Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7909 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.28/03/2017),  n. 7909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2501/2011 proposto da:

C.U., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE G. MAZZINI 11, presso io studio dell’avvocato GIANFRANCO

TOBIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER

GIORGIO PIZZORNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA SAI S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE DEI MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO NICOLETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ROBERTO GABBA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 909/2009 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 11/02/2010 R.G.N. 792/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato DE BONIS MARCO per delega Avvocato TOBIA GIANFRANCO;

udito l’Avvocato NICOLETTI ALESSANDRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Si controverte del diritto di C.U., ex dipendente della società Fondiaria con mansioni di liquidatore, alla liquidazione della pensione integrativa, nonchè alla perequazione della stessa ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, secondo gli indici Istat.

La Corte d’appello di Genova, nel confermare la sentenza del Tribunale di Savona che aveva rigettato la domanda del pensionato nei confronti della Fondiaria – SAI s.p.a., ha rilevato che era corretto il riferimento, operato dal primo giudice, alla minore anzianità utile di 29 anni e 11 mesi rispetto a quella maggiore di 30 anni e 2 mesi indicata dal ricorrente e che null’altro era dovuto all’appellante.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.U. con tre motivi. Resiste con controricorso la società Fondiaria – SAI s.p.a..

Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio assumendo che l’esclusione del suo diritto al conseguimento della pensione integrativa non trova un supporto logico e giuridico nell’iter argomentativo svolto dal giudice del gravame. Invero, quest’ultimo avrebbe adottato la contestata decisione di rigetto sulla scorta di affermazioni apodittiche, quando, invece, non avrebbe potuto prescindere dall’operazione di sottrarre la pensione Inps (sottraendo) dalla retribuzione (minuendo) ai fini della determinazione della pensione integrativa (differenza), così come previsto dall’art. 4 dell’accordo sindacale del 1972.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia il vizio di motivazione, nonchè quello di violazione o falsa applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 59, degli artt. 11, 12 e 15 disp. gen. e degli artt. 1362 c.c. e segg., in quanto sostiene che il diritto alla perequazione rappresentava una conseguenza automatica rispetto al riconoscimento del diritto alla pensione integrativa, oggetto della domanda, per cui era illogica la motivazione della Corte di merito laddove quest’ultima aveva escluso il diritto alla suddetta perequazione senza aver prima proceduto a calcolare la pensione Inps, costituente una componente essenziale ai fini del successivo computo della pensione integrativa.

3. Col terzo motivo, dedotto per vizio di motivazione, il ricorrente adduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali aveva ritenuto di non avvalersi di un consulente tecnico per la quantificazione della pensione Inps, rappresentante un parametro imprescindibile per giungere alla statuizione circa la sussistenza del suo diritto ad ottenere la pensione integrativa.

4. Osserva la Corte che per ragioni di connessione i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente.

Tali motivi sono infondati.

Invero, occorre prendere le mosse dalla considerazione che il ricorrente si duole sostanzialmente del fatto che la Corte d’appello di Genova non avrebbe proceduto al calcolo della pensione integrativa che si sarebbe ottenuta sottraendo dalla retribuzione la Pensione Inps. Tale doglianza viene prospettata come vizio di motivazione, ma in realtà si è di fronte ad un’ipotesi di implicito rigetto della domanda, dal momento che la Corte ha adeguatamente spiegato la ragione per la quale non poteva considerarsi come anzianità contributiva il periodo compreso tra la maturazione del diritto a pensione ed il momento in cui si era profilata la cosiddetta finestra d’uscita per l’accesso alla stessa. Infatti, il giudice d’appello ha posto l’accento sulla circostanza che il ricorrente, nell’aderire all’atto di risoluzione consensuale del rapporto che prevedeva l’incentivo all’esodo, accordo, questo, che non era stato mai impugnato, aveva precisato che la propria anzianità contributiva complessiva utile ai fini pensionistici consentiva il conseguimento del diritto alla pensione di anzianità a decorrere dal 30.9.2001 e l’accesso alla pensione a far data dall’1.1.2002, per cui quest’ultima data non riguardava la maturazione del diritto, ma solo la finestra d’uscita per andare in pensione. La stessa Corte ha aggiunto che nel predetto accordo le parti avevano ritenuto che l’anzianità di servizio aziendale coincideva col periodo 31.12.1998 – 30.9.2001 ed avevano, altresì, previsto il pagamento di una somma pari alla contribuzione volontaria che copriva esclusivamente tale periodo. Infine, il fatto che le parti avessero previsto l’incentivo all’esodo fino all’1.1.2002 stava a significare solo che le stesse avevano inteso evitare che l’ex dipendente si venisse a trovare per un periodo, anche se breve, privo di reddito; egualmente, il limite massimo della retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione integrativa, di cui all’art. 4, comma 3, dell’accordo del 14.4.1972, non poteva in alcun caso superare la retribuzione oltre la quale l’Inps operava, ai fini del pensionamento, una qualsiasi riduzione dell’ammontare della pensione. Quindi, l’unico criterio di adeguamento che residuava ai fini della perequazione, per effetto della L. n. 449 del 1997, art. 59, era quello del riferimento all’indice Istat.

