Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 791 del 13/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 13/01/2017, (ud. 23/11/2016, dep.13/01/2017),  n. 791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO M. Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CONSORZIO ZONE IMPRENDITORIALI PROVINCIA DI ANCONA – ZIPA,

elettivamente domiciliato in Roma, via Magliano Sabina, n. 24, nello

studio dell’avv. Luigi Pettinari; rappresentato e difeso dall’avv.

Alessandro Lucchetti, giusta procura speciale in calce al ricorso;

contro

R.F.I. – RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., elettivamente domiciliata

in Roma, via dei Gracchi, n. 39, nello studio dell’avv. Adriano

Giuffrè; rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Carullo, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 1897,

depositata in data 29 gennaio 2014;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 23 novembre 2016

dal dott. Pietro Campanile;

sentito per il ricorrente l’avv. Lucchetti;

sentito per la controricorrente l’avv. Francesca Giuffrè, munita di

delega;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott.ssa ZENO Immacolata, la quale ha concluso per

l’inammissibilità, del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 1897 depositata in data 29 gennaio 2014 questa Corte, accogliendo in parte il ricorso principale proposto da Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. (d’ora in poi, RFI) nonchè, per quanto in questa sede maggiormente rileva, i primi due dell’incidentale avanzato dal Consorzio Zone imprenditoriali della Provincia di Ancona (d’ora in avanti, per brevità, Zipa), avverso la sentenza n. 1072 pronunciata, in sede di rinvio, dalla Corte di appello di Bologna del 18 ottobre 2006, cassava detta decisione in relazione alle censure accolte, rinviando alla Corte di appello di Ancona.

2. Avverso tale decisione propone istanza per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, il Consorzio Zipa, con due motivi, cui resiste con controricorso RFI.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo, si deduce “errore di fatto rilevante ex art. 395 c.p.c., n. 4 per essere positivamente ed incontrovertibilmente stabilita l’esistenza di un fatto – indicazione nonchè intervenuta formulazione e e rappresentazione, nonchè ancora l’illustrazione dell’eccezione di inammissibilità del duplice motivo di cassazione di RFI per genericità del quesito ex art. 366 bis c.p.c. nell’atto di controricorso del Consorzio Zipa – nel procedimento iscritto al R.G. n. 31021/07 – invece supposto come inesistente dalla sentenza”.

3.1 – Con il secondo mezzo la questione viene riproposta, negli stessi termini, anche in relazione al procedimento, poi riunito al n. 31027/07 R.G., n. 31470/07 R.G., con riferimento alla medesima eccezione concernente l’inammissibilità dei quesiti, così come ribadita nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

4. Il Collegio ha disposto, in conformità al decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

5 – L’esame congiunto dei motivi sopra indicati, suggerito alla loro intima correlazione, conduce a un giudizio di inammissibilità del ricorso.

6. Giova premettere che in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione l’errore revocatorio si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio di legittimità e tale da aver indotto la stessa Corte di cassazione a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass., Sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26022; Cass., 12 dicembre 2012, n. 22868; Cass., 9 dicembre 2013, n. 27451). Va inoltre rimarcata la necessità che l’errore revocatorio cada su di un fatto materiale: e per di più, quando oggetto della revocazione siano i provvedimenti di questa Corte, di un fatto materiale interno al giudizio di legittimità ed afferente ai suoi stessi atti.

7. Con riferimento alla fattispecie in esame, questa Corte ha già affermato che è inammissibile il ricorso per revocazione che deduca l’omesso esame di atti difensivi asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate dalla corte, trattandosi di un profilo processuale non rientrante nell’ipotesi tipica di errore di fatto revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4), e dedotto al solo fine di sostenere la non condivisibilità della soluzione offerta, in diritto, dalla corte di legittimità (Cass., 18 gennaio 2012, n. 714). Tale indirizzo si fonda sulla considerazione che l’errore che può dar luogo alla revocazione non può mai cadere, per definizione, sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, sia perchè le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi del citato art. 395 c.p.c., n. 4, sia poichè un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass., 22 marzo 2005, n. 6198; Cass., 27 giugno 2006, n. 14766; Cass., 23 gennaio 2012, n. 836).

Tale principio non opera nell’ipotesi – non rilevante nella vicenda in esame – in cui l’omesso esame di uno scritto difensivo comporti l’erronea percezione in ordine all’esistenza o meno di una circostanza fattuale di natura decisiva, non già una diversa valutazione in diritto della fattispecie sostanziale o processuale (Cass., 30 marzo 1994, n. 3137). Sotto tale profilo vale bene sottolineare come la presente vicenda non è riconducibile nell’ipotesi dell’omesso esame di uno o più motivi di ricorso, nella quale è stata ravvisata (Cass., 13 gennaio 2010, n. 362) la predicabilità della revocazione, in quanto, nella decisione impugnata tutti i motivi di ricorso sono stati esaminati, essendosi al contrario denunciato l’omesso esame delle argomentazioni difensive inerenti alla inammissibilità dei motivi stessi, per genericità dei quesiti di diritto previsti dall’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis. In relazione ad analoga fattispecie questa Corte ha di recente rilevato “come l’asserito errore revocatorio riguardi, nella specie, non già una svista percettiva dipendente dall’omesso riscontro dell’effettivo deposito della memoria difensiva, bensì (se mai) un errore prettamente valutativo e di giudizio” (Cass., 28 ottobre 2016, n. 21814).

8 – Ma vi è di più. La deduzione che si assume oggetto di una svista percettiva attiene, a ben vedere, a una sollecitazione, nei confronti del collegio giudicante, ad esercitare i propri poteri ufficiosi in merito alla valutazione dell’ammissibilità o meno dei motivi di ricorso proposti dalla controparte. Dall’esame del provvedimento oggetto di scrutinio non emerge alcun elemento univoco che consenta di affermare che una complessiva valutazione della questione dell’ammissibilità dei motivi di ricorso (comprensiva delle deduzioni del ricorrente, comunque attinenti ad aspetti, come sopra rilevato, di natura valutativa) non sia stata effettuata. Deve al contrario osservarsi che trova applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui deve ravvisarsi una pronuncia implicita sulle questioni che, anche se non espressamente trattate nella motivazione della decisione, risultino incompatibili con le statuizioni adottate, ovvero quando queste ultime implichino un giudizio di irrilevanza o infondatezza rispetto a quelle questioni che con quelle espressamente risolte sono in rapporto di pregiudizialità logica o giuridica (Cass., 3 ottobre 2013, n. 22589).

9 – Le spese liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2017

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