Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 792 del 19/01/2010

Cassazione civile sez. I, 19/01/2010, (ud. 04/11/2009, dep. 19/01/2010), n.792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Fallimento della T. & T. Costruzioni Generali s.p.a., in persona

del

Curatore avv. D. – elettivamente domiciliato in ROMA, via

Boezio n. 2, presso lo studio dell’avv. Sansone Edoardo, dal quale e’

rappresentato e difeso in virtu’ di procura per notaio Caparelli

Piercarlo di Roma in data 16 aprile 2009;

– ricorrente –

contro

Comune di Venaria Reale, in persona del Sindaco pro tempore –

elettivamente domiciliato in ROMA, via Prestinari n. 13, presso lo

studio dell’avv. Ramadori Giuseppe, dal quale e’ rappresentato e

difeso, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. Enrichens Vincenzo,

in virtu’ di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonche’

Melhoramentos – Gestao e Servicos S.A., gia’ T. & T. Telea

Tardito

s.p.a.;

– intimata-

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino del 3 aprile

2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 4

novembre 2009 dal Consigliere Dott. Salvato Luigi;

udito per il ricorrente l’avv. Eduardo Sansone, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso e per il Comune di Venaria Reale l’avv.

Vincenzo Enriques, che ne ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del 1 motivo

e per l’accoglimento del 2, del 3 e del 4 motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La T. & T. Telea Tardito s.p.a., con citazione del 10 aprile 1996, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Torino il Comune di Venaria Reale (di seguito, Comune), chiedendone, previa risoluzione del contratto di appalto stipulato con il medesimo, la condanna al risarcimento dei danni.

Il convenuto si costituiva in giudizio, deducendo l’infondatezza della domanda.

Il Tribunale di Torino, con sentenza del 18 settembre 2001, dichiarava risolto il contratto per inadempimento del Comune, che condannava al risarcimento dei danni, nella misura di L. 148.635.653, nonche’ alla restituzione di L. 861.303.819 ed alle spese processuali.

2.- Il Fallimento della T. & T. Costruzioni Generali s.p.a. (infra, Fallimento) notificava detta sentenza al Comune.

Il Comune proponeva, quindi, appello avverso detta pronuncia con atto notificato sia alla T. & T. Telea Tardito s.p.a., sia al Fallimento, chiedendo, in sua riforma, il rigetto della domanda.

Il Fallimento si costituiva nel giudizio, chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale.

La T. & T. Telea Tardito s.p.a. rimaneva contumace.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 3 aprile 2003:

a) “dichiarava la carenza di legittimazione del Fallimento� ed inammissibile l’appello incidentale da questi proposto;

b) “non definitivamente pronunciando nel rapporto fra Citta’ di Venaria Reale e T. & T. Telea Tardito, in parziale accoglimento dell’appello principale, dichiarala inammissibile la domanda� proposta in primo grado da detta societa’, diretta ad ottenere il pagamento della polizza fideiussoria, con condanna del Fallimento a pagare le spese di lite;

C) disponeva, con separata ordinanza, la rimessione della causa in istruttoria.

Per quanto qui interessa:

a) la sentenza osservava che questione preliminare era quella concernente la successione del Fallimento nei rapporti facenti capo alla T. & T. Telea Tardito s.p.a., siccome concernente la legittimazione.

La Corte territoriale premetteva che: la causa era stata iniziata dalla T. & T. Telea Tardito s.p.a.; la sentenza di primo grado era stata pronunciata nei confronti di detta societa’ e del Comune, ma era stata notificata al Comune su istanza del Fallimento; il Comune aveva provveduto a notificare l’atto di appello sia al Fallimento, sia alla T. & T. Telea Tardito s.p.a., in particolare a quest’ultima presso il procuratore domiciliatario, il quale aveva ricevuto l’atto, senza rendere alcuna dichiarazione all’ufficiale giudiziario.

