4.3. Il requisito della specificità dei motivi di appello, richiesto dall’art. 434 c.p.c., nella formulazione anteriore alla novella operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 34 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano anche indicate le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure. L’atto di appello è conseguentemente inammissibile solo qualora non si confronti in alcun modo con quanto affermato dal primo giudice e si limiti ad illustrare la tesi giuridica già esposta in primo grado (in tal senso fra le più recenti Cass. 20/3/2013 n. 6978).

Nel caso di specie, al contrario, la azienda appellante, oltre a riproporre gli argomenti sui quali aveva fondato dinanzi al Tribunale la propria difesa, ha specificamente contestato le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, sicchè il giudice di appello avrebbe dovuto pronunciare nel merito e non ritenere inammissibili le censure.

5. E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui il giudice di legittimità, nel cassare la sentenza di appello, o un suo capo, avente contenuto soltanto processuale, può esercitare il potere attribuitogli dall’art. 384 c.p.c., comma 2, e negare la configurabilità del diritto soggettivo affermato dall’attore con l’atto introduttivo, qualora non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto, posto che detta soluzione è coerente con il necessario rispetto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (Cass. 19/6/2013 n. 15375; Cass. 3/4/2014 n. 7826; Cass. 25/11/2011 n. 24914).

6. Ciò premesso rileva il Collegio che il ricorso della Azienda Ospedaliera Bolognini di (OMISSIS) è fondato anche nella parte in cui fa leva sulla disciplina contrattuale per escludere che il dirigente medico possa rivendicare il pagamento a titolo di lavoro straordinario delle ore di servizio prestate oltre l’orario imposto dall’art. 17, comma 2, del CCNL 5/12/1996 per l’area della dirigenza medica e veterinaria del comparto sanità, poi trasfuso nell’art. 16 del CCNL 8/6/2000 per la stessa area.

La clausola contrattuale, dopo aver previsto al comma 1 che “nell’ambito dell’assetto organizzativo dell’azienda o ente, i dirigenti medici di 1^ e 2^ livello assicurano la propria presenza in servizio ed organizzano il proprio tempo di lavoro, articolando, con le procedure individuate dagli artt. 6 e 7, in modo flessibile l’orario di lavoro per correlarlo alle esigenze della struttura cui sono preposti ed all’espletamento dell’incarico affidato, in relazione agli obiettivi e programmi da realizzare”, al secondo comma aggiunge che “l’orario di lavoro dei dirigenti di cui al comma 1 è confermato in 38 ore settimanali, al fine di assicurare il mantenimento del livello di efficienza raggiunto dai servizi sanitari e per favorire lo svolgimento delle attività gestionali correlate all’incarico affidato nonchè quelle di didattica, ricerca ed aggiornamento”.

La disposizione tace sulle conseguenze dell’eventuale superamento dell’orario imposto ai dirigenti, sicchè la stessa deve essere interpretata alla luce delle altre clausole del contratto che, nel disciplinare il trattamento accessorio, richiamano espressamente l’impegno orario.

Rileva, in particolare, l’art. 65, avente ad oggetto la disciplina della retribuzione di risultato, sostitutiva dell’istituto della incentivazione previsto dal D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384, artt. 123 e ss. La norma contrattuale, al comma 3, prevede che “La retribuzione di risultato compensa anche l’eventuale superamento dell’orario di lavoro di cui agli artt. 17 e 18 per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato.”

6.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate ad interpretare la disposizione che qui viene in rilievo, hanno evidenziato che “l’art. 65 del c.n.n.l. 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria, nel prevedere la corresponsione di una retribuzione di risultato compensativa anche dell’eventuale superamento dell’orario lavorativo per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato, esclude in generale il diritto del dirigente, incaricato della direzione di struttura, ad essere compensato per lavoro straordinario, senza che, dunque, sia possibile la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poichè la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri ed immancabili dell’incarico affidatogli.” (Cass. S.U. 17/4/2009 n. 9146).

Il principio è stato poi ribadito in successive pronunce con le quali si è precisato che lo stesso si applica anche al personale dirigente in posizione non apicale “rispondendo ad esigenze comuni all’intera dirigenza e ad una lettura sistematica delle norme contrattuali, che, ove hanno inteso riconoscere (come per l’attività connessa alle guardie mediche) una compensazione delle ore straordinarie per i medici-dirigenti, lo hanno specificamente previsto. Ne consegue che non è possibile distinguere tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario.” (Cass. 4/6/2012 n. 8958 e Cass. 16/10/2015 n. 21010).

6.2. A detto orientamento il Collegio intende dare continuità, perchè il principio affermato tiene conto, oltre che delle peculiarità proprie del lavoro dirigenziale, della diversità fra il sistema di incentivazione basato sul criterio del plus orario e quello legato al conseguimento degli obiettivi.

