Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7921 del 06/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/04/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 06/04/2011), n.7921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.B., elettivamente domiciliati in Roma, via Cosseria n.

2 presso lo studio del dott. Placidi Alfredo, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sez. 8^ n. 77 depositata il 16.09.2009;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott.

Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che C.B. – esercente attività di ristorazione e pizzeria – propose ricorso avverso provvedimento, D.L. n. 12 del 2002, ex art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002, ex art. 3, comma 3, con il quale l’Ufficio – sulla scorta di verbale di accertamento della G.d.F. in esito a verifica (OMISSIS) – gli aveva irrogato sanzione amministrativa, per essersi avvalso, dall’1.1.2002, dell’attività lavorativa di tredici lavoratori, in nero, non risultanti dalle scritture e dalla documentazione obbligatoria;

che l’adita commissione tributaria accolse il ricorso, annullando integralmente l’accertamento, con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu parzialmente riformata dalla commissione regionale, che riaffermò la legittimità dell’accertamento limitatamente a sei dei tredici lavoratori indicati nell’accertamento;

rilevato:

che, avverso la decisione di appello, il sanzionato, illustrando le proprie ragioni anche con memoria, ha proposto ricorso per cassazione in due motivi;

– che l’Agenzia non si è costituita;

osservato:

che il primo motivo di ricorso – teso all’affermazione del difetto di giurisdizione del giudice tributario – è inammissibile, giacchè non risultando la questione nè agitata nè esaminata nei pregressi gradi del giudizio, ogni valutazione in merito alla giurisdizione risulta, in questa sede, preclusa alla luce di quanto puntualizzato dalle ss.uu. con le sentenze 24883/08 e 26019/08;

che altrettanto inammissibile si rivela l’ulteriore motivo di ricorso – teso a denunciare la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, commi 3 e 4, convertito in L. n. 73 del 2002, art. 3, commi 3 e 4, e con il quale il sanzionato censura la decisione impugnata per non aver ritenuto regolare l’assunzione di tutti i lavoratori indicati nell’accertamento – giacchè la doglianza introduce un sindacato in fatto non consentito in sede di legittimità;

che in proposito infatti, ancorchè deducendo violazione di legge, il sanzionato rimette, in realtà, rimettere in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del giudice del gravame, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili e in sè coerente, dell’assenza, riguardo ai predetti lavoratori, di prova idonea a superare la presunzione di cui alla disposizione evocata (apprezzamento che è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di tale sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03);

ritenuto:

che, pertanto, il ricorso si rivela manifestamente infondato, sicchè va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

che, per la soccombenza, il sanzionato va condannato al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2011

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