Nel giudizio di secondo grado si era costituito soltanto il Fallimento, sostenendo di “essere il successore della societa’ gia’ attrice in primo grado, successore nei rapporti sostanziali e processuali, a titolo universale�.

b) La pronuncia affermava che il Fallimento doveva ritenersi legittimato passivo nel giudizio di secondo grado per il solo fatto di avere provveduto a notificare al Comune la sentenza di primo grado.

Dunque, il Comune bene aveva notificato l’atto di appello anche al Fallimento, tenuto conto che questi era apparentemente legittimato;

tuttavia, cio’ non comportava riconoscimento della legittimazione, peraltro inutile, dato che la questione concerneva la legittimazione processuale, non quella sostanziale, “attinente alla effettiva titolarita’ del diritto in questione�.

C) La Corte distrettuale esponeva che, secondo il Fallimento, la T. &

T. s.p.a. era succeduta alla T. & T. Telea Tardito s.p.a.

La successione sarebbe stata provata dalle seguenti circostanze:

la prima societa’ aveva pagato le polizze fideiussorie stipulate dalla seconda e “nella opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Milano la medesima aveva chiesto di essere manlevata dal Comune�;

la T. & T. Telea Tardito s.p.a., con atto di scorporo del 28 ottobre 1997, aveva conferito alla propria partecipata totalitaria T & T. s.p.a. due rami d’azienda; con atto del (OMISSIS) aveva precisato che nella cessione era compreso il contratto di appalto oggetto della controversia;

la T. & T. s.p.a., con atto del (OMISSIS), aveva modificato la denominazione in T.& T. Costruzioni Generali s.p.a., trasferendo la propria sede in (OMISSIS).

Il Comune aveva, invece, contestato che la successione nel rapporto controverso fosse stata provata e dedotto che “i rami di azienda ceduto non svolgevano attivita’ specificamente connesse a quelle oggetto dell’appalto di cui si discute�.

d) La Corte d’appello riteneva che, a fronte della contestazione del Comune, il Fallimento avrebbe dovuto provare la propria legittimazione, che escludeva fosse stata offerta.

A suo avviso, erano a tal fine insufficienti “le allegazioni contenute per lo piu’ nella memoria di replica, in cui sono riportati i testi di alcuni atti, ma non tutti�.

Secondo la pronuncia, il Fallimento aveva l’onere di provare la propria legittimazione e reputava che, “a tal fine, non sono sufficienti le allegazioni contenute per lo piu’ nella memoria di replica, in cui sono riportati i testi di alcuni atti, ma non tutti� (cosi’ a pg. 14). La prova avrebbe dovuto essere offerta mediante la produzione “dei documenti citati, anche per permettere alla controparte di prenderne visione e di instaurare sul punto il contraddittorio� (pg. 14 – 15 della sentenza).

A conforto, il giudice di secondo grado richiamava alcune sentenze di questa Corte in tema di rilevabilita’ d’ufficio del difetto di legittimazione processuale e di ammissibilita’ della prova della legittimazione anche in sede di legittimita’, ma riteneva che “i documenti citati dal Fallimento e prodotti in primo grado non provano peraltro la legittimazione, posto che la loro produzione, come in seguito si dira’, risulta tardiva� (pg. 16 – 17).

La sentenza concludeva, quindi, dichiarando il difetto di legittimazione del Fallimento ed inammissibile l’appello incidentale da questi proposto.

3.- Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso il Fallimento, affidato a quattro motivi; ha resistito con controricorso il Comune, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. in relazione all’udienza del 19 maggio 2008.

4.- Questa Corte, con ordinanza resa all’udienza del 19 maggio 2008, disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della T. &

T. Telea Tardito s.p.a., assegnando termine di 50 giorni.

Il difensore del ricorrente ha depositato atto di integrazione del contraddittorio, nel termine prorogato dal Presidente di questa Prima Sezione con decreto del 16 luglio 2008 e con decreto del 20 febbraio 2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia “motivazione perplessa e travisamento di allegazioni avversarie� (art. 360 c.p.c., n. 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonche’ violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 81 e 111 c.p.c. e “falsa applicazione di principi generali del processo civile� (art. 360 c.p.c., n. 4).