In merito va anche osservato che le parti collettive, nel disciplinare il “trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro”, hanno previsto, all’art. 62, la costituzione di un fondo “finalizzato alla remunerazione di compiti che comportano oneri, rischi o disagi particolarmente rilevanti, collegati alla natura dei servizi che richiedono interventi di urgenza o per fronteggiare particolari situazioni di lavoro” (comma 2) ed al comma 3 hanno stabilito che “per quanto attiene i compensi per lavoro straordinario e le indennità per servizio notturno e festivo si applicano le disposizioni di cui al D.P.R. n. 384 del 1990, artt. 80 e 115”. A sua volta l’art. 80 richiamato nel CCNL, dopo avere enunciato il principio secondo cui “il lavoro straordinario non può essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro” aggiunge, al comma 2, che “le prestazioni di lavoro straordinario hanno carattere eccezionale, devono rispondere ad effettive esigenze di servizio e debbono essere preventivamente autorizzate.”.

Interpretando dette clausole le une per mezzo delle altre si perviene alla conclusione che le parti collettive, anche al fine di armonizzare la disciplina della dirigenza medica con i principi che regolano nel settore pubblico il rapporto dirigenziale (fra i quali assumono particolare rilievo quelli della onnicomprensività del trattamento economico e della necessaria valorizzazione del raggiungimento dei risultati), hanno reso del tutto residuale la possibilità del compenso del lavoro straordinario, limitata alle sole ipotesi in cui il superamento sia reso necessario da fattori eccezionali e, comunque, condizionata alla previa autorizzazione dell’ente datore.

7. Quanto a quest’ultimo aspetto va evidenziato che nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato rilevano tuttora quei principi che avevano indotto la giurisprudenza amministrativa ad escludere che le prestazioni esulanti dal normale orario di lavoro potessero essere compensate in assenza di autorizzazione.

Attraverso la autorizzazione, infatti, la P.A., nel rispetto dei principi costituzionali dettati dall’art. 97 Cost., persegue gli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, lett. a) perchè la autorizzazione medesima implica innanzitutto la valutazione sulla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che rendono necessario il ricorso a prestazioni straordinarie e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio, compatibilità dalla quale non si può prescindere anche in tema di costo del personale, come reso evidente dalle previsioni dettate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e ss. nelle diverse versioni succedutesi nel tempo.

8. Nel caso di specie non vi è contestazione fra le parti in merito alla avvenuta liquidazione della retribuzione di risultato e alla assenza di una espressa autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario, sicchè la domanda deve essere rigettata nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2.

9. Il ricorso incidentale è infondato.

La Corte territoriale ha premesso, in punto di fatto, che le risultanze istruttorie consentivano unicamente di affermare che in alcune occasioni era stato richiesto al F. di protrarre l’orario di lavoro e che in altre non erano stati accordati al dirigente medico i giorni di ferie richiesti, ma ha aggiunto che era rimasta del tutto incerta la prova “relativamente all’entità del mancato riposo”. Ha, quindi, respinto la domanda risarcitoria evidenziando che il pregiudizio alla salute non può essere automaticamente desunto dal solo superamento dell’orario di lavoro oltre le otto o dieci ore giornaliere.

L’accertamento compiuto dalla Corte territoriale è incensurabile in sede di legittimità quanto alla ricostruzione del fatto e dallo stesso discende la inapplicabilità dei precedenti giurisprudenziali richiamati dal ricorrente incidentale, che si riferiscono tutti alla mancata concessione del riposo giornaliero o settimanale, esclusa dal giudice di appello perchè ritenuta non provata.

9.1. La sentenza impugnata non merita censura nella parte in cui evidenzia che l’asserito danno da usura psico-fisica non può essere desunto dal solo superamento dell’orario normale di lavoro, perchè ciò equivarrebbe a sanzionare la “condotta a prescindere dall’effettività di una lesione in nesso causale con la medesima”.

Il giudice di appello ha correttamente applicato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui “il danno da stress, o usura psicofisica, si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.” Cass. 10/2/2014 n. 2886; Cass. 15/05/2013 n. 11727; Cass. 28/06/2011 n. 14288).

Il ricorso alla prova presuntiva, peraltro, esige una pluralità di elementi, caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, che, unitariamente valutati, consentano di risalire dal fatto noto a quello ignoto.

Non è, quindi, sufficiente fare leva solo sulla condotta inadempiente, occorrendo, invece, che la parte onerata della prova fornisca elementi ulteriori che, sia pure attraverso il ragionamento presuntivo, siano idonei a dimostrare il pregiudizio risarcibile. Altrimenti si finirebbe per ritenere il danno in re ipsa, smentendo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno, invece, osservato che il risarcimento ha la finalità di ristorare la perdita sofferta dal danneggiato e che la attribuzione di una somma di denaro in considerazione del solo inadempimento ” finirebbe con il configurarsi come somma-castigo, come una sanzione civile punitiva, inflitta sulla base del solo inadempimento, ma questo istituto non ha vigenza nel nostro ordinamento” (Cass. S.U. 24/3/2006 n. 6572 e negli stessi termini Cass. S.U. 11/11/2008 n. 26972).

10. Il ricorso di primo grado è stato proposto in data antecedente alle pronunce di questa Corte che hanno interpretato le disposizioni contrattuali qui rilevanti e ciò giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

Vanno, invece, poste a carico del ricorrente incidentale le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda. Compensa integralmente le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e condanna il ricorrente incidentale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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