Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7910 del 06/04/2011

Cassazione civile sez. I, 06/04/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 06/04/2011), n.7910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

N.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Marra Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 20 agosto

2008, nel procedimento n. 1981/08 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 23 novembre 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. ABBRITTI Pietro che nulla ha osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

Ritenuto Che:

1. N.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 20 agosto 2008, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in suo favore della somma di Euro 9.600,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso depositato il 19 luglio 1995 e non ancora definito alla data del 31 marzo 2008, di deposito del ricorso per equa riparazione;

1.1. il Ministero intimato ha resistito con controricorso;

Osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 9.600,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di nove anni e otto mesi a quella ragionevole, determinata in tre anni, e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo sette motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU ?” (primo motivo);

– il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio e l’inosservanza dei parametri Europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (motivi due e tre);

– il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di pubblico impiego (quarto e quinto motivo);

la compensazione parziale delle spese processuali, malgrado l’accoglimento del ricorso (sesto e settimo motivo);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. i motivi due e tre appaiono manifestamente infondati, in quanto l’indennizzo liquidato, pari a circa 1000,00 Euro per anno di durata non ragionevole, appare conforme ai parametri fissati dalla giurisprudenza della Corte Europea; inoltre è vincolante per il giudice nazionale il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

4.2. il quarto e quinto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. il sesto e settimo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto, per effetto del richiamo operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, nel giudizio per l’equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo trovano applicazione le norme del codice di rito (Cass. 2004/23789; 2007/14053) e a norma dell’art. 92 c.p.c. il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione; nella specie, la Corte di merito ha motivato congruamente la compensazione parziale delle spese processuali, facendo riferimento ai limiti di accoglimento della domanda;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti;

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2011

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