A suo avviso, la sentenza avrebbe correttamente reputato necessaria la notifica dell’atto di appello alla T. & T. Telea Tardito s.p.a. ed al Fallimento, sussistendo nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso un’ipotesi di litisconsorzio necessario, sino a quando la dante causa non sia estromessa dal giudizio.

La Corte distrettuale avrebbe invece inesattamente valorizzato una affermazione dell’atto d’appello (riportata alla pg. 4 del ricorso), per ritenere che il Comune aveva contestato la legittimazione di esso istante. Infatti, alla data della notificazione di tale atto il Fallimento non aveva proposto alcuna impugnazione, quindi non si era posta una questione di legittimazione; in secondo luogo, il brano valorizzato non sarebbe suscettibile dell’interpretazione ritenuta dalla pronuncia, dato che con esso il Comune sosteneva soltanto l’impossibilita’ di reputare le due societa’ uno stesso soggetto giuridico.

Dunque, non essendo stata contestata la sua legittimazione, benche’ solo la parte soccombente in primo grado sia legittimata all’impugnazione della sentenza, in virtu’ del principio di non contestazione, esso Fallimento non era onerato di offrire la relativa prova.

Inoltre, neppure e’ possibile ritenere che il Comune avesse contestato la legittimazione del Fallimento con le conclusioni rese innanzi al Collegio, all’udienza del 9 luglio 2002, poiche’ esse erano state rese a seguito dell’invito del Collegio ad affrontare la questione in esame, invito peraltro formulato valorizzando solo il succitato brano dell’atto di appello del Comune.

In ogni caso, in dette conclusioni il Comune avrebbe contestato che fosse stata provata la modificazione della denominazione sociale della T. & T. Telea Tardito s.p.a., non la legittimazione del Fallimento.

Con il secondo motivo, il Fallimento denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 111 c.p.c., nonche’ “violazione di principi generali del processo civile� (art. 360 c.p.c., n. 4) (art. 360 c.p.c., n. 4) e motivazione contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui la sentenza, ritenendo contestata la legittimazione di esso ricorrente, ha reputato tardiva la prova della legittimazione processuale.

Infatti, anche ritenendo il Fallimento onerato della prova della legittimazione, al riguardo il giudice del merito avrebbe dovuto applicare il principio secondo il quale la verifica della legittimazione puo’ essere effettuata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. La legittimatici ad causam va distinta dalla titolarita’ del rapporto (al riguardo e’ riportata la massima di Cass. n. 5407 del 1997) ed il suo accertamento e’ disciplinato distintamente rispetto alle questioni di merito; quindi, secondo l’orientamento di questa Corte, il suo difetto puo’ essere rilevato in ogni stato e grado del giudizio (il ricorrente riporta sul punto alcune massime di pronunce di questa Corte).

Pertanto, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto tardiva la produzione dei documenti con i quali esso ricorrente avrebbe dimostrato la propria legittimazione, incorrendo altresi’ in contraddizione, poiche’ ha anche richiamato alcune sentenze di questa Corte, secondo le quali il difetto di legittimazione processuale e’ rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (altre ne richiama il Fallimento).

Il Fallimento, con il terzo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 352 e 354 c.p.c., nonche’ “falsa applicazione della disciplina del processo d’appello� (art. 360 c.p.c., n. 4) (art. 360 c.p.c., n. 4) e violazione dell’art. 24 Cost.

(art. 360 c.p.c., n. 3).

A suo avviso, anche se fossero esatte le premesse della pronuncia – contestate con i primi due motivi- la Corte distrettuale, spettandole l’adozione dei provvedimenti istruttori ritenuti necessari ai fini della decisione della causa (art. 345 c.p.c., u.c.), avrebbe dovuto rimettere la causa in istruttoria, dando termine alle parti per acquisire i documenti e non, come accaduto, decidere la causa, senza dare alle parti, rispettivamente, la possibilita’ di fornire e di contestare la prova ritenuta necessaria.