5. Oltretutto non è dimostrata la decisività dell’argomento, posto che non solo non viene contestato il metodo di computo seguito dalla Corte territoriale, ma nemmeno è dimostrato che il sottraendo, rappresentato dalla pensione Inps, potesse essere inferiore al minuendo, cioè la retribuzione, ai fini del conseguimento della pensione integrativa, quale differenza del prospettato computo dell’invocata prestazione.

Tra l’altro questa Corte (Cass. sez. lav. 24777/06) ha già avuto modo di chiarire che la L. n. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 4, stabilisce, con riguardo a tutte le forme pensionistiche, l’adeguamento al mutato costo della vita secondo un unico criterio, quello di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11, meno favorevole dei criteri precedenti e in particolare di quelli colleganti l’evoluzione delle pensioni alla retribuzioni del personale in servizio.

Inoltre, con sentenza dell’11 maggio 2002 n. 6804 questa Corte ha affermato che la disposizione di cui al comma appena citato, che comporta l’aumento delle pensioni previdenziali e assistenziali sulla base del solo adeguamento al costo della vita, con la soppressione, a decorrere dal 1 gennaio 1998, dei detti meccanismi di adeguamento, trova applicazione anche nei confronti dei regimi aziendali integrativi, atteso che la disposizione si riferisce alle prestazioni pensionistiche previste dal terzo comma dello stesso art. 59, che espressamente ricomprende le prestazioni pensionistiche complementari di cui ai D.Lgs. n. 563 del 1996, D.Lgs. n. 124 del 1993 e D.Lgs. n. 357 del 1990; nè tale estensione autorizza dubbi di legittimità per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., atteso che essa si inquadra nella scelta del legislatore di armonizzare i regimi previdenziali complementari preesistenti al citato D.Lgs. n. 124, con quelli di nuova costituzione. Il successivo comma 13 della L. n. 449 del 1997, concerne le pensioni Inps particolarmente elevate e, a seconda dell’ammontare di esse, esclude o limita fortemente la perequazione automatica. Tutto ciò si traduce nel principio di diritto secondo cui, con riguardo a quest’ultima categoria di pensioni la perequazione automatica rimane bloccata; mentre la pensione integrativa si adegua secondo l’art. 59 cit., comma 4. Nè altro è ancora dovuto al pensionato, stante il detto comma 4, che esclude le “diverse forme di adeguamento, ove ancora previste”.

6. Quanto alla doglianza concernente il mancato espletamento della consulenza tecnica d’ufficio è sufficiente rilevare che non è dimostrato che tale mezzo istruttorio fosse decisivo.

Invero, come già precisato da questa Corte (v. al riguardo Cass. sez. 2, n. 10938 del 9.12.1996), la mancata nomina di un consulente tecnico di ufficio, regolarmente sollecitata dalla parte, è censurabile in cassazione sotto il profilo della omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia quando la consulenza sia l’unico possibile mezzo di accertamento di un fatto determinante per la decisione.

7. Pertanto il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4100,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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