A suo avviso, sarebbe “evidente, e non richiede commenti, la violazione del rito civile� e del diritto di difesa (art. 24 Cost.) ed erroneamente il giudice di secondo grado avrebbe “imposto la prosecuzione del processo nei confronti di una parte (la conferente T. & T. Telea Tardito s.p.a.) ormai meramente fittizia�.

Il ricorrente, con il quarto motivo, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 c.c. e degli artt. 81 e 111 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che il conferimento da parte della T. &

T. Telea Tardito s.p.a. del ramo d’azienda al quale era riconducibile il contratto di appalto oggetto della controversia, conferimento effettuato con atto per notaio Zara del (OMISSIS), comportava la successione della conferitaria nel rapporto, abilitandola ad intervenire nel processo, ferma restando la prosecuzione del giudizio tra le parti originarie, secondo un principio affermato da Cass. n. 237 del 2003.

2.- I quattro motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, pongono le questioni: della legittimazione all’impugnazione della sentenza da parte del successore a titolo particolare nel diritto controverso; della rilevabilita’ d’ufficio dell’eventuale difetto di legittimazione;

della modalita’ e del tempo della prova di detta legittimazione.

I mezzi sono infondati e vanno rigettati.

2.- Il presente giudizio e’ stato promosso in primo grado dalla T. &

T. Telea Tardito s.p.a., con citazione notificata il 10 aprile 1996 al Comune di Venaria Reale.

Nel corso di tale fase, la societa’ attrice avrebbe sottoscritto un aumento di capitale della T. & T. s.p.a. (denominazione abbreviata della T. & T. Costruzioni Generali s.p.a.), mediante conferimento di un ramo d’azienda, nel quale sarebbe stato compreso, tra l’altro, il contratto di appalto oggetto della controversia e, secondo il ricorrente, a seguito di detto conferimento, si sarebbe verificata una successione a titolo particolare nel rapporto de quo.

2.1.- La decisione delle questioni poste dal Fallimento rende necessario richiamare, e ribadire, alcuni principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, espressa anche a Sezioni Unite.

In primo luogo, va confermato che la legittimazione a proporre l’impugnazione spetta a chi abbia formalmente assunto la veste di parte nel giudizio conclusosi con la decisione impugnata (Cass. n. 27239 del 2008; n. 22244 del 2006). Nondimeno, il successore a titolo particolare nel diritto controverso non puo’ essere considerato terzo, in quanto e’ l’effettivo titolare del diritto in contestazione ed assume la stessa posizione del suo dante causa, con la conseguenza che la sentenza spiega effetto nei suoi confronti ed egli e’ anche legittimato ad impugnarla, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 111 c.p.c., senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento nelle fasi pregresse di giudizio. (Cass. n. 6444 del 2009; n. 10876 del 2007).

In secondo luogo, deve essere ribadito che il soggetto che propone impugnazione nell’asserita qualita’ di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legittimatio ad causam, per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresi’ fornire la relativa prova, mediante le opportune produzioni documentali (Cass. S.U. n. 4468 del 2009; Cass. n. 11541 del 2009; n. 4024 del 2007; n. 2702 del 2004). Siffatta circostanza attiene alla titolarita’ del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione, e cioe’ alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, ed appunto per questo e’ rilevabile d’ufficio (tra le piu’ recenti, Cass. S.U. n. 4468 del 2009; Cass. n. 22244 e n. 13686 del 2006; n. 379 del 2005), restando altrimenti indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto ad impugnare (Cass. n. 16002 del 2008);

quindi, e’ del tutto ininfluente che la relativa questione sia stata o meno sollevata dalla controparte, e, se si’, in quali termini (in tal senso e’ costante la giurisprudenza di questa Corte, Cass. S.U. n. 1114 del 2001; n. 3299 del 2000; Cass. n. 22244 e n. 13685 del 2006; n. 379 del 2005; n. 6649 del 2003).

Infatti, nonostante l’eventuale insussistenza di controversia in ordine a tale circostanza, si e’ al di fuori del dominio esclusivo dell’autonomia delle parti ed e’ pur sempre necessario un controllo probatorio; a detto fine “il comportamento tenuto dalle parti puo’ essere utilizzato dal giudice come argomento di prova ex art. 116 c.p.c., comma 2� e, a conforto della legittimazione, “elemento probatorio puo’ anche trarsi dal fatto che l’altra parte consideri espressamente il fatto come verificato� (Cass. n. 13685 del 2006) e dalla circostanza che la controparte abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuto la qualita’ di successore (Cass., S.U. n. 11650 del 2006).

In terzo luogo, occorre osservare che, come accennato, la successione a titolo particolare nel rapporto controverso, in virtu’ dell’art. 111 c.p.c., determina, sul piano processuale, la prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, salvo il diritto del successore a titolo particolare di intervenire nel processo e di impugnare la sentenza (nei termini e nei modi sopra precisati), ovvero la possibilita’ di chiamata in causa dello stesso. Nel caso di intervento nel giudizio dell’acquirente del diritto controverso, ovvero di impugnazione della sentenza da parte del successore a titolo particolare, sussiste una situazione di litisconsorzio tra dante causa e successore a titolo particolare che, in sede di impugnazione, e’ riconducibile all’art. 331 c.p.c., qualora il dante causa non sia stato estromesso (Cass. n. 15208 del 2005). Proposta impugnazione dal successore a titolo particolare, questi ha dunque l’onere di notificare l’impugnazione anche al dante causa e, in difetto, deve essere disposta l’integrazione del contraddittorio (Cass. n. 5000 del 1997; n. 590 del 1995; cfr. anche n. 17060 del 2007), senza che neppure possa rilevare l’esito del giudizio, qualora sia insorta contestazione in ordine alla legittimazione del successore.

2.2.- In applicazione di siffatti principi, e’ stata disposta l’integrazione del contraddittorio in questa fase nei confronti della T. & T. Telea Tardito s.p.a., parte nel giudizio di primo grado e di secondo grado, senza che ne sia stata mai disposta l’estromissione e ad essi si e’ conformata la sentenza impugnata.

2.3.- Relativamente alle doglianze svolte nel primo motivo, e per evidenziarne l’infondatezza, e’ sufficiente osservare che la Corte territoriale ha correttamente ritenuto rilevabile d’ufficio il difetto di legittimazione, escludendo anche che la condotta processuale del Comune deponesse nel senso del riconoscimento, esplicito, ovvero implicito, della medesima, con motivazione immune da vizi denunciabili in questa sede. Al riguardo, ha infatti sottolineato che il Comune, nell’atto di appello (alla pg. 7), ha espressamente dedotto che “non vi e’ in causa alcuna traccia, a parte un fugace riferimento del patrono della societa’, ad un mutamento di ragione sociale, circa le vicende societarie che abbiano eventualmente portato la societa’ T. L. T. Telea Tardito spa e la societa’ T. & T. Costruzioni Generali spa (di poi fallita) ad una fusione o, in ogni caso, ad identificarsi in un medesimo soggetto giuridico� (cosi’ la sentenza a pg. 13 – 14). Pertanto, a fronte della notificazione della sentenza di primo grado ad opera del Fallimento, risulta chiaro che l’interpretazione di detta deduzione come volta a porre la questione della legittimazione della societa’ poi fallita e’ immune da incongruenze logiche e risulta confortata dalle ulteriori deduzioni dirette a contestare che il ramo d’azienda ceduto svolgesse attivita’ connessa al contratto d’appalto oggetto del giudizio.

L’infondatezza delle censure svolte nel secondo motivo e’ chiara alla luce della circostanza che la considerazione in ordine alla tardivita’ della prova della legittimazione ad impugnare, pure contenuta nella sentenza (pg. 17), e’ irrilevante, non solo perche’ svolta in via incidentale, ma soprattutto perche’ il giudice di secondo grado, dopo avere, significativamente richiamato pronunce di questa Corte in ordine all’ammissibilita’ della prova anche in sede di legittimita’ (pg. 15), ha comunque proceduto ad accertare se tale prova fosse stata o meno offerta.

La Corte d’appello ha, infatti, dato atto degli elementi invocati dal Fallimento, consistenti, per quanto qui interessa: nei documenti “n. 26 e seguenti� prodotti in primo grado; nello “atto di scorporo in data (OMISSIS)�, con cui la T. & T. Telea Tardito conferiva alla propria partecipata totalitaria T. & T. due rami di azienda e nello “atto di integrazione del (OMISSIS)�, con cui “le parti precisavano che la societa’ conferita ria succedeva nei rapporti contrattuali, ivi compreso il contratto di appalto oggetto di causa�.

La sentenza impugnata ha tuttavia ritenuto insufficienti le allegazioni del Fallimento “contenute per lo piu’ nella memoria di replica, in cui sono riportati i testi di alcuni atti, ma non tutti� pg. 14).

Ebbene, risulta, quindi, palese che l’affermazione del difetto di legittimazione non e’ conseguita alla tardivita’ della produzione degli atti, sibbene alla ritenuta mancata prova della stessa, con conclusione formulata in termini generali ed ampi, E detta prova il ricorrente non ha dedotto e dimostrato di avere dato, in ordine a tutte le condizioni imprescindibili per ritenere sussistente ed anche opponibile al Comune la successione nel rapporto controverso.

A questo scopo, sarebbe stato, infatti, necessario che il Fallimento provasse, come espressamente eccepito dal controricorrente, non soltanto il conferimento del ramo azienda e la riconducibilita’ a questo del contratto in questione, ma anche l’avvenuto adempimento della L. n. 109 del 1994, art. 35, comma 1, applicabile ratione temporis, poiche’ il trasferimento di un ramo d’azienda, anche mediante conferimento, configura una successione a titolo particolare (Cass. n. 23936 del 2007) ed e’, altresi’, riconducibile all’ampio genus della cessione d’azienda. Dunque, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 35, non ha effetto nei confronti del committente sino a quando il cessionario non abbia provveduto a darne comunicazione nell’osservanza delle modalita’ stabilite dal D.P.C.M. n. 187 del 1991, documentando il possesso dei requisiti stabiliti dagli artt. 8 e 9 della citata legge, non potendo siffatti adempimenti essere surrogati da comportamenti diversi, anche se idonei a rendere edotta la P.A. della avvenuta cessione (cfr. Cass. n. 19209 del 2005).

Ebbene, la prova in ordine a questa seconda condizione non risulta data: in ordine ad essa nulla e’ stato dedotto nel ricorso e, nonostante l’espressa deduzione svolta sul punto dal Comune nel controricorso (pg. 21), che ha permesso di dibattere espressamente la questione, il Fallimento non ha esplicitato se e quando avesse offerto la prova del suo adempimento, neppure contestandone la necessita’, con la conseguenza che resta incensurabile la affermazione della sentenza resa sul punto della mancata prova degli elementi tutti necessari per la successione, dal momento che non risulta offerta la dimostrazione di tutti gli adempimenti imprescindibili per l’opponibilita’ della stessa al Comune, quindi per il perfezionamento della successione nel rapporto controverso efficace anche nei confronti del medesimo.

Ne consegue l’infondatezza sia del quarto motivo, sia del terzo motivo, (per la carenza in ordine alla deduzione ed alla prova di tutti gli elementi teste’ indicati), restando escluso che, a fronte di una questione sollevata dal Comune sin dall’atto di appello e della indicazione resa dallo stesso ricorrente del provvedimento adottato dalla Corte d’appello con il quale questa “individuava la questione pregiudiziale ed invitava le parti a precisare le conclusioni sul punto� (cosi’ espressamente nel ricorso a pg. 12) fosse necessario un ulteriore invito alla produzione, posto che, peraltro, neppure in questa sede, nonostante l’espressa deduzione svolta dal controricorrente, il Fallimento ha espressamente interloquito sul punto ed evocato l’adempimento della seconda condizione sopra indicata, indicando modalita’ e tempi del suo perfezionamento.

Il ricorso va quindi rigettato; sussistono giusti motivi per dichiarare compensate le spese della presente fase, in considerazione della natura e delle questioni controverse.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese della presente fase.

Cosi’ deciso in Roma, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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